CAPITOLO OTTO

Dobbiamo riposarci — sbottò Josh. — Non ce la faccio più. — Si fermò e si appoggiò contro un edificio, piegato in due. Ogni respiro era uno sforzo, e stava cominciando a vedere dei puntini neri che gli ballavano davanti agli occhi; sentiva che da un momento all'altro avrebbe potuto vomitare. A volte gli capitava la stessa cosa dopo gli allenamenti di football, e sapeva per esperienza che doveva solo sedersi e assumere un po' di liquidi.

Scatty si rivolse a Flamel. — Ha ragione. Dobbiamo riposarci, anche solo per un po'. — Portava ancora Sophie in braccio.

Con i bagliori che illuminavano i tetti parigini a oriente, cominciavano ad apparire i primi lavoratori del mattino. I fuggitivi si erano tenuti sulle buie strade secondarie, e fino ad allora nessuno aveva prestato particolare attenzione allo strano gruppetto, ma Le cose sarebbero cambiate alla svelta quando le strade si fossero riempite di parigini e di turisti.

La sagoma di Flamel si stagliava all'imboccatura del vicolo. Guardò nelle due direzioni prima di voltarsi. — Dobbiamo tenere duro e continuare — replicò. — Ogni secondo di ritardo porta Machiavelli più vicino a noi.

— Non possiamo. — Scatty guardò Flamel, e per un solo istante i suoi occhi verdi mandarono un bagliore. — I gemelli hanno bisogno di riposare — continuò, e poi aggiunse piano: — E anche tu, Nicholas. Sei esausto.

L'Alchimista la scrutò, assorto; quindi annuì, afflosciando le spalle. — Hai ragione, naturalmente. Faremo come dici.

— Forse potremmo andare in un albergo? — suggerì Josh. Era stanco morto, con gli occhi e la gola secchi e la testa che pulsava.

Scatty scosse la testa. — Ci chiederebbero il passaporto...

Sophie si agitò tra le sue braccia, e la Guerriera la depose con delicatezza a terra, appoggiandola al muro.

Josh fu subito al suo fianco. — Sei sveglia — disse, sollevato.

— Non ero davvero addormentata — replicò Sophie, con la voce impastata. — Sapevo quello che stava succedendo, ma era come se lo guardassi da fuori. Come se fossi davanti alla TV. — Si portò le mani alla nuca e premette forte, ruotando il collo. — Ahi, che male!

— Cosa ti fa male?

— Tutto. — La ragazza cercò di drizzarsi, ma i suoi muscoli protestarono, mentre un feroce mal di testa le pulsava dietro gli occhi.

— Non c'è nessuno da queste parti a cui potete chiedere aiuto? — chiese Josh. — Non ci sono altri immortali o Antichi Signori?

— Ci sono immortali e Antichi Signori dappertutto

— rispose Scatty. — Ma pochi sono amichevoli come noi — aggiunse, con un sorriso spento.

— Ci saranno senz'altro degli immortali a Parigi, ma non ho idea di dove trovarne uno — disse Flamel. — E se anche ci riuscissi, non potrei sapere da che parte sta. Perenelle saprebbe cosa fare — aggiunse, con una traccia di tristezza nella voce.

— Tua nonna lo saprebbe? — chiese Josh a Scatty.

La Guerriera lo guardò. — Sono sicura di sì. — Si girò verso Sophie. — Tra tutti i tuoi nuovi ricordi, riesci a trovare qualcosa sugli immortali o sugli Antichi Signori che vivono a Parigi?

La ragazza chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi, ma le scene e le immagini che le balenarono davanti - una pioggia di fuoco da un cielo rosso sangue, un'enorme piramide dal vertice piatto sul punto di essere travolta da un'ondata gigantesca - erano caotiche e terrificanti. Il minimo movimento le faceva male.

— Non riesco a pensare — singhiozzò. — Mi scoppia la testa.

— La Strega potrebbe saperlo, ma non abbiamo modo di contattarla — disse Flamel. — Non ha il telefono.

— Non ha dei vicini di casa, degli amici? — domandò Josh. Si rivolse di nuovo alla sorella. — So che non ci vuoi pensare, ma devi. È importante.

— Non riesco a pensare — replicò Sophie, distogliendo lo sguardo e scuotendo la testa.

— Non pensare. Rispondi e basta — la fulminò Josh. Poi fece un bel respiro e abbassò la voce, parlando lentamente. — Sophie, chi è il migliore amico della Strega di Endor a Ojai?

La ragazza chiuse gli occhi e vacillò, come se fosse sul punto di svenire. Quando li riaprì, scosse la testa. — Non ha amici a Ojai. Ma la conoscono tutti. Forse potremmo chiamare il negozio vicino al suo — suggerì. Poi scosse la testa. — Ma laggiù è troppo tardi.

— Sophie ha ragione — disse Flamel. — Sarà chiuso a quest'ora di notte.

— Sarà anche chiuso — concesse Josh, con un velo di eccitazione nella voce — ma quando siamo partiti abbiamo lasciato Ojai nel caos. E non dimenticate che ho sfondato la fontana del parco con il suv. Scommetto che la polizia e la stampa sono sul posto. E forse i giornalisti potrebbero dirci qualcosa, se gli facciamo le domande giuste. Se il negozio della Strega ha subito dei danni, di sicuro saranno a caccia di una storia.

Flamel annuì. — Potrebbe funzionare. Ci serve solo il nome del giornale.

— "Ojai Valley News", 646-1476 — disse subito Sophie. — Questo me lo ricordo... o meglio, la Strega se lo ricorda — aggiunse, stringendosi nelle spalle. Aveva talmente tanti ricordi in testa, talmente tanti pensieri e idee... e non solo le immagini fantastiche e terrificanti di persone e luoghi che non sarebbero mai dovuti esistere, ma anche pensieri comuni, cose di tutti i giorni: numeri di telefono e ricette, nomi e indirizzi di gente mai sentita nominare, scene di vecchi spettacoli televisivi, locandine cinematografiche... conosceva perfino i titoli di ogni singola canzone di Elvis Presley. Ma erano tutti ricordi della Strega. Mentre lei, in quel preciso istante, faceva fatica a ricordare il numero del proprio cellulare. Cosa sarebbe successo se i ricordi della Strega fossero diventati così forti da sopraffare i suoi?

Sophie cercò di concentrarsi sul volto dei suoi genitori, Richard e Sara. Centinaia di facce le passarono davanti agli occhi in un lampo, immagini di figure scolpite nella pietra, teste di statue gigantesche, dipinti affrescati sulle pareti di edifici, figurine incise su schegge di ceramica.

La ragazza cominciò a preoccuparsi. Perché non riusciva a ricordare il volto dei suoi genitori? Con gli occhi stretti, si concentrò al massimo sull'ultima volta in cui li aveva visti, circa tre settimane prima, mentre si preparavano a partire per gli scavi nello Utah. Ma altre facce accorsero a occupare la sua mente: immagini su stralci di pergamena, frammenti di manoscritti e dipinti a olio screpolati, volti scoloriti di fotografie color seppia, sfocati ritratti su giornali...

— Sophie?

E poi, in un lampo di colore, spuntarono i volti dei suoi genitori, e Sophie sentì i ricordi della Strega che si affievolivano mentre i suoi tornavano in superficie. Di colpo ricordò il numero del proprio cellulare.

— Sorella?

Sophie aprì gli occhi e sbatté le palpebre. Josh le stava di fronte, la faccia vicina alla sua, gli occhi socchiusi in un'espressione preoccupata. — Sto bene — bisbigliò. — Stavo solo cercando di ricordare una cosa.

— Cosa?

La ragazza si sforzò di sorridere. — Il mio numero di telefono.

— Il tuo numero di telefono? E perché? Nessuno si ricorda il proprio numero di telefono. Quando è stata l'ultima volta che ti sei chiamata da sola?

Con le mani intorno a due tazze di cioccolata calda, Sophie e Josh sedevano l'una di fronte all'altro in un caffè vicino alla stazione della metropolitana Gare du Nord. L'unica altra persona nel locale era il barista, un tipo dall'aria scorbutica e la testa rasata,- sulla targhetta appuntata al rovescio c'era scritto il suo nome: ROUX.

— Ho bisogno di una doccia — disse Sophie, avvilita. — Ho bisogno di lavarmi i capelli, di lavarmi i denti e di cambiarmi. Mi sembrano passati giorni dall'ultima volta che ho fatto una doccia.

— Credo che siano davvero passati giorni. Hai un aspetto orribile — concordò Josh, scostando una ciocca di capelli dalla guancia della sorella.

— Sono a pezzi — continuò lei in un sussurro. — Ti ricordi l'estate scorsa a Long Beach, quando mi sono fatta fuori tutto quel gelato, più l'hot dog piccante con le patatine e mezzo litro di quel beverone gassato?

Josh sorrise. — E ti sei finita pure il mio pollo fritto. E il mio gelato!

Sophie ricambiò il sorriso, che subito si affievolì al ricordo. Quel giorno, anche se la temperatura era altissima, le erano venuti i brividi, mentre un blocco di marmo le si era piazzato sul fondo dello stomaco facendola sudare freddo. Aveva combinato un disastro, vomitando in auto, e il veicolo era rimasto inutilizzabile per una settimana. — Ecco come mi sento ora: ho i brividi di freddo e mi fa male dappertutto.

— Be', cerca di non vomitare qui dentro — replicò Josh. — Non penso che Roux, il nostro simpatico barista, ne sarebbe molto felice.

Roux lavorava in quel caffè da quattro anni, e in quell'arco di tempo era stato rapinato due volte e minacciato spesso, ma mai ferito. Dalle porte del locale, che rimaneva aperto tutta la notte, aveva visto passare ogni genere di personaggio strano e talvolta pericoloso. Stabili che quell'insolito quartetto apparteneva al primo genere, se non forse a entrambi. I due ragazzi erano sporchi e puzzolenti e sembravano spaventati ed esausti. L'uomo più vecchio - Roux pensò che fosse il nonno - non era in condizioni migliori. Solo il quarto membro del gruppo - la giovane donna dai capelli rossi e dagli occhi verdi, con il top e i pantaloni neri e un paio di pesanti anfibi ai piedi - sembrava vigile e all'erta. Il barista si chiese in che relazione fosse con gli altri; di certo non sembravano parenti, anche se il ragazzo e la ragazza si somigliavano abbastanza da poter essere gemelli.

Roux aveva esitato quando l'uomo aveva tirato fuori la carta di credito per una cifra così bassa, chiedendosi se non fosse rubata.

— Ho finito gli euro — si era giustificato il vecchio, che parlava francese con un'inflessione particolare, all'antica, quasi formale. — Non potrebbe battere venti e darmi il resto in contanti?

— È contro la nostra politica... — cominciò Roux, ma un secondo sguardo alla ragazza con i capelli rossi e gli occhi severi gli fece cambiare idea. Abbozzò un sorriso nella sua direzione e disse: — D'accordo. — Tanto, se la carta fosse stata rubata, non avrebbe funzionato.

— Gliene sarei grato. E potrebbe darmi il resto in spiccioli?

Roux calcolò otto euro per la cioccolata, ma passò la carta di credito per venti. Si sorprese notando che era americana,- avrebbe giurato che l'uomo fosse francese. Dopo un breve ritardo la transazione andò in porto, così sottrasse il costo delle due bevande e consegnò il resto in monete da uno e due euro,- poi tornò a occuparsi del libro di matematica che teneva nascosto sotto il bancone. Si era sbagliato su quel gruppo. Probabilmente erano turisti appena scesi dai primi treni del mattino; non erano niente di speciale.

Be', forse non tutti. Tenendo la testa china, sollevò gli occhi per scrutare la giovane donna dai capelli rossi, che era ancora lì, di schiena, e parlava con il vecchio.

Con una mossa lenta e cauta, la ragazza si voltò a guardarlo. Gli sorrise, una piega quasi impercettibile delle labbra, e tutt'a un tratto Roux trovò il suo libro molto interessante.

Davanti alla cassa del caffè, Flamel guardava Scathach. — Voglio che rimani qui — disse piano, passando dal francese al latino. Lanciò una rapida occhiata ai gemelli seduti a bere la cioccolata. — Proteggili. Io vado a cercare un telefono.

La Guerriera annuì. — Sta' attento. Se per qualche motivo siamo costretti a separarci, incontriamoci a Montmartre. Machiavelli non si aspetterà che torniamo indietro. Saremo davanti a uno dei ristoranti - La Maison Rose, diciamo - allo scattare di ogni ora, per cinque minuti.

— D'accordo. Ma se non torno entro mezzogiorno, voglio che prendi i gemelli e te ne vai — disse Flamel.

— Non ti abbandonerò — ribatté Scathach senza scomporsi.

— Se non torno, significa che Machiavelli mi ha preso — aggiunse in tono grave l'Alchimista. — Scathach, nemmeno tu potresti salvarmi dal suo esercito.

— Ho già sconfitto eserciti in passato.

Flamel posò una mano sulla spalla della Guerriera. — Adesso sono i gemelli la nostra priorità, e vanno protetti a ogni costo. Continua l'addestramento di Sophie; trova qualcuno che risvegli Josh e addestralo. E salva la mia amata Perenelle, se puoi. Se muoio, dille che il mio fantasma la troverà — concluse l'Alchimista. Poi, senza darle il tempo di replicare, si voltò e uscì nell'aria fresca dell'aurora.

— Torna presto — sussurrò Scatty, ma Flamel se n'era già andato. Se l'avessero preso, decise, avrebbe messo a soqquadro tutta la città pur di ritrovarlo, a dispetto dei suoi ordini. Fece un respiro profondo e si girò, per scoprire che il barista dalla testa rasata la stava fissando. Aveva una ragnatela tatuata su un lato del collo, ed entrambe le orecchie erano trafitte da almeno una dozzina di spunzoni di metallo. Chissà quanto era stato doloroso, si chiese Scathach. Aveva sempre desiderato farsi bucare le orecchie, ma la sua carne si rimarginava troppo in fretta e il buco si chiudeva subito.

— Qualcosa da bere? — chiese Roux, sorridendo nervoso. Per un attimo si intravide il piercing che aveva sulla lingua.

— Acqua — rispose Scatty.

— Ma certo. Perrier?

— Di rubinetto. Senza ghiaccio. — La Guerriera si voltò per raggiungere i gemelli al tavolo. Girò una sedia e si sedette a cavalcioni, appoggiando gli avambracci sullo schienale e il mento sulle braccia.

— Nicholas è andato a cercare di mettersi in contatto con mia nonna, per chiederle se conosce qualcuno da queste parti. Non so cosa faremo se non ci riesce.

— Perché? — chiese Sophie.

Scatty scosse la testa. — Dobbiamo sparire dalla circolazione. Siamo stati fortunati a fuggire dal Sacré-Coeur prima che la polizia accerchiasse la zona. Ormai avranno già trovato quell'agente folgorato, perciò avranno allargato la ricerca, e le pattuglie avranno i nostri identikit. È solo questione di tempo prima che ci trovino.

— Cosa succederà allora? — chiese Josh.

— Allora vedranno perché mi chiamano la Guerriera. — Il sorriso di Scathach era terrificante.

— Ma che succede se ci prendono? — insistette Josh. L'idea di essere un ricercato gli sembrava ancora incomprensibile. Era quasi più facile immaginarsi inseguito da creature mitologiche o umani immortali. — Cosa ci succederebbe?

— Vi consegnerebbero a Machiavelli. Sareste un dono magnifico per gli Oscuri Signori.

— Cosa ci farebbero? — domandò Sophie.

— Meglio che non lo sappiate — rispose Scathach con sincerità. — Ma fidatevi di me: non sarebbe piacevole.

— E che ne sarebbe di te?

— Non ho amici tra gli Oscuri Signori; sono loro nemica da oltre due millenni. Immagino che appronterebbero una prigione in un Regno d'Ombra molto speciale apposta per me. Qualcosa di freddo e umido. Sanno quanto odio il freddo. — Scathach sorrise, premendo la punta dei denti contro le labbra. — Ma non ci hanno ancora presi, e non ci prenderanno facilmente — aggiunse in tono leggero. Poi lanciò un'occhiata a Sophie. — Hai un aspetto terribile.

— È così che mi sento. — La ragazza strinse le mani intorno alla tazza di cioccolata fumante e se la portò alle labbra. Inspirò profondamente,- percepiva ogni sottile sfumatura dell'intenso aroma del cacao. Il suo stomaco brontolò, ricordandole che era passato molto tempo dall'ultima volta che avevano mangiato. La bevanda le lasciò un gusto amaro in bocca e gli occhi lucidi, e Sophie ricordò di aver letto da qualche parte che la cioccolata europea aveva una maggiore percentuale di cacao rispetto a quella americana.

Scatty si sporse in avanti e abbassò la voce. — Dovete darvi il tempo di recuperare dopo tutto lo stress e la stanchezza accumulati. Viaggiare da un lato all'altro del mondo attraverso una porta d'energia è sfiancante. Peggio di un jetlag, dicono.

— E immagino che tu non soffra di jetlag — borbottò Josh. Secondo un vecchio scherzo di famiglia, a lui veniva il jetlag perfino passando in macchina da uno Stato all'altro.

Scatty scosse la testa. — No... non prendo mai l'aereo. Non mi convinceranno mai a salire su uno di quei cosi. Solo le creature provviste di ali dovrebbero solcare i cieli. Anche se una volta ho cavalcato un Lung.

— Un Lung? — chiese Josh, confuso.

— Un Ying Lung, un dragone cinese — spiegò Sophie.

— Per sollevare tutta quella nebbia avrai consumato un sacco di energia aurica — le disse Scathach. — È importante che non usi di nuovo i tuoi poteri finché non ti sarai ricaricata di energia.

Drizzarono tutti e tre la schiena quando Roux lasciò il bancone per portare un bicchiere d'acqua. Lo appoggiò sul bordo del tavolo, abbozzò un sorriso nervoso in direzione di Scathach e si allontanò.

— Secondo me gli piaci — disse Sophie, con un sogghigno.

Scatty si girò per folgorare di nuovo il barista con lo sguardo, ma i gemelli videro che sorrideva. — Ha i piercing — disse a voce alta, in modo che il diretto interessato la sentisse. — Non mi piacciono i ragazzi con i piercing.

La nuca di Roux si tinse di un rosso acceso.

— Perché è importante che Sophie non usi i suoi poteri? — chiese Josh. Nell'anticamera del suo cervello era suonato un campanello d'allarme.

Scathach si sporse in avanti sul tavolo, e i gemelli dovettero fare altrettanto per sentirla. — Quando una persona ha usato tutta la propria energia aurica naturale, i poteri cominciano a nutrirsi della sua stessa carne.

— E cosa succede? — domandò Sophie.

— Avete mai sentito parlare di autocombustione?

Quelle parole non dicevano niente a Sophie, ma Josh

annuì. — Io sì. Persone che vanno a fuoco da sole, senza nessun motivo: è una leggenda metropolitana.

Scathach scosse la testa. — Non è una leggenda. Sono stati registrati molti casi nel corso della Storia — disse in tono pacato. — Ne ho perfino visti un paio di persona. Può succedere in un attimo, e il fuoco, che di solito comincia nello stomaco e nei polmoni, è così violento che si lascia dietro solo cenere. Adesso devi stare attenta, Sophie. Vorrei che mi promettessi di non usare di nuovo il tuo potere oggi, qualunque cosa accada.

— E Flamel lo sapeva! — sbottò |osh, incapace di mascherare la sua rabbia.

— Naturalmente — confermò Scatty, tranquilla.

— E non ha pensato che fosse il caso di dircelo? — aggiunse il ragazzo nello stesso tono di prima.

Accortosi che Roux li stava guardando, |osh abbassò la voce. — Che altro ci nasconde? Che altro comporta questo cosiddetto dono? — aggiunse, quasi sputando sull'ultima parola.

—È successo tutto così in fretta, Josh—ribatté Scatty. — Non c'è stato il tempo di addestrarvi o di istruirvi come si deve. Ma ricordati che Nicholas ha a cuore il vostro interesse. Sta cercando di tenervi al sicuro.

— Eravamo al sicuro, prima di incontrarlo — replicò Josh.

La pelle sugli zigomi di Scathach si tese e un fremito guizzò sui muscoli del collo e delle spalle. Qualcosa di oscuro e di terribile balenò in fondo ai suoi occhi verdi.

Sophie posò una mano sulle braccia dei suoi due compagni di tavolo. — Basta — disse in tono stanco. — Non dobbiamo litigare tra di noi.

Josh stava per replicare, ma l'espressione sul volto esausto della sorella lo spaventò, e annuì. — Okay. Per ora.

— Hai ragione, Sophie — disse Scatty. Poi si girò a guardare Josh. — Mi dispiace che sia tutto sulle spalle di Sophie, in questo momento. È un peccato che i tuoi poteri non siano stati risvegliati.

— Non sai quanto dispiace a me — ribatté lui, con un accento amaro nella voce. Nonostante tutto quello che aveva visto, e pur conoscendone i pericoli, desiderava gli stessi poteri di sua sorella. — Però non è troppo tardi, vero?

Scatty scosse la testa. — Il tuo Risveglio può avvenire in qualsiasi momento, ma non so chi possa avere il potere di farlo. Deve essere un Antico Signore, e sono pochi quelli che hanno questo particolare dono.

— Chi, per esempio? — insistette Josh.

Fu sua sorella a rispondere, come in sogno. — In America, Black Annis o Persefone. — Gli altri due si girarono a guardarla. Sophie sbatté le palpebre, sorpresa. — Conosco i nomi, ma non so chi siano. — Di colpo le si riempirono gli occhi di lacrime. — Ho tutti questi ricordi che non sono miei.

Josh le prese la mano e la strinse con delicatezza.

— Rallegrati di non conoscere Black Annis o Persefone. Soprattutto la prima — disse Scathach in tono cupo. — Mi sorprende che mia nonna l'abbia lasciata vivere, se sa dove si trova.

— È sulle Catskills — rivelò Sophie. — Ahi!

La Guerriera le aveva pizzicato il dorso della mano. — Volevo solo distrarti — spiegò. — È meglio che a Black Annis non ci pensi nemmeno. Certi nomi non si dovrebbero mai pronunciare ad alta voce.

— Ma così è come dire «Non pensare agli elefanti» — protestò Josh. — Il risultato è che pensi soltanto agli elefanti.

— Eccoti qualcos'altro a cui pensare — replicò Scathach. — Ci sono due poliziotti che ci fissano dalla vetrina. Non guardare — si affrettò ad aggiungere.

Troppo tardi. Josh si era girato, e l'espressione che gli passò sul viso, qualunque essa fosse - di sgomento, orrore, colpa o paura - fece precipitare i due agenti nel locale. Mentre il primo sfoderava la pistola e parlava concitato nella trasmittente, l'altro estraeva il manganello.

 

I segreti di Nicholas Flamel l'immortale - 2. Il Mago
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