CAPITOLO QUARANTASETTE

Nicholas Flamel era appena riuscito a sollevare il tombino quando il telefono di Jean squillò, facendoli sobbalzare tutti per lo spavento. L'Alchimista fece ricadere rumorosamente il tombino a terra, indietreggiando con un balzo appena prima che gli piombasse sulla punta dei piedi.

— È Francois — li informò Jeanne. Parlò con Saint- Germain e richiuse il telefono di scatto. — Sta arrivando. Ha detto di non scendere assolutamente nelle catacombe senza di lui.

— Ma non possiamo aspettare! — protestò Sophie.

Flamel annuì. — Sophie ha ragione. Dovremmo...

La voce ferma con cui un tempo Giovanna d'Arco

aveva comandato eserciti disse: — Aspetteremo. — La francese poggiò il suo piccolo piede sopra il tombino.

— Ci sfuggiranno — continuò Sophie, disperata.

— Francois ha detto che sa dove stanno andando. — Jeanne si voltò a guardare l'Alchimista. — E ha detto che anche tu lo sai. È così?

L'Alchimista fece un respiro profondo e annuì cupamente. La luce del primo mattino inondò il suo viso, svuotandolo di ogni vitalità, lasciandolo del colore di una pergamena scolorita. Le borse che aveva sotto gli occhi erano due lividi scuri. — Credo di sì.

— Dove? — chiese Sophie, cercando di restare calma. Era sempre stata più brava di suo fratello a controllare i nervi, ma in quel momento stava per gettare la testa all'indietro e mettersi a strillare per la frustrazione. Se l'Alchimista sapeva dove Josh era diretto, perché non si stavano già precipitando a raggiungerlo?

— Dee sta portando Josh dove i suoi poteri potranno essere risvegliati — rispose Flamel, scegliendo le parole con cura.

Sophie aggrottò la fronte, confusa. — È una cosa tanto brutta? Non è quello che volevamo?

— Sì, è quello che volevamo, ma non come lo volevamo. — Il dolore negli occhi dell'Alchimista era evidente. — Molte cose vengono determinate da chi - o da cosa - risveglia i poteri di una persona. È un processo pericoloso. Può essere perfino mortale.

— E lei era disposto a permettere che Ecate ci risvegliasse entrambi — replicò Sophie, con rabbia. Suo fratello aveva sempre avuto ragione, pensò; Flamel li aveva messi entrambi in pericolo.

— Era necessario per la vostra stessa protezione. C'erano pericoli, sì, ma non da parte della Dea.

— Che generi di pericoli?

— La maggior parte degli Antichi Signori non è mai stata molto generosa verso coloro che essi stessi hanno chiamato homines. Pochissimi sono stati disposti a dare senza porre condizioni — spiegò l'Alchimista. — Il dono più grande che un Antico Signore può elargire è l'immortalità. Dee e Machiavelli sono entrambi al servizio degli Oscuri Signori che li hanno resi immortali.

— Al servizio? — chiese Sophie, confusa.

— Sono dei servitori. Qualcuno direbbe "schiavi" — spiegò Jeanne, con gentilezza. — È il prezzo che pagano per la loro immortalità e i loro poteri.

Il telefono di Jeanne squillò di nuovo. — Francois?

— Il dono dell'immortalità si può revocare in qualsiasi momento. E, quando succede, tutti gli anni innaturali che hai vissuto ti piombano addosso nel giro di pochi attimi — continuò l'Alchimista. — Alcuni Antichi Signori riducono in schiavitù gli homines che risvegliano, trasformandoli in poco più che zombie.

— Ma Ecate non mi ha reso immortale quando mi ha risvegliata — obiettò Sophie.

— A differenza della Strega di Endor, Ecate non nutriva interesse per gli homines da innumerevoli generazioni. È sempre rimasta neutrale nelle guerre tra i difensori dell'umanità e gli Oscuri Signori. — Un sorriso amaro incurvò le labbra sottili di Flamel. — Forse, se avesse preso posizione, sarebbe ancora viva.

Sophie guardò gli occhi chiarissimi dell'Alchimista. Stava pensando che, se lui non fosse andato nel Regno d'Ombra di Ecate, l'Antica Signora sarebbe stata ancora viva. — Sta dicendo che Josh è in pericolo?

— In grave pericolo.

Lo sguardo di Sophie non si staccò dal volto dell'Alchimista. Josh era in pericolo non per colpa di Dee o di Machiavelli, ma perché Nicholas Flamel li aveva messi entrambi in quell'orribile situazione. Li stava proteggendo, diceva, e una volta lei gli aveva creduto ciecamente. Ma ormai non sapeva più cosa pensare.

— Venite. — Jeanne prese Sophie per mano e la trascinò in fondo al vicolo, verso la strada. — Francois sta arrivando.

Flamel gettò un'ultima occhiata al tombino, poi nascose la spada sotto la giacca e si affrettò a seguirle.

Fuori dal vicolo, Jeanne li condusse prima in Avenue du President Wilson, poi svoltò in fretta a sinistra, in Rue Debrousse, e si diresse di nuovo verso il fiume. L'aria risuonava di sirene della polizia e delle ambulanze; in cielo, gli elicotteri della polizia ronzavano a bassa quota, sorvolando la città. Le strade erano quasi del tutto vuote, e nessuno faceva attenzione a tre persone che correvano a cercare riparo.

Sophie rabbrividì; era una scena così surreale. Somigliava a qualcosa che aveva visto in un documentario di guerra alla TV.

In fondo a Rue Debrousse trovarono Saint-Germain che li aspettava a bordo di una BMW nera, a cui non avrebbe fatto male un bel lavaggio. Le portiere anteriori e posteriori erano socchiuse. Quando i tre si avvicinarono, il finestrino scuro del guidatore si abbassò.

Saint-Germain sorrise. — Nicholas, dovresti tornare a casa più spesso,- la città è nel caos. Non mi divertivo così da secoli.

Jeanne si infilò accanto al marito, mentre l'Alchimista e Sophie salirono dietro. Il Conte fece rombare il motore a tutto gas.

Flamel lo trattenne per la spalla. — Non tanto veloce. Non dobbiamo attirare attenzione.

— Ma con il panico che c'è per strada, non dovremmo nemmeno andare troppo piano — osservò Saint-Germain. Si staccò dal marciapiede e partì lungo Avenue de New York. Guidava con una mano sul volante e l'altra intorno al sedile, girandosi in continuazione per parlare con l'Alchimista.

Completamente stordita, Sophie si accasciò contro il finestrino, scrutando il fiume che scorreva rapido alla sua sinistra; in lontananza, sulla riva opposta della Senna, distingueva la sagoma ormai familiare della Torre Eiffel che si ergeva sopra i tetti. Era esausta e le girava la testa. Era confusa riguardo all'Alchimista. Non poteva essere malvagio, si disse. Saint-Germain e Jeanne - e anche Scatty - evidentemente lo rispettavano; piaceva perfino a Ecate e alla Strega di Endor. Lampi di pensieri che sapeva non essere suoi aleggiavano ai margini della sua coscienza, ma quando cercava di concentrarsi, si dissipavano. Erano i ricordi della Strega di Endor, e l'istinto le diceva che erano importanti. Avevano qualcosa a che fare con le catacombe, e con la creatura che viveva nelle loro viscere...

— La versione ufficiale della polizia è che una parte delle catacombe ha ceduto, causando il crollo di alcune abitazioni — stava raccontando Saint-Germain. — Stanno dichiarando che le fognature si sono rotte e che c'è stata una fuoriuscita di monossido di carbonio, diossido di carbonio e metano. Il centro di Parigi è stato chiuso ed evacuato, e hanno consigliato alla popolazione di rimanere in casa.

Flamel si adagiò sul sedile di pelle e chiuse gli occhi. — Ci sono feriti?

— Si parla di tagli e lividi, ma niente di più serio.

Jeanne scosse la testa, stupita. — Considerato il bestione che ha appena attraversato la città, è un piccolo miracolo.

— Avvistamenti di Nidhogg? — domandò l'Alchimista.

— Ancora niente sui canali principali, ma alcune immagini sfocate riprese col cellulare sono spuntate in qualche blog, mentre "Le Monde" e "Le Figaro" dichiarano entrambi di avere immagini esclusive di quello che definiscono rispettivamente La creatura delle catacombe e La bestia dell'abisso.

Sophie si sporse in avanti per seguire la conversazione. — Presto tutto il mondo saprà la verità. Che succederà poi?

— Niente — risposero i due uomini all'unisono.

— Niente? Ma non è possibile.

Jeanne si girò a guardarla. — Eppure è quello che succederà. La storia verrà insabbiata.

Flamel annuì. — La maggior parte della gente non ci crederebbe comunque, Sophie. La faccenda verrà liquidata come una fandonia o una bufala. Quelli che la riterranno vera saranno bollati come teorici della cospirazione. E puoi star certa che gli uomini di Machiavelli si stanno già dando da fare per confiscare e distruggere qualsiasi immagine.

— Nel giro di un paio d'ore, si parlerà degli eventi di stamattina come di una sfortunato incidente — aggiunse Saint-Germain. — Ogni avvistamento del mostro verrà deriso e liquidato come un caso di isterismo.

Sophie scosse la testa, incredula. — Non si può nascondere una cosa del genere per sempre.

— Gli Antichi Signori lo fanno da millenni — ribatté Saint-Germain, piegando lo specchietto retrovisore per guardarla meglio. — E devi ricordare che l'umanità non vuole credere alla magia. Non vuole sapere che i miti e le leggende hanno quasi sempre una base di verità.

Jeanne posò una mano sul braccio del marito. — Su questo non sono d'accordo,- gli esseri umani hanno sempre creduto alla magia. Solo negli ultimi secoli questa credenza è venuta meno. Penso che in realtà abbiano voglia di crederci, perché in fondo al cuore sanno che è vero. Sanno che la magia esiste veramente.

— Una volta ci credevo — mormorò Sophie. Si era voltata di nuovo a scrutare la città dal finestrino, ma l'immagine che vedeva riflessa sul vetro era quella di una vivace cameretta da bambina: era la sua stanza di cinque o sei anni prima. Non aveva idea di dove fosse... la casa a Scottsdale, forse, oppure a Raleigh; traslocavano spesso, allora. Era seduta al centro del letto, circondata dai suoi libri preferiti. — Da piccola leggevo molto, racconti di principesse, stregoni, cavalieri e maghi. Anche se sapevo che erano solo storie, desideravo che la magia fosse vera. Fino a oggi — aggiunse con un accento amaro nella voce. Si voltò a lanciare un'occhiata all'Alchimista. — Tutte le favole sono vere?

Flamel annuì. — Non tutte, ma quasi ogni leggenda ha una base di verità. Ogni mito ha delle basi nella realtà.

— Anche quelli più spaventosi? — bisbigliò la ragazza.

— Soprattutto quelli più spaventosi. — Tre elicotteri dei telegiornali ronzavano a bassa quota sopra le loro teste, facendo vibrare l'interno dell'auto. Flamel aspettò finché non furono passati, poi si sporse in avanti. — Dove stiamo andando?

Saint-Germain indicò dritto davanti a loro e poi a destra. — C'è un ingresso segreto delle catacombe nei giardini del Trocadéro. Porta direttamente nei tunnel proibiti. Ho controllato le vecchie mappe: penso che Dee li farà passare prima per le fogne e poi li guiderà giù, nei tunnel più profondi. Passando di qua recuperiamo un po' di tempo.

L'Alchimista si mise comodo e strinse la mano di Sophie. — Andrà tutto bene.

Ma la ragazza non gli credette.

L'ingresso delle catacombe era una grata metallica dall'aspetto piuttosto ordinario, fissata a terra. Parzialmente ricoperta di muschio ed erba, era nascosta da un'aiuola di alberi, alle spalle di una bella giostra dai vivaci colori che si trovava su un lato dei giardini del Trocadéro. Di solito lo splendido parco pullulava di turisti, ma quella mattina era deserto, e i cavalli di legno della giostra, senza cavalieri, ondeggiavano su e giù sotto il tendone a strisce bianche e azzurre.

Saint-Germain aveva tagliato per un sentiero stretto e li aveva portati su uno spiazzo d'erba ingiallita dal sole estivo. Lì si era fermato davanti all'anonima grata rettangolare. — Non la uso dal 1941. — Si inginocchiò, afferrò le sbarre e tirò. La grata non si mosse.

Jeanne guardò Sophie di sottecchi. — Quando io e Francois combattevamo con la Resistenza contro i tedeschi, usavamo le catacombe come base. Potevamo sbucare fuori in qualsiasi punto della città. — Picchiettò la grata con la punta della scarpa. — Questa era una delle nostre uscite preferite. Perfino durante la guerra i giardini erano sempre pieni di gente, ed era facile confondersi tra la folla.

All'improvviso l'aria si riempì del profumo intenso e autunnale delle foglie bruciate, e le sbarre di metallo tra le mani del Conte cominciarono a brillare di un bagliore incandescente, prima rosso, poi bianco. Il metallo si fuse e cadde, svanendo in densi grumi nelle profondità del condotto. Saint-Germain strappò dall'apertura quello che restava della grata e lo gettò via, quindi si tuffò dentro. — C'è una scaletta.

— Sophie, vai tu — disse l'Alchimista. — Io ti seguo. Jeanne, ti va di coprirci le spalle?

La donna annuì, poi afferrò una panchina di legno e la trascinò nello spiazzo d'erba. — La tirerò sopra l'apertura prima di calarmi dentro. Non vogliamo visite a sorpresa, giusto?

Sophie si calò con fare incerto nell'apertura, trovando i pioli della scaletta con i piedi. Scese con molta attenzione. Si era aspettata un tanfo tremendo, ma l'aria era soltanto secca e stantia. Cominciò a contare i gradini, ma perse il filo intorno al numero settantadue, anche se dalla rapidità con cui lo squarcio di cielo sopra di lei diminuiva, capì che stavano scendendo nelle viscere del sottosuolo. Non aveva paura, non per sé. I tunnel e gli spazi angusti non la spaventavano, al contrario di suo fratello; si chiese come stesse Josh in quel momento. All'improvviso avvertì le farfalle nello stomaco: un'ondata di nausea. Le si seccò la bocca e capì - istintivamente, senza dubbio alcuno - che era così che suo fratello si sentiva in quello stesso istante. Josh era terrorizzato.

 

I segreti di Nicholas Flamel l'immortale - 2. Il Mago
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