CAPITOLO VENTIQUATTRO

Il dottor John Dee spense la luce e uscì sul balcone dell'enorme camera da letto. Poggiò le braccia sulla ringhiera e si mise a scrutare la città di Parigi. Aveva piovuto da poco e l'aria era umida e fredda, gravida dell'odore acre della Senna e del sentore vago dei gas di scarico.

Dee odiava Parigi.

Non era sempre stato così. Un tempo era la sua città europea preferita, piena dei più straordinari e meravigliosi ricordi. Dopotutto, in quella città l'avevano reso immortale. In una segreta nelle profondità della Bastiglia, la prigione fortezza, la Dea Corvo l'aveva portato al cospetto dell'Antico Signore che gli aveva concesso la vita eterna in cambio della fedeltà più assoluta.

Dee aveva lavorato per gli Antichi Signori, spiato per loro, intrapreso molte missioni pericolose in innumerevoli Regni d'Ombra. Aveva combattuto eserciti di morti e di morti viventi, inseguito mostri nei territori più aspri e desolati, sottratto alcuni degli oggetti magici più preziosi e più sacri a decine di civiltà. Con l'andare del tempo, era divenuto il campione degli Oscuri Signori; niente era al di sopra delle sue capacità, nessuna missione era troppo difficile... tranne quando si arrivava ai Flamel. Il Mago inglese non era mai riuscito a catturare Nicholas e Perenelle, fallendo infinite volte, alcune delle quali in quella stessa città.

Rimaneva uno dei più grandi misteri della sua lunga esistenza: com'erano riusciti a sfuggirgli? Comandava un esercito di agenti umani e inumani, aveva a disposizione creature provenienti dai confini più oscuri della mitologia, uccelli, ratti, gatti e cani obbedivano ai suoi ordini. Ma da oltre quattrocento anni i Flamel sfuggivano alla sua cattura, prima lì a Parigi, poi in giro per l'Europa e in America, anticipandolo sempre di un passo, spesso lasciando il luogo in cui si trovavano a poche ore soltanto dal suo arrivo. Sembrava quasi che qualcuno li avvertisse. Ma questo, naturalmente, era impossibile: il Mago non rivelava mai a nessuno i suoi piani.

Una porta si aprì e si richiuse alle sue spalle. Dilatando le narici, Dee percepì un odore stantio di serpente. — Buonasera, Niccolò — disse senza voltarsi.

— Benvenuto a Parigi. — Niccolò Machiavelli parlava il latino con un accento italiano. — Hai fatto buon viaggio? Spero che la camera sia di tuo gradimento. — L'aveva mandato a prendere all'aeroporto, facendolo scortare dalla polizia fino alla sua lussuosa residenza in Place du Canada.

— Loro dove sono? — chiese bruscamente Dee, ignorando le domande del suo ospite e imponendo così la propria autorità. Pur essendo qualche anno più giovane dell'italiano, era lui a comandare.

Machiavelli uscì sul balcone e si mise al suo fianco; per non sgualcire la giacca contro la ringhiera, rimase con le mani intrecciate dietro la schiena. L'italiano alto, elegante, con il volto rasato e la corta zazzera di capelli bianchi creava un netto contrasto con quell'uomo basso e dai lineamenti irregolari, con il pizzetto a punta e i capelli grigi legati in una stretta coda di cavallo. — Sono ancora a casa di Saint-Germain. E Flamel li ha raggiunti da poco.

Dee gli lanciò un'occhiata di sghembo. — Mi sorprende che tu non abbia cercato di catturarli da solo

— disse in tono allusivo.

Machiavelli scrutò la città che era sotto il suo controllo. — Oh, ho pensato che fosse meglio lasciare a te la cattura finale.

— Vuoi dire che ti hanno ordinato di lasciarli a me

— lo fulminò Dee.

Machiavelli non disse nulla.

— La casa di Saint-Germain è completamente circondata?

— Completamente.

— E ci sono solo cinque persone nell'abitazione? Niente domestici o guardie?

— Sono solo l'Alchimista, Saint-Germain, i gemelli e l'Ombra.

— Il problema è Scathach — mugugnò Dee.

— Forse ho la soluzione — replicò Machiavelli. Aspettò che l'inglese si voltasse a guardarlo, con gli occhi di pietra che luccicavano di un bagliore arancione per il riflesso dei lampioni. — Ho mandato a chiamare le Disir, le nemiche acerrime di Scathach. Ne sono appena arrivate tre.

Un raro sorriso incurvò le labbra del Mago, che si scostò da Machiavelli e fece un piccolo inchino. — Le Valchirie... una scelta davvero eccellente.

— Stiamo dalla stessa parte — osservò l'italiano ricambiando l'inchino. — Serviamo gli stessi padroni.

Il Mago stava per rientrare in casa ma si fermò, voltandosi a guardare l'altro. Per un attimo, un lievissimo sentore sulfureo di uova marce aleggiò nell'aria. — Tu non hai idea di chi sia il mio padrone — disse.

Dagon spalancò i due grossi battenti della porta e si fece da parte. Niccolò Machiavelli e John Dee entrarono nella preziosa biblioteca per salutare le visitatrici.

Nella stanza c'erano tre giovani donne. A un primo sguardo erano talmente simili da poter essere scambiate per gemelle. Alte e slanciate, con i capelli biondi lunghi sulle spalle, erano vestite nello stesso modo: canot- ta nera, morbidi giubbotti di pelle e jeans blu infilati negli stivali al ginocchio. Le facce erano tutte spigoli: zigomi marcati, occhi infossati, mento aguzzo. Solo gli occhi aiutavano a distinguerle,- erano in diverse sfumature d'azzurro, dal celeste chiarissimo a un blu quasi violetto. Tutte e tre dimostravano tra i sedici e i diciassette anni, ma di fatto erano più antiche della maggior parte delle civiltà.

Erano le Disir.

Machiavelli si portò al centro della stanza e guardò le ragazze, cercando di distinguerle l'una dall'altra. Una era seduta al pianoforte a coda, un'altra era distesa sul divano e la terza era in piedi davanti alla finestra, a scrutare nel buio, con un libro rilegato in pelle tra le mani. Quando lo sentirono avvicinarsi voltarono tutte e tre la testa, e l'italiano notò che indossavano uno smalto intonato al colore degli occhi.

— Grazie di essere venute — disse Machiavelli in latino, lingua che con il greco era l'unica conosciuta dalla maggior parte degli Antichi Signori.

Le ragazze lo guardarono con un'espressione vuota.

Machiavelli lanciò un'occhiata a Dagon, che era entrato nella biblioteca e si era richiuso la porta alle spalle. Il servitore si tolse gli occhiali, scoprendo gli occhi globosi, e parlò svelto in un idioma che nessuna gola o lingua umana avrebbe potuto pronunciare.

Le donne lo ignorarono.

John Dee sospirò rumorosamente. Si lasciò cadere in una poltrona di pelle dallo schienale alto e batté le mani producendo un sonoro schiocco. — Basta sciocchezze! — disse. — Voi siete qui per Scathach. La volete o no?

La Disir seduta al pianoforte fissò il Mago. Se Dee notò l'impossibile angolatura che aveva assunto la sua testa, non lo diede a vedere. — Dov'è? — chiese la ragazza.

— Qui vicino — rispose Machiavelli, spostandosi lentamente per la stanza.

Le tre ragazze si voltarono a guardarlo all'unisono, ruotando la testa per seguire i suoi movimenti, come gufi che puntano la preda.

— Che sta facendo?

— Sta proteggendo l'Alchimista, Saint-Germain e due homines. A noi interessano solo gli homines e Flamel. Scathach è vostra. — Machiavelli fece una pausa, poi aggiunse: — Potete prendere anche Saint-Germain, se volete. A noi non serve.

— L'Ombra. Vogliamo solo l'Ombra! — esclamò la Disir seduta al pianoforte. Le dita dalle unghie violette danzarono sui tasti, sprigionando un suono soave e bellissimo.

Machiavelli si avvicinò a un tavolinetto e si versò del caffè da un alto bricco d'argento. Guardò Dee e alzò le sopracciglia e il bricco insieme. Il Mago scosse la testa. — Sappiate che Scathach è ancora potente — disse l'italiano. — Ieri mattina ha liquidato un'intera unità di poliziotti altamente addestrati.

— Homines!— esclamò la Disir al pianoforte con disprezzo. — Nessuno di loro è in grado di tenere testa all'Ombra.

— Ma noi non siamo homines — intervenne la Disir alla finestra.

— Noi siamo le Disir — concluse la terza, seduta di fronte a Dee. — Siamo le Vergini Guerriere, le Designatoci dei Morti, le Guerriere di...

— Sì, sì, va bene — l'interruppe Dee con impazienza. — Sappiamo chi siete: le Valchirie. Probabilmente le migliori guerriere che il mondo abbia mai conosciuto... secondo voi, naturalmente. Ma noi vogliamo sapere se siete in grado di sconfiggere l'Ombra.

La Disir con gli occhi violetti si staccò dal pianoforte e con movenze fluide e aggraziate si mise in piedi, avanzò con passo altero sul tappeto e si portò di fronte a Dee.

Le altre due furono subito al suo fianco, e la temperatura della stanza crollò.

— Sarebbe un errore prendersi gioco di noi, dottor Dee — disse una.

Dee sospirò. — Siete in grado di sconfiggere l'Ombra? — chiese di nuovo. — Perché, in caso contrario, sono sicuro che ci saranno altri guerrieri felicissimi di farlo. — Sollevò il cellulare. — Posso chiamare le Amazzoni, i Samurai o i Bogatyr. — Mentre Dee parlava, la temperatura della stanza continuava a precipitare, e il fiato gli usciva di bocca in nuvole di vapore candido, che si induriva in cristalli di ghiaccio sulle sue sopracciglia e sulla barba. — Basta giochetti! — Dee schioccò le dita, e la sua aura per un attimo si illuminò di giallo. La stanza divenne tiepida, poi afosa, satura del fetido odore di uova marce.

— Non c'è nessun bisogno di quei dilettanti. Le Disir uccideranno l'Ombra — disse la ragazza alla sua destra.

— Come? — la fulminò Dee.

— Abbiamo una cosa che gli altri guerrieri non hanno.

— Voi parlate per enigmi — ribatté lui con impazienza.

— Diteglielo — esortò Machiavelli.

La Disir con gli occhi più chiari voltò la testa nella sua direzione e poi tornò a guardare Dee. Lunghe dita si mossero di scatto verso il volto del dottore. — Tu hai distrutto l'Yggdrasill e hai liberato la nostra creatura prediletta, rimasta a lungo intrappolata nelle radici dell'Albero del Mondo.

Qualcosa brillò in fondo agli occhi dell'inglese e un muscolo guizzò in un angolo della sua bocca. — Nidhogg? — Dee guardò Machiavelli. — Tu lo sapevi?

L'italiano annuì. — Naturalmente.

La Disir con gli occhi violetti si accostò a Dee e si chinò a guardarlo in faccia. — Sì, tu hai liberato Nidhogg, il Divoratore di Cadaveri. — Senza spostarsi dal dottore, ruotò la testa verso Machiavelli. Anche le sue sorelle si voltarono a guardarlo. — Portateci dove si nascondono l'Ombra e gli altri e lasciateci sole. Una volta liberato Nidhogg, il destino di Scathach sarà segnato.

— Siete in grado di controllare la creatura? — chiese Machiavelli.

— Quando si sarà nutrito dell'Ombra, consumando prima i suoi ricordi e poi la sua carne e le sue ossa, avrà bisogno di dormire. Dopo un banchetto come Scathach, probabilmente dormirà per un paio di secoli. Allora lo cattureremo di nuovo.

— Non abbiamo parlato del compenso — ricordò Machiavelli.

Le tre Disir sorrisero, e perfino l'italiano, che aveva assistito a orrori indicibili, si ritrasse di fronte all'espressione dipinta sui loro volti.

— Niente compensi — disse la Disir con gli occhi violetti. — Lo faremo per ristabilire l'onore del nostro clan e vendicare la nostra famiglia caduta. Scathach l'Ombra ha distrutto molte delle nostre sorelle.

Machiavelli annuì. — Capisco. Quando attaccherete?

— All'alba.

— Perché non subito? — domandò Dee.

— Siamo creature crepuscolari. In quel tempo immobile tra la notte e il giorno siamo al massimo delle forze — spiegò una delle tre.

— È allora che siamo invincibili — aggiunse un'altra Disir.

 

I segreti di Nicholas Flamel l'immortale - 2. Il Mago
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