CAPITOLO UNDICI

— Scappati! — ringhiò il dottor John Dee al cellulare. — Li avevi circondati. Come hai potuto lasciarteli scappare?

Dall'altra parte dell'Atlantico, Niccolò Machiavelli non si scompose. Solo un guizzo dei muscoli della mascella rivelò la sua rabbia. — Vedo che sei bene informato.

— Ho le mie fonti — ribatté Dee, le labbra sottili piegate in un ghigno. Sapeva che l'idea di avere una spia nel proprio territorio avrebbe fatto infuriare Machiavelli.

— Anche tu li avevi circondati a Ojai, se non erro

— continuò l'altro, con calma. — Con un esercito di morti viventi. Eppure sono scappati. Come hai potuto lasciare che accadesse?

Dee si appoggiò al morbido sedile di pelle della limousine in corsa. Aveva il volto illuminato solo dallo schermo del cellulare, il cui freddo bagliore sfiorava gli zigomi e metteva in risalto il pizzetto affilato, lasciando gli occhi in ombra. Non aveva detto a Machiavelli che aveva usato la negromanzia per sollevare un esercito di morti viventi. Che fosse il modo sottile dell'italiano per fargli sapere che anche lui aveva una spia nel suo territorio?

— Dove sei adesso? — chiese Machiavelli.

Dee lanciò un'occhiata fuori dal finestrino della limousine, cercando di leggere i cartelli stradali che gli sfrecciavano accanto. — Da qualche parte sulla 101, in direzione di Los Angeles. Il mio jet mi aspetta, pronto al decollo. Partiremo non appena lo raggiungo.

— Conto di averli in custodia prima del tuo atterraggio a Parigi — disse Machiavelli. La linea era molto disturbata, e l'italiano fece una pausa prima di aggiungere: — Ritengo che cercheranno di contattare Saint-Germain.

Dee drizzò la schiena. — Il conte di Saint-Germain? È tornato a Parigi? Avevo sentito dire che era morto in India, cercando la città perduta di Ofir.

— A quanto pare, non è così. Ci risulta che abbia una casa sugli Champs-Elysées e due appartamenti in periferia, e li teniamo tutti sotto sorveglianza. Se Flamel lo contatta, lo sapremo.

— Non farteli sfuggire stavolta. Ai nostri padroni non farebbe piacere. — Dee chiuse bruscamente il telefono prima che l'altro potesse replicare, poi scoprì i denti in un rapido sorriso. Il cerchio si stringeva.

— Sa essere così infantile — borbottò Machiavelli. — Deve sempre avere l'ultima parola. — In piedi tra le rovine del caffè, chiuse con calma il cellulare e guardò la devastazione che aveva intorno.

Sembrava che fosse appena passato un tornado. L'arredamento del locale era sfasciato, le finestre erano tutte infrante e c'erano perfino delle crepe sul soffitto. I resti polverosi di tazze e piattini si mescolavano al caffè rovesciato, alle foglie di tè sparpagliate e ai biscotti sbriciolati sul pavimento.

Machiavelli si fece strada tra i detriti. Aveva sperato che Scathach avesse perso un po' delle sue abilità marziali negli anni trascorsi dal loro ultimo incontro, ma era stato un pio desiderio. La Guerriera era più micidiale che mai: aveva sconfitto da sola dodici agenti armati e altamente addestrati della RAID. Avvicinarsi a Flamel e ai ragazzi sarebbe stato difficile con lei nei paraggi. Nella sua lunga vita, Machiavelli si era scontrato con Scathach almeno in una dozzina di occasioni, e in ognuna era sopravvissuto per miracolo. L'ultima volta risaliva all'inverno del 1942, tra le gelide macerie di Stalingrado. Se non fosse stato per lei, le forze tedesche avrebbero preso la città. Allora si era ripromesso di ucciderla: forse era giunta l'ora di mantenere la promessa.

Ma come uccidere colei che era impossibile da uccidere? Cosa poteva reggere il confronto con la guerriera che aveva addestrato tutti i più grandi eroi della Storia, che aveva partecipato a tutti i maggiori conflitti del pianeta e il cui stile di combattimento costituiva il cuore di ogni arte marziale?

Uscendo dal locale demolito, Machiavelli inspirò profondamente, ripulendosi i polmoni dall'odore acre e amarognolo di caffè e latte acido che aleggiava nell'aria. Dagon aprì la portiera della macchina, e l'italiano si vide riflesso negli occhiali scuri del suo autista. Prima di salire si fermò e alzò lo sguardo, scrutando la polizia che chiudeva le strade, la pattuglia in tenuta antisommossa che si distribuiva in gruppetti e gli agenti in borghese nelle loro auto civetta. Aveva al suo comando i servizi segreti francesi; con l'aggiunta della polizia, avrebbe avuto a disposizione un esercito privato di centinaia di uomini e donne pronti a eseguire i suoi ordini senza fiatare. Eppure sapeva che nessuno di loro era all'altezza della Guerriera.

Dopo aver riflettuto a lungo, guardò Dagon. — Trova le Disir.

Dagon si irrigidì, mostrando un raro segno d'emozione. — È saggio?

— È necessario.

 

I segreti di Nicholas Flamel l'immortale - 2. Il Mago
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