CAPITOLO QUATTRO

— Bentornato a Parigi, Alchimista.

Josh sobbalzò. Machiavelli era ancora troppo lontano per farsi udire così bene. Stranamente, la voce sembrava provenire da un punto imprecisato alle spalle del ragazzo, che si girò a guardare,- ma c'erano soltanto due statue di bronzo verdognolo sopra i tre archi della facciata: una donna a cavallo e un uomo con uno scettro.

— Vi aspettavo da tempo. — La voce sembrava provenire dalla statua dell'uomo.

— È un banale trucchetto da ventriloqui — spiegò Scatty, sprezzante, mentre toglieva delle striscioline di cera dagli anfibi.

— Il buon dottor Dee vi manda i suoi saluti. — La voce di Machiavelli continuò a risuonare nell'aria circostante.

— Quindi è sopravvissuto a Ojai — osservò Nicholas Flamel con il tono di chi fa conversazione, senza alzare la voce. Drizzando le spalle, si portò con naturalezza le mani dietro la schiena e lanciò un'occhiata di sghembo a Scathach. Poi le dita della sua mano destra cominciarono a danzare contro il palmo e le dita della sinistra.

La Guerriera allontanò i gemelli da Flamel e si ritrasse lentamente sotto l'ombra degli archi. Sistemandosi tra i due ragazzi, mise le braccia intorno alle loro spalle - le aure d'oro e d'argento crepitarono al contatto - e avvicinò le loro teste al suo viso. — Machiavelli. Il maestro della menzogna. — Il sussurro di Scatty giunse come un respiro lievissimo nelle orecchie dei gemelli. — Non deve sentirci.

— Non posso dire di essere contento di vedervi, signor Machiavelli. O devo dire Monsieur Machiavelli, in questa epoca? — disse Flamel, appoggiandosi alla balaustra e puntando lo sguardo verso il basso, sui gradini bianchi, nel punto in cui Machiavelli era ancora una piccola figura in lontananza.

— In questo secolo, sono francese — replicò l'uomo, con voce nitida e chiara. — Adoro Parigi. È la città che preferisco... dopo Firenze, naturalmente.

Mentre parlava con Machiavelli, Flamel continuava a tenere le mani dietro la schiena, nascoste alla vista dell'altro immortale. Le dita si muovevano in un'intricata serie di mosse e colpetti.

— Cosa fa? Sta tessendo un incantesimo? — sussurrò Sophie.

— No, sta parlando con me — rispose Scatty.

— Come? — bisbigliò Josh. — Magia? Telepatia?

— Lingua dei Segni.

I gemelli si scambiarono un rapido sguardo. — La Lingua dei Segni? E come fate a conoscerla? — domandò Josh.

— Continui a dimenticare quanto è stata lunga la nostra vita — ribatté Scathach, sorridendo e mostrando i canini da vampiro. — Flamel ha perfino contribuito alla creazione della Lingua dei Segni.

— Cosa sta dicendo? — domandò Sophie con una punta di impazienza. Non era riuscita a trovare da nessuna parte, nella memoria della Strega di Endor, le informazioni necessarie per tradurre quei gesti.

Scathach aggrottò la fronte, muovendo le labbra mentre componeva le parole. — Sophie... nebbia... — Scosse la testa. — Sophie, ti sta chiedendo di alzare la nebbia. Non ha senso.

— Sì, invece — replicò la ragazza, mentre una dozzina di immagini di nebbia, nubi e vapore le balenavano nella mente.

Niccolò Machiavelli si fermò sui gradini e trasse un respiro profondo. — I miei uomini hanno circondato tutta l'area — disse, avvicinandosi lentamente all'Alchimista. Aveva il fiato un po' corto e il cuore in gola; doveva decisamente tornare in palestra.

La creazione del tulpa di cera lo aveva sfinito. Non ne aveva mai fatto uno così grande prima d'allora, e mai dal sedile posteriore di una macchina in corsa tra le stradine strette e tortuose di Montmartre. Non era stata una soluzione elegante, ma la creatura doveva solo tenere Flamel e i suoi compagni intrappolati nella chiesa fino al suo arrivo, ed era servita allo scopo. Adesso la chiesa era circondata, c'erano altri poliziotti in arrivo e lui aveva chiamato tutti gli agenti disponibili. In qualità di capo della DGSE, i suoi poteri erano quasi illimitati; aveva anche imposto il silenzio stampa. Si vantava di avere il controllo assoluto delle proprie emozioni, ma doveva ammettere che in quel momento era elettrizzato: presto Nicholas Flamel, Scathach e i gemelli sarebbero stati in sua custodia. Stava per trionfare laddove Dee aveva fallito.

Più tardi avrebbe ordinato a qualcuno del dipartimento di far trapelare presso la stampa la storia di un tentativo di effrazione del monumento nazionale. In prossimità dell'alba - appena in tempo per le edizioni mattutine - un secondo comunicato avrebbe rivelato che i prigionieri erano riusciti a fuggire durante il trasferimento alla stazione di polizia. Nessuno li avrebbe più rivisti.

— Sei mio, Nicholas Flamel.

L'Alchimista si avvicinò al bordo della scalinata e infilò le mani nelle tasche posteriori dei jeans neri. — L'ultima volta che lo hai detto, se non erro, stavi per violare la mia tomba.

Machiavelli si immobilizzò, stupito. — Come fai a saperlo?

Più di trecento anni prima, a notte fonda, Machiavelli aveva forzato e aperto la tomba di Flamel e Pere- nelle, cercando la prova che l'Alchimista e sua moglie fossero davvero morti e tentando di capire se con loro fosse stato sepolto anche il Libro di Abramo il Mago. Non era rimasto del tutto sorpreso nello scoprire che entrambe le bare erano piene di pietre.

— Io e Perry eravamo proprio alle tue spalle quando hai scoperchiato la nostra tomba. Ci nascondevamo nell'ombra, ma eravamo così vicini che avremmo potuto toccarti. Sapevo che sarebbe venuto qualcuno, ma non immaginavo che saresti stato tu. Ammetto di esserci rimasto male, Niccolò.

L'uomo dai capelli bianchi continuò a salire le scale del Sacré-Coeur. — Mi hai sempre ritenuto una persona migliore di quanto non sia, Nicholas.

— Credo che ci sia del buono in tutti — replicò Flamel. — Perfino in te.

— Non in me, Alchimista, non più. Da molto tempo ormai. — Machiavelli si fermò e indicò la polizia e le forze speciali in tenuta antisommossa che si stavano radunando in fondo alla scalinata. — Coraggio. Arrenditi. Non vi sarà fatto del male.

— Non so dirti quante persone mi abbiano già detto una cosa del genere — disse Nicholas con tristezza. — E mentivano sempre.

La voce di Machiavelli si indurì. — Puoi trattare con me o con il dottor Dee. E tu sai che l'inglese non ha mai avuto pazienza.

— C'è un'altra opzione — ribatté Flamel, scrollando le spalle. Le sue labbra sottili si piegarono in un sorriso. — Potrei evitare di trattare con entrambi.

L'espressione dipinta sul suo volto fece arretrare Machiavelli per lo sgomento. Per un attimo qualcosa di antico e implacabile era brillato negli occhi chiarissimi dell'Alchimista, un lampo di luce verde smeraldo.

— Augurati di non incontrarmi mai più — aggiunse Flamel.

Machiavelli tentò una risata, ma il risultato non fu molto convincente. — Sembrava quasi una minaccia... e credimi, non sei nella posizione di minacciare.

— Non era una minaccia — replicò l'Alchimista, allontanandosi dal bordo della scalinata. — Ma una promessa.

L'aria fredda e umida della notte parigina tutt'a un tratto fu invasa da un intenso profumo di vaniglia. Niccolò Machiavelli comprese che qualcosa stava decisamente andando per il verso sbagliato.

La schiena dritta, gli occhi chiusi, le braccia lungo i fianchi, i palmi delle mani rivolti in avanti, Sophie Newman trasse un respiro profondo, sforzandosi di calmare il battito tempestoso del suo cuore e di sgombrare la mente.

Quando la Strega di Endor l'aveva avvolta in bende di energia come una mummia, le aveva impartito millenni di conoscenza nel giro di pochi attimi. Mentre la sua mente si riempiva dei ricordi della Strega, Sophie si era sentita come se qualcuno le stesse gonfiando la testa. Da allora era tormentata dall'emicrania, aveva un fascio di muscoli tesi sulla nuca e gli occhi non avevano mai smesso di farle male. Solo due giorni prima era una normalissima adolescente americana, con la testa piena delle cose tipiche di quell'età: i compiti e i progetti scolastici, le ultime canzoni e gli ultimi video, i ragazzi che le piacevano, numeri di cellulare, indirizzi e-mail e blog.

Ma ormai sapeva cose che nessuno avrebbe mai dovuto sapere. Sophie possedeva i ricordi della Strega di Endor,- sapeva tutto ciò che la Strega aveva visto, tutto ciò che aveva fatto nel corso dei millenni. Era un caos pazzesco: un miscuglio di pensieri e desideri, di sensazioni, paure e passioni, una confusione assurda di scene bizzarre, immagini terrificanti e suoni incomprensibili. Era come se migliaia di film fossero stati mescolati insieme e fusi in un'unica pellicola. Sparpagliati ovunque in quell'intrico di ricordi c'erano innumerevoli episodi in cui la Strega aveva usato il suo particolare potere, la Magia dell'Aria. Sophie non doveva fare altro che trovare nella sua memoria un episodio in cui la Strega aveva usato la nebbia.

Ma quando, dove e come trovarla?

Ignorando la voce di Flamel che parlava con Machiavelli, escludendo l'odore acido della paura di Josh e il tintinnio delle parole di Scathach, la ragazza concentrò tutti i suoi pensieri sulla nebbia e sulla foschia.

San Francisco veniva spesso avvolta dalla nebbia, e Sophie ricordava di aver visto il Golden Gate stagliarsi sopra uno spesso strato di nubi. Quando con la famiglia erano stati nella cattedrale di St Paul a Boston, uscendo in Tremont Street avevano trovato il Common Park completamente avvolto da una nebbia umida. Altri ricordi cominciarono a farsi avanti: la foschia a Glasgow; volute di vapore umido a Vienna,- lo smog fitto, giallognolo e fetido di Londra.

Sophie aggrottò la fronte: non era mai stata a Glasgow, Vienna e Londra. Ma la Strega sì... e quelli erano i ricordi della Strega di Endor.

Immagini, pensieri e ricordi - come i fili di nebbia che vedeva nella sua testa - ondeggiavano e si intrecciavano. E poi si fecero all'improvviso più limpidi.

Sophie rammentò chiaramente di trovarsi al fianco di una figura vestita in abiti del Diciannovesimo secolo. Lo vedeva con l'occhio della mente: un uomo con il naso lungo e la fronte alta, i capelli ricci e brizzolati; era seduto a uno scrittoio, con uno spesso foglio di carta color crema davanti a sé, e immergeva un pennino nel calamaio.

Quando Sophie si voltò per guardare la figura più da vicino, i ricordi della Strega la inondarono: l'uomo era un famoso scrittore inglese e stava per mettersi all'opera su un nuovo libro. Lo scrittore alzò lo sguardo e le sorrise,- poi mosse le labbra, ma non si udì nessun suono.

Sbirciando da sopra la sua spalla, Sophie lo vide scrivere con una grafia elegante e sinuosa le parole: «-Nebbia ovunque. Nebbia su per il fiume... Nebbia giù per il fiume».

Fuori dalla finestra dello studio, la nebbia, spessa e opaca, rotolava come fumo contro il vetro sporco, oscurando lo sfondo con la sua coltre impenetrabile.

Sotto il portico del Sacré-Coeur di Parigi, l'aria si fece fredda e umida, imbevendosi del profumo di gelato alla vaniglia. Rivoli bianchi stillarono dalle dita tese di Sophie, per ricadere in esili volute ai suoi piedi, fondendosi in un'unica pozza, mentre a occhi chiusi la ragazza osservava lo scrittore immergere il pennino nel calamaio e continuare: «Nebbia che si insinua... nebbia sparsa... nebbia sospesa... nebbia negli occhi e nella gola...»

Una spessa e candida nebbia sgorgò dalle dita di Sophie e si sparse sul lastricato, muovendosi come fumo denso, fluendo in filamenti ritorti e sottili come ragnatele. Investì con le sue mobili volute le gambe di Flamel e scivolò lungo la scalinata, crescendo, infittendosi.

Machiavelli osservò la nebbia riversarsi sulla scalinata del Sacré-Coeur come latte sporco,- la vide addensarsi, crescere e scivolare giù, e capì che Flamel gli sarebbe sfuggito. Quando la nebbia umida e profumata di vaniglia lo raggiunse, gli arrivava già al petto. Inspirò profondamente e riconobbe l'odore della magia. — Notevole — commentò, ma la nebbia gli appiattì la voce, smorzando il suo affettato accento francese e rivelando quello italiano sottostante.

— Lasciaci in pace! — tuonò la voce di Flamel.

— Questa sembrerebbe un'altra minaccia, Nicholas. Credimi quando ti dico che non hai idea delle forze che in questo momento sono raccolte contro di voi. I tuoi trucchetti da salotto non ti salveranno. — Machiavelli tirò fuori il cellulare e pigiò un solo tasto. — Attaccate. Attaccate subito! — ordinò mentre correva su per la scalinata. Alle sue spalle, ancora in lontananza, si levò il frastuono degli stivali sulla pietra: la polizia si stava lanciando alla carica.

— Sono sopravvissuto molto a lungo — disse la voce di Flamel, da qualche parte nella nebbia.

Machiavelli si guardò intorno, cercando di distinguere una sagoma nell'umido biancore. — Il mondo è andato avanti, Nicholas. Ma tu no — ribatté. — Anche se ci sei sfuggito in America, qui in Europa ci sono troppi Antichi Signori, troppi umani immortali che ti conoscono. Non riuscirai a nasconderti a lungo. Ti troveremo. — Superò di corsa gli ultimi gradini, che lo portarono di fronte all'ingresso della chiesa.

La foschia non c'era, lassù. Quella nebbia innaturale cominciava sul gradino più alto e fluiva giù, lasciando la chiesa a galleggiare come un'isola su un mare di nuvole. Prima ancora di precipitarsi dentro l'edificio, Machiavelli sapeva che non li avrebbe trovati lì: Flamel, Scathach e i gemelli erano scappati. Per il momento.

Ma Parigi non era più la città di Nicholas Flamel, si disse l'italiano. La città che un tempo aveva onorato l'Alchimista e sua moglie come benefattori dei poveri e degli ammalati, la città che aveva dato il loro nome alle strade, non esisteva più da tempo. Parigi ormai apparteneva a lui e agli Oscuri Signori che egli serviva. Facendo scorrere lo sguardo sull'antica città, Niccolò Machiavelli giurò di trasformare Parigi in una trappola - e forse perfino una tomba - per il leggendario Alchimista.

 

I segreti di Nicholas Flamel l'immortale - 2. Il Mago
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