CAPITOLO VENTIDUE

E Nicholas Flamel era in cucina, seduto a capo-tavola, con le mani raccolte intorno a una scodella di zuppa fumante. Davanti a sé aveva una bottiglia di Perrier semivuota, un bicchiere e un piatto pieno di pane croccante e di formaggio. Quando Josh e Saint-Germain entrarono subito dopo Scathach, alzò lo sguardo, li salutò con un cenno e sorrise.

Sophie era seduta di fronte a Jeanne, e Josh si infilò rapidamente al suo fianco, mentre Saint-Germain prese posto accanto alla moglie. Solo Scathach rimase in piedi alle spalle dell'Alchimista, appoggiata al lavandino a fissare il buio oltre la finestra.

Josh notò che indossava ancora la bandana tagliata dalla maglietta nera di Flamel. Poi scrutò l'Alchimista, che aveva un aspetto esausto, invecchiato, i capelli corti macchiati da un grigio che prima non c'era. Il pallore scioccante del viso di Flamel accentuava le occhiaie livide e le rughe profonde della fronte,- i suoi vestiti erano sgualciti e chiazzati di pioggia, e sul giubbotto appeso allo schienale della sedia, imperlato di goccioline scintillanti, c'era una lunga striatura di fango.

Nessuno parlò mentre l'Alchimista finiva la zuppa e spezzava con le mani il pane e formaggio. Masticò lentamente, poi versò l'acqua nel bicchiere e bevve a piccoli sorsi. Quando ebbe finito, si pulì la bocca col tovagliolo e sospirò soddisfatto. — Grazie! — esclamò, con un cenno a Jeanne. — Era tutto perfetto.

— La dispensa è piena — disse lei, con occhi colmi di preoccupazione. — Dovresti mangiare di più di un piatto di zuppa e pane e formaggio.

— Mi è bastato, grazie — replicò lui con gentilezza.

— Ho bisogno di riposare, e non volevo caricarmi troppo lo stomaco. Faremo una colazione abbondante domattina. La cucinerò io stesso.

— Non sapevo che tu sapessi cucinare — osservò Saint-Germain.

— Infatti non è vero — borbottò Scathach.

— Pensavo che mangiare formaggio in piena notte facesse venire gli incubi — disse Josh. Guardò l'orologio. — È quasi l'una.

— Oh, non mi serve il formaggio per avere gli incubi. Quelli li ho visti in carne e ossa. — Flamel sorrise, senza allegria. — E non sono poi tanto spaventosi. — Guardò i gemelli. — Voi state bene?

I ragazzi si scambiarono uno sguardo e annuirono.

— Avete riposato?

— Hanno dormito tutto il giorno e gran parte della notte — rispose Jeanne.

— Bene. Vi serviranno tutte le forze. — Flamel annuì.

— Vedo che vi siete cambiati. State molto bene.

Mentre Josh era vestito come Saint-Germain, Sophie indossava una camicetta bianca di cotone pesante e un paio di jeans con il risvolto, sopra degli stivaletti alla caviglia. — Me li ha dati Jeanne — spiegò la ragazza.

— La taglia è quasi perfetta — disse la Pulzella d'Orléans. — Dovremo frugare un po' nel mio armadio: ti serviranno dei cambi per il resto del viaggio.

Sophie la ringraziò con un sorriso.

Flamel si girò verso Saint-Germain. — I fuochi di ieri, alla Torre Eiffel, erano molto belli, davvero ispirati.

— Grazie, Maestro. — Il conte si inchinò, con aria tremendamente compiaciuta.

Jeanne fece una risatina sommessa. — Cercava da mesi una scusa per fare una cosa del genere. Dovevate vedere lo spettacolo che ha allestito alle Hawaii quando ci siamo sposati. Abbiamo aspettato il crepuscolo; poi Francois ha illuminato il cielo per almeno un'ora. È stato bellissimo, anche se lo sforzo lo ha lasciato esausto per una settimana — aggiunse con un sorriso.

Due chiazze rosa comparvero sulle guance del Conte, che afferrò la mano della moglie e la strinse forte. — Ne valeva la pena, per vedere l'espressione del tuo viso.

— Non avevi una grande padronanza della Magia del Fuoco l'ultima volta che ci siamo incontrati — osservò Flamel. — Se ricordo bene, avevi una certa abilità, ma niente in confronto al potere che hai dimostrato ieri. Chi ti ha addestrato?

— Ho trascorso qualche tempo in India, nella città perduta di Ofir — spiegò il Conte. — Ti ricordano ancora, laggiù. Sapevi che hanno eretto una statua per te e Perenelle nella piazza principale?

— No. Ho promesso a Perenelle che saremmo tornati lì, prima o poi — disse l'Alchimista con rimpianto. — Ma questo che c'entra con la tua padronanza del fuoco?

— Laggiù ho incontrato qualcuno... qualcuno che mi ha addestrato — rispose Saint-Germain, enigmatico. — Mi ha mostrato come usare il sapere segreto che avevo ottenuto da Prometeo...

— Che avevi rubato... — lo corresse Scathach.

— Be', lui l'aveva rubato per primo — ribatté il Conte, piccato.

Flamel picchiò la mano sul tavolo, facendo tremare la bottiglia. — Basta! — gridò, e per un attimo i lineamenti del suo viso si alterarono, lasciando intuire le ossa del cranio sotto la pelle. I suoi occhi chiarissimi, quasi incolori, si scurirono visibilmente, diventando prima grigi, poi marroni e infine neri. Poggiando i gomiti sul tavolo, l'Alchimista si passò le mani sulla faccia e trasse un profondo e tremolante respiro. Un vago profumo di menta, ma inacidito, si diffuse nell'aria. — Mi dispiace. È stato imperdonabile da parte mia. Non dovevo alzare la voce — disse piano nel silenzio scioccato che era seguito al suo scatto d'ira. Quando scostò le mani dalla faccia, le labbra si piegarono in un sorriso spento. Guardò i commensali uno per uno, soffermandosi sui volti sbigottiti dei gemelli. — Dovete perdonarmi. In questo momento sono talmente stanco che potrei dormire per una settimana. Continua, Francois, ti prego. Chi ti ha addestrato?

Il conte di Saint-Germain deglutì. — Mi ha detto... di non pronunciare mai il suo nome ad alta voce — concluse in fretta.

Flamel mise di nuovo i gomiti sul tavolo, intrecciò le dita e appoggiò il mento sui pugni stretti. Osservò il suo allievo, impassibile. — Chi era? — domandò in tono fermo.

— Gli ho dato la mia parola — ribatté Saint-Germain, affranto. — Faceva parte delle condizioni che mi ha imposto quando mi ha addestrato. Mi disse che le parole sono potenti e che certi nomi suscitano vibrazioni sia in questo mondo sia nei Regni d'Ombra, destando attenzioni indesiderate.

Scathach fece un passo avanti e posò una mano sulla spalla dell'Alchimista. — Nicholas, sai che è vero. Esistono parole che non si dovrebbero mai pronunciare, nomi che non andrebbero mai usati. Cose vecchie. Intrappolate tra la vita e la morte.

Flamel annuì. — Se hai dato a questa persona la tua parola, allora devi mantenerla, naturalmente. — Fece una pausa, senza guardare il Conte. — Ma dimmi... questa persona misteriosa, quante mani aveva?

Saint-Germain si ritrasse di scatto, e l'espressione stupefatta del suo viso rivelò la verità. — Come hai fatto a capirlo?

La bocca dell'Alchimista si piegò in una smorfia. — In Spagna, seicento anni fa, incontrai un uomo con una mano sola che mi insegnò alcuni dei segreti del Codice. Anche lui si rifiutò di dire il proprio nome ad alta voce. — Improvvisamente Flamel si voltò verso Sophie. — Tu custodisci i ricordi della Strega. Se in questo momento ti viene in mente un nome... sarebbe meglio per tutti che non lo pronunciassi ad alta voce.

Sophie chiuse la bocca così in fretta da mordersi l'interno del labbro. Conosceva il nome della persona di cui Flamel e Saint-Germain stavano parlando. Sapeva anche chi - e che cosa - fosse. Ed era veramente stata sul punto di pronunciare il suo nome ad alta voce.

Flamel tornò a guardare il Conte. — Tu sai che i poteri di Sophie sono stati risvegliati. La Strega le ha insegnato le basi della Magia dell'Aria, e io sono deciso a fare in modo che entrambi i gemelli siano addestrati in tutte le magie dementali, il più in fretta possibile. So dove trovare maestri della Terra e dell'Acqua. Fino a ieri, pensavo di dovermi mettere alla ricerca di uno degli Antichi Signori associati al fuoco: Maui, Vulcano o perfino il tuo vecchio nemico, Prometeo. Ora comincio a sperare che non sia più necessario. Pensi di poter insegnare a Sophie la Magia del Fuoco?

Saint-Germain sgranò gli occhi per la sorpresa. Incrociò le braccia al petto e guardò prima la ragazza poi l'Alchimista, scuotendo la testa. — Non so se posso. Non so nemmeno se devo...

Jeanne posò la mano destra sul braccio del marito. Lui si voltò a guardarla e lei annuì, in modo quasi impercettibile. — Francois, devi farlo.

Il Conte non esitò. — Lo farò, ma... è saggio?

— È necessario — replicò Jeanne.

— Ti richiederà un grosso sforzo di assimilazione — disse Saint-Germain rivolto a Sophie. Poi tornò a guardare Flamel e aggiunse in tono dubbioso: — Sophie è ancora alle prese con i ricordi della Strega.

— Non più. A questo ci ho pensato io. — La presa di Jeanne si fece più stretta sul braccio del marito. — Mentre Sophie dormiva le ho parlato, aiutandola a mettere ordine tra i ricordi, a classificarli, a separare i suoi pensieri da quelli della Strega. Non penso che le daranno più molto fastidio, ormai.

Sophie era sconvolta. — Sei entrata nella mia mente mentre dormivo?

Jeanne scosse la testa con grazia. — Non sono entrata nella tua mente... ti ho soltanto parlato, dicendoti cosa fare e come farlo.

— Ti ho vista mentre lo facevi — disse Josh. Poi si accigliò. — Ma Sophie era profondamente addormentata. Non poteva sentirti.

— Mi ha sentito — replicò Jeanne. Guardò la ragazza e poggiò la mano destra sul tavolo. Un crepitante velo d'argento comparve sulla punta delle sue dita, e minuscole scintille di luce si levarono danzanti dalla sua carne, per rimbalzare come goccioline di mercurio verso le mani della ragazza, posate sul legno lucido del tavolo. Mentre si avvicinavano, le unghie di Sophie cominciarono a baluginare di un argento smorzato finché, all'improvviso, i puntini di luce si avvolsero intorno alle sue dita. — Sarai anche la gemella di Josh, ma io e te siamo sorelle. Condividiamo l'aura d'argento. So cosa significa sentire delle voci nella propria testa; so cosa significa vedere l'impossibile, conoscere l'inconoscibile. — Jeanne guardò prima Josh e poi l'Alchimista. — Mentre Sophie dormiva, ho parlato direttamente al suo inconscio. Le ho insegnato come controllare i ricordi della Strega, come ignorare le voci, come impedire alle immagini di farsi avanti. Le ho insegnato a proteggersi.

Sophie alzò la testa lentamente, gli occhi sgranati per la sorpresa. — Ecco cosa c'era di diverso! Non sento più le voci! — esclamò, turbata. — Erano cominciate, a migliaia, quando la Strega aveva riversato in me il suo sapere. Gridavano e sussurravano in lingue che comprendevo a malapena. Ora invece c'è il silenzio.

— Sono ancora lì — spiegò Jeanne. — Ci saranno sempre. Ma adesso sarai in grado di evocarle quando ne avrai bisogno e di usare la loro conoscenza. Ho anche avviato il processo per insegnarti a controllare la tua aura.

— Ma come ci sei riuscita mentre lei dormiva? — insistette Josh.

— In che senso, controllare la mia aura? — chiese Sophie, confusa. — Pensavo che fosse soltanto il campo elettrico d'argento che circonda il mio corpo.

Jeanne scrollò le spalle con eleganza. — L'aura è potente quanto l'immaginazione. Si può plasmare, fondere, modellare a piacere. — Stese la mano sinistra. — Ecco come faccio a fare questo. — Il guanto metallico di un'armatura comparve di scatto intorno alla sua pelle. Ogni singolo bullone era perfetto, e il dorso delle dita era perfino picchiettato di ruggine. — Provaci — suggerì.

Sophie tese la mano e la fissò intensamente.

— Visualizza il guanto. Vedilo con l'immaginazione.

Un minuscolo ditale d'argento comparve sul mignolo di Sophie, per spegnersi subito dopo.

— Be', magari con un po' più di pratica — ammise Jeanne. Sbirciò di sottecchi Saint-Germain e poi guardò l'Alchimista. — Permettimi di lavorare con Sophie un paio d'ore, di insegnarle qualcosa di più per controllare e plasmare la sua aura prima che Francois cominci a insegnarle la Magia del Fuoco.

— È pericolosa la Magia del Fuoco? — domandò Josh. Ricordava ancora chiaramente quello che era successo quando Ecate aveva risvegliato Sophie, che aveva rischiato di morire. E più cose sapeva sulla Strega di Endor, più si convinceva che la sorella aveva rischiato di morire anche imparando la Magia dell'Aria. Quando nessuno gli rispose, si rivolse a Saint-Germain. — È pericolosa?

— Sì. Molto — rispose il Conte.

Josh scosse la testa. — Allora non voglio che...

Sophie lo interruppe con una stretta sul braccio. La mano che lo serrava era avvolta in un guanto d'armatura. — Josh, devo farlo.

— No, non devi.

— Sì.

Josh guardò sua sorella dritto in faccia: Sophie aveva assunto il piglio testardo che lui conosceva bene. Alla fine distolse lo sguardo, senza dire nulla. Non voleva che sua sorella imparasse altra magia... non solo perché era pericoloso, ma anche perché l'avrebbe allontanata ancora di più da lui.

Jeanne si rivolse a Flamel. — E adesso, Nicholas, devi riposare.

L'Alchimista annuì. — Lo farò.

— Ci aspettavamo che tornassi molto prima — intervenne Scathach. — Stavo quasi pensando di venirti a cercare.

— La farfalla mi ha condotto qui ore fa — replicò Flamel in tono stanco, la voce soffocata dallo sfinimento. — Ma una volta saputo dove eravate, ho voluto aspettare la notte per avvicinarmi alla casa, nel caso in cui la tenessero sotto sorveglianza.

— Machiavelli non sa nemmeno dell'esistenza di questa casa — affermò Saint-Germain in tono sicuro.

— Perenelle mi ha insegnato un semplice incantesimo di travestimento, molto tempo fa, ma funziona solo quando piove: usa le gocce d'acqua per riflettere la luce intorno a chi lo usa — spiegò Flamel. — Ho deciso di aspettare la notte per aumentare le probabilità di passare inosservato.

— Cos'ha fatto il resto del giorno? — chiese Sophie.

— Ho vagato per la città, alla ricerca dei miei vecchi rifugi.

— Tutti spariti, vero? — domandò Jeanne.

— La maggior parte sì. Ma non tutti. — Flamel si chinò a raccogliere un oggetto avvolto in un giornale sul pavimento. — La casa di Montmorency è ancora in piedi.

— Dovevo immaginare che saresti andato lì! — esclamò Scathach con un sorriso amaro. Guardò i gemelli e spiegò: — È la casa dove Nicholas e Perenelle vivevano nel Quindicesimo secolo. Ci abbiamo trascorso dei giorni felici.

— Molto felici — concordò Flamel.

— Ed è ancora in piedi? — domandò Sophie, stupita.

— Una delle case più vecchie di Parigi — confermò l'Alchimista con orgoglio.

— Che altro hai fatto? — chiese Saint-Germain.

Flamel fece spallucce. — Sono stato al Musée de Cluny. Non capita tutti i giorni di vedere la propria tomba. È confortante sapere che la gente mi ricorda ancora.

Jeanne sorrise. — C'è una strada che porta il tuo nome, Nicholas: Rue Flamel. E ce n'è un'altra in onore di Perenelle. Ma non è per questo che hai fatto visita al museo, vero? — aggiunse in tono arguto. — Non mi sei mai sembrato un tipo sentimentale.

— Be', non era l'unica ragione — ammise l'Alchimista, sorridendo. Si frugò nella tasca del giubbotto e tirò fuori uno stretto tubicino metallico. Tutti si sporsero a guardare; perfino Scatty si avvicinò a dare un'occhiata. Svitando le due estremità, Flamel tirò fuori un rotolino di frusciante pergamena. — Quasi seicento anni fa nascosi questa pergamena all'interno della mia lapide, non pensando che ne avrei mai avuto bisogno. — Spianò lo spesso foglio ingiallito sul tavolo. Tracciato con un inchiostro rosso e scolorito, c'era un ovale che racchiudeva un cerchio, circondato da tre linee che formavano un triangolo.

Josh si sporse a guardare. — Ho già visto qualcosa del genere. — Aggrottò la fronte. — Non c'è un disegno simile sulle banconote da un dollaro degli Stati Uniti?

— Non pensare a quello a cui somiglia — disse Flamel. — Il disegno serve a mascherare il vero significato della pergamena.

— Che cos'è? — chiese Josh.

— È una mappa! — esclamò Sophie all'improvviso.

— Sì, è una mappa — confermò Nicholas. — Ma come facevi a saperlo? La Strega di Endor non l'ha mai vista...

— No, la Strega non c'entra — sorrise Sophie. Si sporse verso la pergamena, sfiorando con la testa quella del fratello. Indicò l'angolo in alto a destra, dove l'inchiostro rosso segnava una croce minuscola, quasi impercettibile. — Questa sembra decisamente una N — disse, indicando un punto in cima alla croce — e questa è una S.

— Nord e sud. — Josh annuì, concordando rapidamente. — Sei un genio, Soph!

L'Alchimista annuì. — Bravissimi. È una mappa di tutte le porte d'energia d'Europa. Città, paesi e perfino confini possono diventare irriconoscibili, ma le porte d'energia rimangono le stesse. — Sollevò la pergamena. — Questo è il nostro passaporto per tornare in America.

— Sperando di avere la possibilità di usarlo — borbottò Scatty.

Josh toccò un angolo del fagotto di giornale rimasto al centro del tavolo. — E questo cos'è?

Flamel arrotolò di nuovo la pergamena nella sua custodia e infilò il tubicino nella tasca del giubbotto. Poi si mise a svolgere gli strati di giornale. — Verso la fine del Quattordicesimo secolo, quando l'uomo con una mano sola ci rivelò il primo segreto del Codice, io e Perenelle eravamo in Spagna — disse, senza rivolgersi a nessuno in particolare, l'accento francese più marcato che mai.

— Il primo segreto? — chiese Josh.

— Avete visto il testo: cambia in continuazione... ma lo fa seguendo una rigida sequenza matematica, non a casaccio. I cambiamenti sono legati al movimento degli astri e alle fasi lunari.

— Come un calendario?

Flamel annuì. — Proprio come un calendario. Imparata la sequenza, capimmo di poter tornare finalmente a Parigi. Ci avremmo impiegato una vita - diverse vite - per tradurre il Libro, ma almeno sapevamo da che parte cominciare. Così mutai qualche pietra in diamanti e qualche pezzo d'argilla in oro, e cominciammo il lungo viaggio di ritorno verso Parigi. All'epoca, naturalmente, avevamo già attirato l'attenzione degli Oscuri Signori, e Bacone, l'infame predecessore di Dee, ci stava addosso. Anziché prendere la via diretta per la Francia, scegliemmo percorsi secondari, evitando i passi di montagna che sapevamo essere sorvegliati. Tuttavia l'inverno arrivò presto quell'anno - con il contributo degli Oscuri Signori, sospetto - e ci ritrovammo isolati in Andorra. Ed è stato lì che ho trovato questa... — Toccò l'oggetto sul tavolo.

Josh guardò la sorella, le sopracciglia alzate in una domanda muta. "Andorra?" sillabò senza parlare; lei era molto più brava di lui in geografia.

— Uno dei paesi più piccoli del mondo — spiegò Sophie in un bisbiglio. — Si trova sui Pirenei, tra la Spagna e la Francia.

Flamel tolse altri fogli dall'involto. — Prima di "morire" ho nascosto questo oggetto all'interno della pietra sopra l'architrave della nostra casa in Rue de Montmo- rency. Non avrei mai pensato di averne di nuovo bisogno.

— Ha detto che l'ha nascosto all'interno? — domandò Josh, confuso.

— All'interno, sì. Ho cambiato la struttura molecolare del granito, ho infilato l'oggetto nella pietra e poi ho fatto tornare l'architrave al suo stato originario. Semplice trasmutazione: è stato come infilare una nocciolina in una vaschetta di gelato. — Flamel strappò l'ultimo foglio di giornale.

— È una spada — bisbigliò Josh sbigottito, scrutando l'arma corta e snella annidata tra i fogli sparsi sul tavolo. Calcolò che fosse lunga circa cinquanta centimetri, con una semplice elsa a forma di croce avvolta da strisce di pelle scura e scolorita. La lama sembrava fatta di uno scintillante metallo grigio. No, non era metallo. — Una spada di pietra! — esclamò, aggrottando la fronte. Gli ricordava qualcosa...

In quello stesso istante, Jeanne e Saint-Germain si allontanarono scompostamente dal tavolo. Nella fretta di scostarsi dalla lama, la donna fece cadere la sedia a terra.

Alle spalle di Flamel, Scathach soffiò come un gatto, scoprendo i denti da vampiro. Quando parlò, lo fece con voce tremante e un accento marcato, barbarico. Sembrava quasi arrabbiata... o spaventata. — Nicholas, che hai intenzione di fare con questa cosa orrenda?

L'Alchimista la ignorò. Guardò Josh e Sophie, che erano rimasti seduti al tavolo, impietriti dalla reazione degli altri, senza comprendere quello che stava succedendo. — Esistono quattro grandi spade di potere — cominciò a spiegare — ognuna legata a un elemento: Terra, Aria, Fuoco e Acqua. Si dice che risalgano a un'epoca precedente perfino alla più antica delle Antiche Razze. Le spade hanno avuto molti nomi nel corso del tempo: Excalibur e Joyeuse, Mistelteinn e Curtana, Durlindana e Tyrfing. L'ultima volta che una di esse è stata usata come arma nel mondo degli uomini risale a quando l'imperatore Carlo Magno portò Joyeuse in battaglia.

— E questa è Joyeuse? — domandò Josh. Amava i libri di storia, ed era sempre stato affascinato dalla figura di Carlo Magno.

La risata di Scathach suonò come un ringhio amaro. — Joyeuse è una meraviglia. Questa invece è... un abominio.

Flamel toccò l'elsa della spada, e i minuscoli cristalli della pietra scintillarono di luce verde. — Questa non è Joyeuse, anche se è vero che un tempo è appartenuta a Carlo Magno. Ritengo che sia stato egli stesso a nasconderla in Andorra nel Nono secolo.

— È identica a Excalibur! — esclamò Josh, capendo all'improvviso perché la spada di pietra gli fosse sembrata familiare. Guardò la sorella. — Dee ha Excalibur,- l'ha usata per distruggere l'Albero del Mondo.

— Excalibur è la Spada di Ghiaccio — spiegò Flamel. — Questa è la sua lama gemella: Clarent, la Spada di Fuoco. È l'unica arma in grado di combattere contro Excalibur.

— È una lama maledetta — sentenziò Scathach. — Non voglio toccarla.

— Nemmeno io — aggiunse in fretta Jeanne, e Saint-Germain annuì in segno di assenso.

— Non sto chiedendo a nessuno di voi di portarla né di usarla — li fulminò Flamel. Fece ruotare l'arma sul tavolo finché l'elsa non sfiorò le dita di Josh, dopodiché guardò i suoi amici uno per uno. — Sappiamo che Dee e Machiavelli stanno arrivando. Josh è l'unico di noi a non essere in grado di proteggersi. Fino a che i suoi poteri non saranno risvegliati, avrà bisogno di un'arma. Voglio che abbia Clarent.

— Nicholas! — gridò Scathach, inorridita. — Ma che ti viene in mente! È un figlio degli homines, senza alcun addestramento...

— È dotato di un'aura d'oro massiccio — la interruppe Flamel, freddo. — E sono deciso a proteggerlo. — Spinse la spada tra le dita di Josh. — È tua. Prendila.

Josh si sporse in avanti e avvertì le due pagine del Codice che premevano sulla sua pelle, nella loro busta di stoffa. Era il secondo dono che riceveva dall'Alchimista in due giorni. Parte di lui voleva prendere quei regali per buoni, voleva fidarsi di Flamel e credere che nutrisse nei suoi confronti la stessa fiducia. Eppure... eppure, perfino dopo la conversazione che avevano avuto in strada, un angolino della sua mente non riusciva a dimenticare quello che Dee aveva detto presso la fontana di Ojai: che metà di quello che Flamel diceva era una menzogna, e che nemmeno l'altra metà era mai del tutto vera. Scostò volutamente lo sguardo dalla spada e incrociò gli occhi chiari dell'Alchimista, il quale lo stava fissando, il volto atteggiato a una maschera inespressiva. Josh si chiese cosa avesse in mente, a che gioco stesse giocando. Altre parole di Dee gli spuntarono in testa: "Flamel è ed è sempre stato un bugiardo, un ciarlatano e un imbroglione".

— Non la vuoi? — chiese l'Alchimista. — Prendila. — Spinse l'elsa direttamente nel pugno del ragazzo.

Quasi suo malgrado, Josh strinse le dita intorno all'elsa levigata e rivestita di pelle. Sollevò la spada di pietra, che pur essendo corta era sorprendentemente pesante, e se la rigirò tra le mani. — Non ho mai maneggiato una spada in vita mia. Non so come si...

— Scathach ti insegnerà le basi — replicò Flamel, senza guardare l'Ombra, ma pronunciando quella semplice frase come un ordine. — Come impugnarla, le stoccate e le parate più semplici. Cerca soltanto di evitare di infilzarti da solo...

Josh si rese conto del sorriso che gli era spuntato sulla faccia e cercò di scacciarlo, ma era difficile: avere quella spada in mano era una sensazione straordinaria. Mosse il polso, e la spada scattò. Poi guardò Scatty, Francois e Jeanne e vide il modo in cui fissavano la lama, seguendo ogni suo movimento, e il suo sorriso si spense. — Cosa c'è che non va in questa spada? — domandò. — Perché vi fa tanta paura?

Sophie poggiò la mano sul braccio del fratello, gli occhi scintillanti d'argento per il sapere della Strega. — Clarent è un'arma malvagia e maledetta, chiamata a volte la Lama del Codardo. È la spada che Mordred usò per uccidere suo padre, re Artù.

 

I segreti di Nicholas Flamel l'immortale - 2. Il Mago
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