CAPITOLO VENTISEI
Perenelle era confusa.
Muovendosi con molta cautela lungo i corridoi male illuminati, aveva scoperto che tutte le celle sotterranee dell'isola-prigione pullulavano di creature provenienti dai confini più oscuri del mito. Aveva incontrato una dozzina di razze diverse di vampiri e varie bestie mannare, oltre a boggart, troll e clu- ricauni. Una cella ospitava un cucciolo di minotauro addormentato, mentre in quella di fronte due windigo cannibali giacevano privi di sensi accanto a un trio di oni. Un intero corridoio di celle era occupato da stirpi di draghi e viverne.
Perenelle non pensava che quelle creature fossero prigioniere - nessuna delle celle era chiusa a chiave - eppure erano tutte addormentate, ed erano schermate da scintillanti ragnatele d'argento. Non avrebbe saputo dire, però, se quell'accorgimento servisse a tenere imprigionate le creature o semplicemente a separarle l'una dall'altra. Oltrepassò una cella la cui ragnatela pendeva giù a brandelli. Era vuota, ma la ragnatela sul pavimento era cosparsa di ossa, nessuna delle quali neanche vagamente umana.
Quelle creature provenivano da dozzine di paesi e da altrettante mitologie diverse. Alcune - come i windigo - Perenelle le aveva solo sentite nominare, ed erano native del continente americano. Altre, a quanto le risultava, non erano mai giunte nel Nuovo Mondo ed erano sempre rimaste al sicuro nelle rispettive patrie o nei Regni d'Ombra a esse confinanti. Gli oni giapponesi non avrebbero dovuto coesistere con i peist celtici. C'era qualcosa di terribilmente sbagliato in quel posto.
Perenelle svoltò un angolo e si sentì sfiorare i capelli da una brezza. Rivolse il viso in quella direzione, le narici dilatate, e percepì un odore di salsedine e alghe. Lanciandosi una rapida occhiata alle spalle, corse in fondo al corridoio.
A quanto pareva, Dee stava raccogliendo quelle creature, le stava riunendo insieme, ma perché? E soprattutto, come? Già catturare un singolo vetala era inaudito, ma una dozzina? E com'erano riusciti a strappare un cucciolo di minotauro alla madre? Perfino Scathach, temeraria e micidiale com'era, non avrebbe mai affrontato un esemplare della razza dalla testa taurina a meno che non fosse proprio necessario.
La donna giunse a una rampa di scale. L'odore di salsedine era più intenso, la brezza più fresca, ma Perenelle esitò prima di poggiare il piede sul primo gradino, chinandosi a controllare che non ci fossero fili d'argento. Non ce n'erano. Non aveva ancora individuato la creatura che aveva tessuto le ragnatele che incorniciavano come festoni le celle sotterranee, e ciò la rendeva incredibilmente nervosa. Suggeriva che i tessitori o le tessitrici stessero dormendo... il che significava che prima o poi si sarebbero svegliati. A quel punto, l'intera prigione avrebbe pullulato di ragni, e lei non voleva farsi trovare allo scoperto.
Un po' del suo potere era ritornato, e le era già sufficiente a difendersi, anche se nel momento stesso in cui avesse usato la magia, avrebbe non solo attirato la sfinge, ma si sarebbe ritrovata invecchiata e indebolita. Perenelle sapeva che avrebbe avuto una sola occasione per sconfiggere la creatura, e voleva - doveva - essere il più potente possibile per lo scontro. Sfrecciando su per la scale, si fermò di fronte alla porta arrugginita. Si scostò i capelli e appoggiò l'orecchio sul metallo corroso. Percepì soltanto il martellare sordo del mare che continuava a erodere l'isola. Afferrando la maniglia con entrambe le mani, la spinse piano e aprì, stringendo i denti allo stridore e allo sconquasso dei vecchi cardini che riecheggiarono nei corridoi.
Si ritrovò in un vasto cortile circondato da edifici fatiscenti e macerie. Alla sua destra, il sole si tuffava nell'orizzonte, tingendo le pietre di una calda luce color arancio. Con un sospiro di sollievo, Perenelle allargò le braccia e rivolse il viso al sole, con la testa all'indietro e gli occhi chiusi. Scintille di energia crepitarono lungo i suoi capelli neri mentre la sua aura si ricaricava. Il vento che spazzava il cortile era fresco, e la donna inspirò profondamente, liberandosi i polmoni dal tanfo di marciume del sottosuolo.
Fu allora che comprese ciò che tutte le creature nelle celle avevano in comune: erano mostri. Dov'erano gli spiriti gentili, i folletti e le fate, le uldre e le rusalke, gli elfi e gli inari? Dee aveva riunito solo i predatori: stava radunando un esercito di mostri.
Un ululato selvaggio squarciò l'isola, facendo vibrare perfino le pietre sotto i piedi di Perenelle. — Fattucchiera! — La sfinge aveva scoperto la fuga della prigioniera. — Dove sei, fattucchiera?
La fresca aria marina si tinse di colpo del fetore della sfinge. Perenelle si stava girando per chiudere la porta quando colse un movimento nelle tenebre. Aveva guardato il sole troppo a lungo, e la sfera dorata le aveva lasciato scintillanti aloni di luce sul fondo della retina. Strinse gli occhi per un secondo, poi li riaprì per scrutare nel buio. Le ombre si muovevano, fluivano giù dalle pareti per raccogliersi ai piedi delle scale.
Perenelle scosse la testa. Non erano ombre. Quella era una massa di creature: migliaia di creature che confluivano tutte sulle scale, rallentando solo quando si avvicinavano alla luce. Sapeva che cos'erano: ragni - letali e velenosi - e capì perché le ragnatele erano così diverse. Quella che aveva visto era una massa di tarantole e ragni violino, vedove nere e Atrax australiani. Sapeva che non potevano coesistere, e ciò significava una cosa sola: qualunque cosa li avesse chiamati e ora li controllasse, con ogni probabilità si annidava nel sottosuolo.
La donna chiuse con un colpo violento la porta e vi piazzò davanti una grossa pietra. Poi si girò e si mise a correre. Ma riuscì a fare solo una dozzina di passi prima che la porta fosse abbattuta, scardinata dal peso della massa di ragni.