CAPITOLO DICIANNOVE
Nicholas Flamel si fermò in Rue Beaubourg e si girò lentamente, gli occhi chiarissimi che scrutavano la strada. Non pensava di essere seguito, ma doveva accertarsene. Era salito in treno alla stazione di Saint-Michel Notre-Dame e aveva attraversato la Senna sul Pont d'Arcole, dirigendosi verso l'edificio che riteneva essere un mostro d'acciaio e vetro: il Centre Pompidou. Con passo tranquillo, fermandosi spesso, zigzagando da una traversa all'altra e sostando prima a un'edicola per il giornale e poi di nuovo altrove per un pessimo caffè da portar via, aveva continuato a controllare se qualcuno prestava particolare attenzione ai suoi movimenti. Ma gli era parso che nessuno lo seguisse.
Parigi era cambiata molto dalla sua ultima visita e, anche se lui ormai risiedeva a San Francisco, quella era la città in cui era nato e sarebbe sempre rimasta la sua città. Solo un paio di settimane prima, nello stanzino della libreria, Josh gli aveva insegnato a usare Google Earth. Nicholas aveva passato ore a rimirare dall'alto le strade che un tempo aveva percorso, a cercare gli edifici che aveva conosciuto da giovane e perfino a scovare l'esatta posizione della Chiesa degli Innocenti, luogo della sua presunta sepoltura.
Ma una strada particolare aveva attirato il suo interesse. L'aveva rintracciata sulla mappa e l'aveva percorsa virtualmente grazie al computer, ma non avrebbe mai immaginato che di lì a poco l'avrebbe fatto di persona. Nicholas Flamel lasciò Rue Beaubourg e imboccò Rue de Montmorency... e si fermò come se avesse appena sbattuto contro un muro.
Trasse un respiro profondo e si accorse di avere il cuore in gola. L'ondata di emozioni era fortissima. La strada era così stretta che la luce del mattino non l'aveva ancora raggiunta, lasciandola in penombra. Sui due lati si ergevano degli alti edifici, con cesti traboccanti di fiori e piante alle pareti; dei paletti metallici neri, a testa tonda, proteggevano i marciapiedi dalle macchine.
L'Alchimista percorse la strada lentamente, vedendola com'era un tempo. Ricordando. Più di seicento anni prima, lui e Perenelle avevano vissuto in quella stessa strada. Immagini della Parigi medievale gli balenarono davanti agli occhi: una disordinata accozzaglia di case di pietra e di legno, vicoli stretti e tortuosi, ponti fatiscenti, edifici diroccati e strade che erano poco più che fogne a cielo aperto. Il rumore di fondo, incredibile e incessante, e il miasma fetido che aleggiava sulla città erano cose che non avrebbe mai dimenticato.
In fondo a Rue Montmorency trovò l'edificio che stava cercando. Non era molto cambiato. La pietra un tempo era color crema; ormai era sbrecciata e segnata dagli anni, annerita di fuliggine. Le tre portefinestre di legno erano nuove, ma l'edificio in sé era uno dei più vecchi di Parigi. Sopra la porta centrale c'era un numero di metallo azzurro - 51 - e sopra ancora c'era una targa di pietra consumata, con la scritta MAISON DE NICOLAS FLAMEL ET DE PERENELLE, SA FEMME. Un'insegna rossa a forma di scudo annunciava che quella era I'AU- BERGE NICOLAS FLAMEL. Una volta era casa sua. Adesso era un ristorante.
Avvicinandosi alla vetrina, l'Alchimista finse di leggere il menu e sbirciò dentro. Probabilmente gli interni erano stati ristrutturati più di una volta, ma le travi scure che attraversavano il soffitto bianco sembravano le stesse verso cui tante volte aveva alzato lo sguardo più di seicento anni prima.
Lui e Perenelle erano stati felici, lì, e al sicuro. Avevano una vita più semplice, allora: non sapevano nulla di Antichi o Oscuri Signori; non sapevano nulla del Codice né degli immortali che lo custodivano o che combattevano per averlo. Entrambi erano ancora totalmente umani.
Sulle antiche pietre della casa c'era un assortimento di immagini, simboli e lettere che aveva incuriosito e fatto interrogare gli studiosi di molte epoche. La maggior parte di essi non aveva significati reconditi, come le insegne delle botteghe dell'epoca; ma alcuni, pochi, facevano eccezione. Dopo aver verificato che la strada fosse vuota, Flamel alzò la mano destra e seguì i contorni della lettera N, incisa in una pietra a sinistra della finestra centrale. Poi tracciò la sagoma elaborata della F, sulla parete opposta, lasciando in aria uno scintillante profilo della lettera. Appoggiandosi con una mano sul telaio della finestra, si issò sul davanzale e allungò l'altra mano verso l'alto, trovando a tentoni la forma delle lettere scolpite nell'antica pietra. Trasmettendo un rivolo di energia aurica sulle dita, pigiò una sequenza di lettere... e la pietra si fece tenera e calda al suo contatto. Spinse... e le dita affondarono nella pietra; si strinsero intorno all'oggetto che nel lontano Quindicesimo secolo era stato nascosto nel cuore del solido blocco di granito. Dopo averlo estratto dalla pietra, l'Alchimista indietreggiò di un passo e si staccò dal davanzale, ricadendo leggero a terra. Poi si affrettò ad avvolgere l'oggetto recuperato nella sua copia di "Le Monde", fece dietrofront e si allontanò di buon passo senza neanche voltarsi.
Prima di sbucare di nuovo in Rue de Beaubourg, Flamel capovolse la mano sinistra. Al centro del palmo, ancora intatta, c'era la farfalla che Saint-Germain gli aveva impresso sulla pelle. "Ti riporterà da me" aveva detto.
L'Alchimista strofinò il tatuaggio con l'indice della mano destra. — Riportami da Saint-Germain — mormorò. — Conducimi da lui.
Il tatuaggio tremò, le ali si incresparono. Poi si staccò dalla pelle e svolazzò nell'aria. Un attimo dopo la farfalla danzava e si inoltrava sinuosa nella strada.
— Astuto — commentò Flamel. — Molto astuto. — E si incamminò sulle tracce della farfalla.