CAPITOLO DICIASSETTE

Josh si costrinse ad aprire gli occhi. Dei puntini i neri gli offuscavano lo sguardo, e quando si portò la mano al viso riuscì ancora a vedere l'alone lasciato dalla sua aura d'oro. Cercò la mano della sorella e la strinse. Lei ricambiò con una stretta lieve.

— Cos'è successo? — domandò Josh, troppo scioccato e stordito perfino per avere paura.

Sophie scosse la testa. — È stata come un'esplosione...

— Ho sentito gridare Scathach!

— E a me è sembrato di vedere qualcuno che usciva dalla casa.

Si girarono tutti e due a guardare l'abitazione. Scathach era sulla porta, le braccia al collo di una giovane donna, e la stringeva stretta, facendola girare in tondo. Tutte e due le donne ridevano e strillavano di contentezza, scambiandosi battute in francese alla velocità della luce.

— Direi che si conoscono — commentò Josh mentre aiutava la sorella ad alzarsi.

I gemelli si voltarono a guardare il conte di Saint-Germain, che era rimasto in disparte, le braccia incrociate al petto, e sorrideva contento. — Sono vecchie amiche — spiegò. — Non si vedevano da molto... molto tempo. — Saint-Germain tossicchiò. — Jeanne — disse in tono gentile.

Le due donne si separarono e quella che il Conte aveva chiamato Jeanne si girò a guardarlo, la testa piegata in una posa interrogativa. Era impossibile intuirne l'età. Vestita in jeans e maglietta bianca, era alta quanto Sophie e di una magrezza quasi innaturale, con la pelle abbronzata che metteva in risalto due grandi occhi grigi; i capelli castano chiaro erano tagliati alla maschietta. Si asciugò le lacrime sulle guance con una rapida mossa della mano. — Francois?

— Ti presento i nostri ospiti.

Tenendo Scathach per mano, la giovane donna fece qualche passo verso Sophie. Mentre la sconosciuta si avvicinava, la ragazza avvertì un'improvvisa pressione nell'aria, come se una forza invisibile la stesse respingendo,- poi, di colpo, la sua aura d'argento si accese e l'aria si riempì del dolce aroma della vaniglia. Josh afferrò la sorella per il braccio e anche la sua aura scintillò e prese vita, emanando profumo di arance.

— Sophie... Josh... — cominciò Saint-Germain.

L'aroma intenso e dolce della lavanda riempì il cortile, mentre una sibilante aura d'argento fiorì intorno alla giovane donna dai capelli corti. L'aura si indurì e si solidificò, come metallo lucido, e prese la forma di una corazza, poi di schinieri per le gambe, di guanti e di stivali, compattandosi infine in un'armatura medievale completa.

— Lasciate che vi presenti mia moglie, Jeanne... — continuò il Conte.

— Tua moglie! — strillò Scathach, stupefatta.

— ... la donna che voi conoscete col nome di Giovanna d'Arco.

La colazione era stata apparecchiata in cucina, su un lungo tavolo di legno levigato. L'aria profumava di pane appena sfornato e di caffè fresco. I piatti traboccavano di frutta, frittelle e brioche, mentre uova e salsicce sfrigolavano in una padella appoggiata su una vecchia stufa.

Lo stomaco di Josh si mise a brontolare alla sola vista del cibo, e l'acquolina in bocca gli ricordò quanto tempo fosse passato dall'ultimo pasto decente. Al caffè era riuscito a trangugiare solo un paio di sorsi di cioccolata prima dell'arrivo della polizia.

— Mangiate, mangiate pure — esclamò Saint-Germain con un vassoio in una mano e un croissant nell'altra. Affondò i denti nella pasta sfoglia, riversando lievissime briciole sul pavimento. — Starete morendo dalla fame.

Sophie si accostò al fratello. — Mi prenderesti qualcosa da mangiare? Voglio parlare con Jeanne. Devo chiederle una cosa.

Josh lanciò un rapido sguardo alla giovane donna che stava tirando fuori le tazze dalla lavastoviglie. Con quei capelli corti era impossibile indovinare precisamente la sua età. — Pensi davvero che sia Giovanna d'Arco?

Sophie gli strinse il braccio. — Dopo tutto quello che abbiamo visto, tu che cosa credi? — Indicò il tavolo con un cenno della testa. — Voglio solo frutta e cereali.

— Niente uova e salsicce? — domandò il ragazzo, sorpreso. Sua sorella era l'unica persona che conosceva capace di ingurgitare più salsicce di lui.

— No. — Sophie aggrottò la fronte, e i suoi occhi azzurri si rannuvolarono. — È buffo, ma mi viene la nausea solo al pensiero di mangiare carne. — Agguantò una brioche e si girò prima che lui potesse commentare. Si avvicinò a Jeanne, che stava versando del caffè in un lungo bicchiere di vetro. Sophie dilatò le narici. — Caffè Kona hawaiano?

Jeanne sbatté le palpebre, sorpresa. — Sono molto colpita.

Sophie sorrise e fece spallucce. — Lavoravo in un caffè. Riconoscerei il profumo del Kona ovunque.

— Io me ne sono innamorata quando eravamo alle Hawaii — confessò Jeanne. — Lo conservo per le occasioni speciali.

— Io ne adoro il profumo, ma il sapore non mi piace. Troppo amaro.

Jeanne bevve qualche sorso. — Però scommetto che non sei venuta qui a parlarmi del caffè.

Sophie scosse la testa. — No. Volevo solo... — Si interruppe. Aveva appena conosciuto quella donna, eppure stava per farle una domanda incredibilmente personale. — Posso chiederti una cosa?

— Tutto quello che vuoi — rispose Jeanne, con sincerità.

Sophie fece un bel respiro, e le parole le uscirono di bocca di slancio. — Una volta Scathach mi ha detto che eri stata tu l'ultima persona ad avere un'aura d'argento puro.

— Ecco perché hai reagito alla mia! — esclamò Jeanne. — Ti chiedo scusa. La mia aura ha sovraccaricato la tua. Posso insegnarti come fare a evitarlo. — Sorrise, scoprendo denti perfetti. — Anche se le probabilità di incontrare un'altra aura d'argento puro nella tua vita sono molto scarse.

Sophie sbocconcellava nervosamente la sua brioche ai mirtilli. — Ti prego, scusami se te lo chiedo, ma sei davvero Giovanna d'Arco... quella Giovanna d'Arco?

— Sì, sono davvero Jeanne d'Arc. — Fece un lieve inchino. — La Pucelle, la Pulzella d'Orléans, al tuo servizio.

— Ma io credevo... cioè, ho sempre letto che eri morta...

Jeanne inclinò la testa e sorrise. — Scathach mi ha salvato. — Allungò la mano e toccò il braccio di Sophie, e subito le danzarono davanti agli occhi le immagini tremolanti della Guerriera in groppa a un enorme cavallo nero e con due spade fiammanti in mano.

— L'Ombra sbaragliò tutta da sola la folla che si era raccolta per assistere alla mia esecuzione. Nessuno riuscì a tenerle testa. In mezzo al panico e alla baraonda generali mi rapì sotto il naso dei miei aguzzini.

Le immagini lampeggiarono una dopo l'altra nella mente di Sophie: Jeanne vestita di stracci che si teneva stretta a Scathach, mentre la Guerriera guidava il suo cavallo nero tra la folla sgomenta, facendosi strada a colpi di spada.

— Naturalmente, tutti dovettero dichiarare di averla vista morire — intervenne Scatty, che nel frattempo si era avvicinata. Stava affettando a cubetti un ananas con un coltello ricurvo. — Nessuno - inglese o francese che fosse - avrebbe mai ammesso che la Pulzella d'Orléans fosse stata rapita sotto il naso di cinquecento cavalieri armati, e per di più da una guerriera sola... una donna.

Jeanne prese un cubetto d'ananas dalle dita di Scathach e se lo infilò in bocca. — Scatty mi portò da Nicholas e Perenelle, che mi offrirono un rifugio e si presero cura di me. Ero rimasta ferita nella fuga ed ero indebolita da mesi di prigionia. Ma nonostante tutte le attenzioni di Nicholas sarei morta, se non fosse stato per Scathach. — Così dicendo, strinse di nuovo la mano dell'amica, ignorando le lacrime sulle sue guance.

— Jeanne aveva perso molto sangue — spiegò Scathach. — Qualunque cosa Nicholas e Perenelle facessero, non dava segni di miglioramento. Così Nicholas eseguì una delle prime trasfusioni di sangue mai effettuate.

— Col tuo sangue? — chiese Sophie.

— Il sangue vampiro di Scathach mi ha salvato, tenendomi in vita, e mi ha reso immortale. — Jeanne sorrise. — Per fortuna, non mi ha trasmesso nessuno degli effetti collaterali dell'essere un vampiro. Però da allora sono vegetariana.

— E ti sei sposata! — esclamò Scathach in tono accusatorio. — Quando è successo? Come? E perché non sono stata invitata? — domandò tutto d'un fiato.

— Ci siamo sposati quattro anni fa su una spiaggia delle Hawaii. Al tramonto, naturalmente. Ti abbiamo cercata ovunque, quando lo abbiamo deciso — si affrettò a chiarire Jeanne. — Ci avrei tenuto tanto che tu ci fossi, volevo farti fare la damigella d'onore.

Scathach socchiuse gli occhi, riflettendo. — Quattro anni fa... ero in Nepal, credo, a caccia di un Nee-Gued selvatico. Un abominevole uomo delle nevi — aggiunse, notando l'espressione confusa delle altre due.

— Non sapevamo come contattarti. Avevi il cellulare fuori uso, e le e-mail ci tornavano indietro dicendo che avevi la casella di posta piena. — Jeanne prese la mano dell'amica. — Vieni con me, ti faccio vedere le foto. — Poi si girò verso Sophie. — Tu dovresti mangiare, adesso. Devi recuperare le energie che hai consumato. Bevi molti liquidi. Acqua, succhi di frutta, ma niente caffeina... niente tè o caffè, niente che possa tenerti sveglia. Quando avrete finito di mangiare, Francois vi mostrerà le vostre stanze, dove potrete farvi una doccia e riposare. — Squadrò Sophie dalla testa ai piedi. — Ti procurerò dei vestiti. Abbiamo la stessa taglia, più o meno. E più tardi parleremo della tua aura. — Jeanne tese la mano e allargò le dita. Un articolato guanto di metallo scintillante si animò, avvolgendo la pelle. — Ti mostrerò come controllarla, come plasmarla, come trasformarla in tutto ciò che desideri. — Il guanto si mutò nell'artiglio metallico di un rapace, prima di svanire di nuovo sulla pelle abbronzata di Jeanne; sole le unghie rimasero d'argento. Poi la giovane donna si sporse a baciare rapidamente Sophie sulle guance. — Ma prima devi riposare. — Si rivolse a Scathach. — Ora andiamo a vedere le foto.

Le due donne uscirono in fretta dalla cucina, e Sophie tornò in fondo alla lunga stanza, dove Saint-Germain stava parlando vivacemente con Josh. Il ragazzo le consegnò un piatto straripante di pane e frutta, mentre il suo traboccava di uova e salsicce. Quando Sophie lo vide si sentì rivoltare lo stomaco, e si costrinse a distogliere lo sguardo.

— No, io sono umano, non posso risvegliare i tuoi poteri — stava dicendo Saint-Germain quando li raggiunse. — Per questo ti occorre un Antico Signore o uno dei pochi rappresentanti della Nuova Generazione in grado di farlo. — Sorrise, mostrando i denti storti. — Non preoccuparti, Nicholas troverà qualcuno.

— Non c'è nessuno a Parigi in grado di farlo?

Saint-Germain ci pensò su un momento. — Machiavelli conoscerà qualcuno, ne sono certo. Lui sa tutto di tutti. Ma io no. — Si girò verso Sophie e fece un leggero inchino. — So che hai avuto la fortuna di essere risvegliata dalla leggendaria Ecate, e di essere poi addestrata nella Magia dell'Aria dalla mia antica maestra, la Strega di Endor. — Scosse la testa. — Come sta la vecchia strega? Non gli sono mai piaciuto — aggiunse.

— Nemmeno adesso — replicò Sophie sovrappensiero, arrossendo subito dopo. — Mi scusi. Non so perché l'ho detto.

Il Conte rise. — Oh, Sophie, non l'hai detto tu... be', non esattamente. È stata la Strega. Ti ci vorrà un po' di tempo per mettere ordine nei suoi ricordi. Quando stamattina ha chiamato, mi ha spiegato di averti trasmesso non solo la Magia dell'Aria, ma anche tutto il suo sapere. La tecnica della mummia non veniva più usata da moltissimo tempo a memoria d'uomo; è incredibilmente pericolosa.

Sophie lanciò un rapido sguardo a suo fratello, che stava osservando attentamente Saint-Germain. Notò la tensione del suo collo e della mascella dal modo in cui serrava la bocca.

— Avresti dovuto riposare per almeno ventiquattro ore per dare alla tua mente e al tuo inconscio la possibilità di metabolizzare il flusso improvviso di ricordi, pensieri e idee della Strega.

— Non c'è stato tempo — mormorò la ragazza.

— Be', adesso c'è. Finite di mangiare; poi vi mostrerò le vostre stanze — disse Saint-Germain. Dormite più che potete, siete completamente al sicuro. Nessuno sa che siete qui.

 

I segreti di Nicholas Flamel l'immortale - 2. Il Mago
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