CAPITOLO QUARANTADUE
Perenelle seguì il fantasma di Juan Manuel de Ayala nel labirinto dei fatiscenti edifici di Alcatraz. Cercò di muoversi sempre nell'ombra, abbassando la testa quando passava davanti a pareti crollate e soglie vuote, costantemente all'erta per scorgere eventuali creature nella notte. Non pensava che la sfinge osasse avventurarsi fuori dalla prigione - nonostante l'aspetto terrificante, le sfingi erano creature codarde, timorose del buio - tuttavia molti degli esseri che aveva visto nelle celle schermate dalle ragnatele erano notturni.
L'ingresso del tunnel era quasi direttamente sotto la cisterna che un tempo costituiva l'unica riserva d'acqua fresca dell'isola. L'impalcatura metallica era arrugginita, corrosa dalla salsedine, dagli escrementi acidi degli uccelli e dalle innumerevoli piccole perdite del gigantesco serbatoio. Il terreno sottostante tuttavia era ricco di vegetazione cresciuta grazie allo sgocciolio dell'acqua.
Lo spettro indicò uno spiazzo di terreno irregolare vicino a uno dei piedi metallici. "Là sotto troverà un cunicolo per il tunnel. Ci sarebbe un altro ingresso sulla scogliera, ma è accessibile solo in barca e con la bassa marea. È di lì che l'inglese ha portato il prigioniero sull'isola; lui non sa di questo secondo ingresso."
Perenelle trovò una sbarra arrugginita e la usò per grattare via il terreno, scoprendo una lastra di cemento pieno di crepe. Continuò a lavorare per liberarla il più possibile dai detriti. Ogni tanto alzava lo sguardo, cercando di capire quanto si fossero avvicinati gli uccelli, ma con il vento che sferzava tra le rovine e gemeva fra i tralicci arrugginiti della cisterna era impossibile distinguere qualsiasi altro rumore. Le fitte volute di nebbia che avevano inghiottito San Francisco e il Golden Gate ormai avevano raggiunto anche l'isola, avvolgendo tutto in una nuvola gravida di umidità e di salsedine.
Quando la donna ebbe finito di grattare via la terra, Juan Manuel de Ayala si portò sopra un punto particolare. "Proprio qui i prigionieri scoprirono l'esistenza del tunnel e riuscirono a scavare un cunicolo. Avevano capito che i decenni di gocciolìi della cisterna avevano ammorbidito il terreno e roso le pietre sottostanti. Ma quando finalmente sbucarono nel tunnel, c'era l'alta marea e lo trovarono inondato. Decisero di lasciar perdere." Lo spettro mostrò i denti in un perfetto sorriso che non aveva mai posseduto in vita. "Se soltanto avessero aspettato la bassa marea..."
Perenelle continuò a grattare il terreno, scoprendo altre pietre spaccate. Conficcando la sbarra sotto il bordo di un blocco, fece leva. La pietra non si mosse. Premette di nuovo con tutte e due le mani; quando anche questo non funzionò, raccolse un masso e lo usò come un martello sulla sbarra: il colpo risuonò per tutta l'isola, come il rintocco di una campana. — Oh, da non crederci! — borbottò. Era riluttante a usare i suoi poteri, perché così avrebbe rivelato la sua posizione alla sfinge, ma non aveva scelta. Raccogliendo la mano destra a coppa, vi riversò la propria aura, che si raccolse come una pozza di mercurio. Posò la mano lievemente, quasi delicatamente, sulla pietra, quindi la rovesciò, lasciando che il potere grezzo filtrasse nel granito.
La pietra divenne morbida e untuosa, e poi si fuse come cera. Densi tocchi di roccia liquida si sfaldarono e scomparvero nell'oscurità sottostante.
"Sono morto da molto tempo; pensavo di avere visto meraviglie, ma non avevo mai visto niente del genere" commentò Juan Manuel de Ayala, sbigottito.
— Un mago della Scizia mi insegnò questo incantesimo dopo che gli avevo salvato la vita. È molto semplice — disse Perenelle, con un sorriso. Si sporse davanti all'apertura e si tirò subito indietro, con le lacrime agli occhi. — Che tanfo micidiale!
Lo spettro aleggiò sopra l'apertura. Si girò e sorrise, mostrando di nuovo la dentatura perfetta. "Io non sento niente."
— Buon per lei — mugugnò Perenelle, scuotendo la testa; i fantasmi avevano spesso un curioso senso dell'umorismo. Il tunnel puzzava di pesce e alghe imputridite, di escrementi rancidi di uccello e pipistrello, di legno marcio e metallo arrugginito. C'era anche un altro odore, acre e pungente, quasi d'aceto. La donna si strappò una striscia di stoffa dall'orlo del vestito e se l'avvolse intorno al naso e alla bocca, a mo' di maschera.
"C'è una specie di scaletta, ma faccia attenzione, non so in che stato l'abbia ridotta la ruggine." Lo spettro si zittì, di colpo. "Gli uccelli hanno raggiunto l'estremità meridionale dell'isola. E c'è anche qualcos'altro. Qualcosa di malvagio. Lo sento."
— La Morrigan. — Perenelle si sporse sopra l'apertura e schioccò le dita. Un pennacchio di luce bianca si staccò dai suoi polpastrelli, scese nel cunicolo e scomparve nel buio, illuminando col suo bagliore lattiginoso le pareti gocciolanti e striate di sporco. La luce aveva rivelato anche la scaletta: poco più di una serie di spunzoni conficcati a distanze irregolari nel muro, non più lunghi di dieci centimetri, incrostati di ruggine e umidità. Perenelle afferrò il primo piolo e tirò forte; sembrava abbastanza solido. Quindi si girò e infilò una gamba nell'apertura. Trovò uno dei pioli col piede e scivolò subito. Tirò su la gamba, si tolse i sandali e se li infilò sotto la cintura.
Nell'aria si avvertì un forte battito di ali: gli uccelli. Erano migliaia, e si stavano avvicinando. Perenelle sapeva che il piccolo dispendio di potere che aveva usato per fondere la pietra e illuminare l'interno del tunnel aveva rivelato alla Morrigan la sua posizione. Le restavano pochi momenti prima dell'arrivo degli uccelli...
Infilò di nuovo la gamba nel cunicolo, toccando il piolo con il piede nudo. Il ferro era freddo e viscido, ma almeno la presa era migliore. Aggrappandosi a dei robusti ciuffi di vegetazione, si calò nell'apertura, trovando il piolo successivo con l'altro piede e afferrandone uno con la mano sinistra. Si irrigidì con una smorfia; il metallo aveva una superficie melmosa, ripugnante. E poi sorrise: quanto era cambiata! Da bambina, secoli prima a Quimper, nuotava nelle pozze d'acqua stagnante tra gli scogli, raccogliendo e mangiando frutti di mare crudi. Camminava a piedi scalzi per le strade, con il fango e la sporcizia fino alle caviglie.
Saggiando bene ogni gradino, Perenelle cominciò a scendere nel cunicolo. A un certo punto un piolo si ruppe e cadde giù, risuonando nell'oscurità; la caduta sembrò durare molto a lungo. La donna si addossò alla parete, e il suo leggero vestito estivo si inzuppò di umidità. Reggendosi con tutte le forze, cercò un altro piolo. Lo sentì muoversi tra le sue dita, e per un attimo d'angoscia pensò che stesse per staccarsi dal muro; ma tenne.
"C'è mancato poco. Pensavo che sarebbe venuta a farmi compagnia" commentò lo spettro, materializzandosi nel buio direttamente di fronte al suo viso.
— Non sono tanto facile da uccidere — replicò Perenelle, continuando a scendere. — Però sarebbe stata bella: sopravvivere a decenni di attacchi concentrati di Dee e dei suoi Oscuri Signori, e poi morire per una caduta. — Allungò la testa verso l'apertura, visibile solo per i ciuffi di nebbia grigia che si riversavano sinuosa- mente nel cunicolo. — Che sta succedendo lassù?
"L'isola è ricoperta di uccelli" rispose Juan Manuel de Ayala. "Saranno centinaia di migliaia, appollaiati su ogni superficie disponibile. La Dea Corvo è entrata nella prigione, senza dubbio alla ricerca della sfinge."
— Non abbiamo molto tempo, allora. — La donna scese di un altro passo e il piede affondò in una melma densa e appiccicosa,- aveva raggiunto il fondo del cunicolo. Il fango era gelido, e Perenelle sentì il freddo che le penetrava nelle ossa. Qualcosa strisciò sopra i suoi piedi. — Da che parte?
Un braccio dal candore spettrale indicò direttamente di fronte a lei. Si trovavano all'imboccatura di un tunnel alto, scavato rozzamente nella roccia in lieve pendenza. La luminescenza della sua guida illuminò la guaina di ragnatele che rivestiva le pareti. Erano talmente fitte che i muri sembravano dipinti d'argento.
"Io non posso andare oltre" disse Juan Manuel de Ayala. "Dee ha posto dei sigilli e degli incantesimi di protezione potentissimi lungo il tunnel. Non posso attraversarlo. La cella che sta cercando è a circa dieci passi da qui, alla sua sinistra."
Pur essendo riluttante a usare la magia, Perenelle sapeva di non avere scelta. Schioccò le dita, e una sfera di fuoco bianco si accese sopra la sua spalla destra, gettando sulle pareti una tenue luce opalescente che illuminò ogni singola ragnatela fin nel più intricato particolare. Le tele formavano una spessa cortina davanti all'apertura, sovrapponendosi.
Chiedendosi quanti ragni ci fossero in quel posto, Perenelle fece un passo avanti e la luce si spostò assieme a lei. Vide il primo dei sigilli di protezione che Dee aveva piazzato nel tunnel: una serie di lance di legno dalla punta di ferro era conficcata in profondità nel pavimento melmoso; sulla testa piatta di ognuna era dipinto un antico simbolo di potere, un geroglifico squadrato che le popolazioni maya avrebbero riconosciuto. Intravide almeno una dozzina di lance, ognuna con un simbolo differente. Sapeva che presi singolarmente essi non aveva significato; tutti insieme però costituivano una rete zigzagante e robustissima di potere grezzo, che si intrecciava lungo il corridoio emettendo raggi invisibili di luce nera. Le ricordò i complicati sistemi di allarme laser usati dalle banche. Il potere non aveva effetto sugli esseri umani - e infatti lei sentiva solo un ronzio sordo e un tensione sulla nuca - ma era una barriera impenetrabile per qualsiasi rappresentante dell'Antica Razza, della Nuova Generazione e dei Clan Mannari. Perfino i fantasmi erano sensibili al suo influsso.
Perenelle riconobbe alcuni dei simboli sulle lance: li aveva visti scritti nel Codice e scolpiti sulle rovine di Palenque, in Messico. La maggior parte di essi risaliva a un'epoca precedente all'avvento dell'umanità; molti erano perfino più antichi degli Antichi Signori e appartenevano alla razza che aveva abitato il pianeta nel passato più remoto. Erano le Parole di Potere, gli antichi Simboli di Legame, concepiti per proteggere - o intrappolare - qualcosa di incredibilmente prezioso o di straordinariamente pericoloso.
E Perenelle aveva la sensazione che quello sarebbe stato il secondo caso; si chiese anche dove Dee avesse rinvenuto le antiche parole. Poi, sguazzando nella melma densa, fece il primo passo all'interno del tunnel. Tutte le ragnatele frusciarono e tremarono, un suono simile allo stormire smorzato delle foglie. "Devono esserci milioni di ragni, qui" pensò la donna. Non le facevano paura; aveva affrontato creature molto più spaventose, ma era consapevole che in quella massa di aracnidi dovevano esserci anche velenosi esemplari di ragni violino, vedove nere e perfino ragni cacciatori sudamericani. Il morso di uno di essi l'avrebbe sicuramente messa fuori combattimento, forse perfino uccisa.
Perenelle estrasse una delle lance dal fango e la usò per scostare le ragnatele. Il simbolo squadrato sulla testa metallica brillò di una luce rossa e i filamenti serici sfrigolarono al contatto della lancia. Un'ombra densa arretrò nell'oscurità. Avanzando lentamente nel tunnel stretto, la donna abbatté tutte le lance che incontrò sul suo cammino, lasciando che la melma sudicia lavasse via le Parole di Potere, smantellando a poco a poco l'intricato disegno magico. Se Dee si era preso la briga di intrappolare qualcosa in quella cella, significava che non era in grado di controllarla. E lei voleva scoprire cos'era e liberarla. Ma mentre si avvicinava, con la sfera di luce che gettava una luce tremolante nel corridoio, un altro pensiero le balenò nella mente: e se Dee avesse imprigionato qualcosa di cui anche lei doveva avere paura, qualcosa di antico e di orribile? Si chiese se non stesse commettendo un terribile errore.
I simboli dipinti sugli stipiti e sulla porta della cella le urtarono gli occhi. Spigolosi e sgradevoli, sembravano muoversi e contorcersi sulla pietra, un po' come la scrittura del Libro di Abramo. Ma mentre le lettere dell'antico libro formavano parole in lingue per la maggior parte riconoscibili, se non comprensibili, quei simboli assumevano forme inimmaginabili.
Perenelle si piegò, raccolse un po' di fango e lo schizzò sulle lettere, cancellandole. Solo dopo aver completamente ripulito le Parole di Potere primordiali varcò la soglia, facendosi precedere dalla sfera di luce mobile. Ci mise un solo attimo per comprendere appieno quello che si trovava davanti. E in quell'attimo capì che smantellare il potente disegno di guardia forse era stato un terribile errore.
L'intera cella era uno spesso bozzolo di ragnatele. Al centro, sospeso a un unico filo di seta, c'era un ragno. La creatura era enorme, delle stesse dimensioni della gigantesca cisterna che svettava sull'isola. Somigliava vagamente a una tarantola, ma era rivestito da un'ispida pelliccia violacea, picchiettata di grigio. Ciascuna delle sue otto zampe era più grossa di un uomo. Al centro del corpo c'era una testa, quasi umana. Era liscia e rotonda, priva di orecchie e di naso, con uno squarcio orizzontale per bocca. Come una tarantola, aveva otto piccoli occhi incastonati quasi sulla sommità del cranio.
Uno dopo l'altro, quegli occhi si aprirono lentamente, ciascuno del colore di un vecchio livido. Si fissarono sul volto della donna. Poi la bocca si spalancò e comparvero due lunghe zanne appuntite come lance. — Madame Perenelle — sibilò la creatura.
— Areop-Enap — replicò lei, riconoscendo l'Antico Ragno. — Pensavo che fossi morto.
— Pensavi di avermi ucciso, vuoi dire!
La ragnatela ebbe un fremito, e all'improvviso l'orribile creatura si scagliò contro Perenelle.