CAPITOLO SETTE

Tenendo la stizza a freno, Niccolò Machiavelli scese a grandi passi la bella scalinata del Sacré-Coeur, con la nebbia che vorticava e ondeggiava alle sue spalle. Anche se l'aria cominciava a liberarsi, era ancora leggermente pervasa dal profumo di vaniglia. L'immortale gettò la testa all'indietro e inspirò profondamente, trattenendo l'odore nel naso; voleva imprimerselo nella memoria: era l'equivalente di un'impronta digitale. Tutti gli abitanti del pianeta possedevano un'aura, un campo elettrico che circondava il corpo umano e che, quando veniva concentrato e convogliato, interagiva con il sistema endorfinico e con la ghiandola adrenale, producendo in ogni individuo un odore unico e caratteristico: una specie di firma olfattiva.

Machiavelli trasse un ultimo respiro. Riusciva quasi a sentire il gusto della vaniglia nell'aria, nitido e puro, il profumo del potere grezzo, privo di addestramento. E in quell'istante capì senza ombra di dubbio che Dee aveva ragione: era l'odore di uno dei leggendari gemelli.

— Voglio che l'intera area sia sigillata — ordinò al semicerchio di agenti della polizia raccolti in Place Willette, in fondo alla scalinata. — Chiudete ogni strada, stradina e vicolo da Rue Custine a Rue Caulaincourt, da Boulevard de Clichy a Boulevard de Rochechouart e Rue de Clignancourt. Trovateli!

— Sta suggerendo di chiudere Montmartre? — esclamò un abbronzatissimo capitano della polizia nel silenzio che segui. L'uomo cercò con gli occhi il sostegno dei colleghi, ma nessuno volle incrociare il suo sguardo. — Siamo in alta stagione — protestò, tornando a guardare il suo superiore.

Machiavelli si avvicinò all'uomo, il volto impassibile come le maschere che collezionava. Lo scrutò minaccioso con i suoi freddi occhi grigi, ma quando parlò lo fece in tono pacato e controllato, la voce poco più di un sussurro. — Lei sa chi sono io? — domandò con gentilezza.

Il capitano, un veterano decorato della Legione Straniera, incrociò quegli occhi di pietra e si sentì salire un groppo alla gola. Si passò la lingua sulle labbra, tutt'a un tratto secche, e disse: — Lei è Monsieur Machiavelli, il nuovo capo della Direction Générale de la Sécurité Extérieure. Ma questa è una faccenda che riguarda la polizia, signore, non i servizi segreti. Non ha l'autorità...

— L'ho appena fatta diventare una faccenda della PGSE — lo interruppe Machiavelli. — I miei poteri vengono direttamente dal presidente. Chiuderò l'intera città, se sarà necessario. Dovete trovarli. Stanotte è stata evitata una catastrofe. — Fece un gesto vago in direzione del Sacré-Coeur, che cominciava a riapparire nella nebbia sempre più rada. — Chissà quali altre azioni terroristiche hanno in mente... Voglio un rapporto dettagliato dell'indagine, ogni singola ora — concluse. Senza aspettare repliche girò sui tacchi, dirigendosi con passo deciso alla macchina.

L'autista vestito di nero, il volto quasi nascosto dietro un paio di avvolgenti occhialoni a specchio, lo stava aspettando con le braccia conserte sul petto massiccio. Aprì la portiera e gliela richiuse delicatamente alle spalle. Poi salì in macchina e si sedette, le mani guantate di nero posate sul volante, in paziente attesa di istruzioni.

Il vetro che separava l'autista dai sedili posteriori si abbassò con un ronzio. — Flamel è a Parigi. Dove potrebbe andare? — chiese Machiavelli senza preamboli.

La creatura chiamata Dagon era al servizio dell'italiano da quasi quattrocento anni. Quello era il nome con cui era nota da millenni e, nonostante il suo aspetto, non era mai stata neanche lontanamente umana. Voltandosi, si tolse gli occhiali a specchio. Nella penombra dell'auto mostrò due occhi da pesce, enormi e liquidi dietro una pellicola trasparente e oleosa: non aveva le palpebre. Quando parlò, due file di minuscoli denti frastagliati comparvero dietro le labbra sottili. — Chi sono i suoi alleati? — chiese, passando da un pessimo francese a uno spaventoso italiano, prima di tornare alla lingua liquida e gorgogliante della sua remota giovinezza.

— Flamel e sua moglie sono sempre stati dei solitari. Ecco perché sono vissuti così a lungo — rispose Machiavelli. — A quanto mi risulta, non vivono in questa città dalla fine del Diciottesimo secolo. — Tirò fuori il suo computer portatile e fece scorrere l'indice sul lettore di impronte digitali. Il computer rispose con un hip e lo schermo si accese.

— Se sono arrivati attraverso una porta d'energia, allora sono impreparati — gorgogliò Dagon. — Niente soldi, niente passaporti, niente vestiti tranne quelli che indossano.

— Esatto. Perciò dovranno procurarsi un alleato.

— Tra gli homines o tra gli immortali?

Machiavelli rifletté per un istante. — Un immortale — disse infine. — Non credo che conoscano molti homines in questa città.

— Quali immortali vivono a Parigi, al momento?

L'italiano digitò una complicata serie di tasti e sullo

schermo comparve una cartella denominata "Temp", in cui c'erano dozzine di file. Ne scelse uno e premette il tasto INVIO. Al centro dello schermo comparve una finestra.

DIGITARE PASSWORD

Le dita sottili tamburellarono rapide sulla tastiera mentre scrivevano la password - Del modo di trattare i sudditi della Val di Chiana ribellati - e si aprì un file criptato in AES 256-bit, il codice utilizzato dalla maggior parte dei governi per i documenti di massima segretezza. Nel corso della sua lunga vita Machiavelli aveva accumulato enormi fortune, ma considerava quell'archivio il suo tesoro più prezioso. Conteneva un dossier completo su ogni umano immortale ancora in circolazione nel Ventunesimo secolo, compilato dalla sua rete di spie sparse in tutto il mondo. Passò in rassegna i vari nomi. Nemmeno gli Oscuri Signori sapevano che possedeva quella lista, e alcuni di loro, ne era certo, sarebbero rimasti alquanto contrariati se avessero saputo che conosceva anche la collocazione e gli attributi di quasi tutti i membri dell'Antica Razza, che abitassero sul pianeta oppure nei Regni d'Ombra. La conoscenza, come Machiavelli sapeva bene, era potere.

Tuttavia, anche se c'erano tre schermate intere dedicate a Nicholas e Perenelle Flamel, le informazioni concrete erano scarse. C'erano centinaia di voci, ciascuna delle quali si riferiva a un avvistamento dei Flamel avvenuto dopo la loro presunta morte nel 1418. Erano stati visti in quasi tutti i continenti del mondo, a eccezione dell'Australia. Negli ultimi centocinquanta anni erano vissuti in Nord America, con il primo avvistamento confermato e accertato nel Ventesimo secolo a Buffalo, nello Stato di New York, datato settembre 1901.

Machiavelli andò alla sezione intitolata Alleati immortali noti. Era vuota. — Niente. Non ho nessun documento che attesti la frequentazione di altri immortali da parte dei Flamel.

— Ma adesso lui è tornato a Parigi. Cercherà i suoi vecchi amici — osservò Dagon, e delle bollicine si formarono sulle sue labbra. — Le persone si comportano diversamente a casa propria. Abbassano la guardia. E per quanto Flamel sia vissuto a lungo lontano da questa città, la considererà ancora casa sua.

Niccolò Machiavelli sollevò lo sguardo oltre lo schermo del computer, constatando per l'ennesima volta quanto poco sapesse del suo fedele servitore. — E qual è casa tua, Dagon?

— Non esiste più, da molto tempo. — Una pellicola traslucida guizzò sopra i due enormi glohi degli occhi di Dagon.

— Perché sei rimasto con me? Perché non hai cercato altri della tua specie?

— Anche loro non esistono più. Io sono l'ultimo della mia specie. E poi, lei non è molto diverso da me.

— Ma tu non sei umano.

— E lei lo è? — chiese Dagon, gli occhi sgranati e immobili.

Machiavelli fece una lunga pausa prima di annuire e tornare al suo schermo. — Perciò stiamo cercando qualcuno che i Flamel conoscevano quando vivevano ancora qui. E sappiamo che non vengono più qui dal Diciottesimo secolo, quindi limitiamo la ricerca agli immortali in circolazione a quel tempo. — Le dita volarono sulla tastiera, filtrando i risultati. — Erano solo sette. E cinque sono leali a noi.

— E gli altri due?

— Caterina de' Medici vive dalle parti di Rue du Dragon.

— Non è francese — borbottò Dagon con voce impastata.

— Ma è stata la madre di tre re francesi — replicò Machiavelli con un raro sorriso. — Tuttavia è leale solo a se stessa... — All'improvviso raddrizzò la schiena. — Ma chi abbiamo qui?

Dagon non si mosse.

L'italiano spostò il computer in modo che il suo servitore potesse vedere: c'era la fotografia di un uomo che fissava l'obiettivo, in quella che era evidentemente una posa pubblicitaria. Folti capelli ricci, lunghi fino alle spalle, incorniciavano un volto rotondo; gli occhi erano di una stupefacente sfumatura di azzurro.

— Non lo conosco — disse Dagon.

— Oh, ma io sì. Lo conosco molto bene. Quest'uomo è l'immortale un tempo noto come il conte di Saint- Germain. Era un mago, un inventore, un musicista... e un alchimista. — Machiavelli chiuse il programma e abbassò lo schermo del computer. — Saint-Germain è stato allievo di Nicholas Flamel. E in questo momento vive a Parigi! — concluse trionfante.

Dagon sorrise: la O delle sue labbra incorniciava denti affilatissimi. — Flamel sa che Saint-Germain è qui?

— Non ne ho idea. Nessuno sa quanto sia vasta la conoscenza di Flamel.

Dagon inforcò di nuovo gli occhiali da sole. — Pensavo che lei sapesse tutto.

 

I segreti di Nicholas Flamel l'immortale - 2. Il Mago
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