CAPITOLO UNO

L'asta di beneficenza era cominciata dopo la mezzanotte, al termine della cena di gala. Erano quasi le quattro del mattino, e si stava avviando alla conclusione solo allora.

Uno schermo digitale alle spalle della celebrità che fungeva da banditore - un attore che per molti anni aveva interpretato il ruolo di James Bond sullo schermo - mostrava il totale raggiunto: oltre un milione di euro.

— Lotto numero duecentodieci: coppia di maschere kabuki giapponesi dei primi del Diciannovesimo secolo.

Un brivido di eccitazione percorse la sala affollata.

Incastonate di giada massiccia, le maschere kabuki erano il pezzo clou dell'asta; ci si aspettava che fruttassero oltre mezzo milione di euro. L'uomo alto e magro in fondo alla sala, con la corta zazzera di capelli bianchi come la neve, era disposto a pagarne il doppio.

Niccolò Machiavelli si teneva in disparte dal resto della folla, le braccia comodamente incrociate al petto, attento a non sgualcire lo smoking di seta firmato. Grigi occhi di pietra passavano rapidamente in rassegna gli altri offerenti, soppesandoli con cura. Ce n'erano soltanto cinque da tenere d'occhio sul serio: due collezionisti privati come lui, un membro di una piccola famiglia reale europea, un attore americano un tempo famoso e un antiquario canadese. Il resto del pubblico era stanco, aveva già speso la somma preventivata o non aveva nessuna voglia di avanzare un'offerta per quelle maschere dall'aria vagamente inquietante.

Machiavelli amava tutti i generi di maschere. Le collezionava da moltissimo tempo, e desiderava quella particolare coppia per completare la sua serie di costumi teatrali giapponesi. Quelle maschere non venivano messe all'asta dal 1898, a Vienna, quando erano state acquistate da un principe Romanov. Machiavelli aveva pazientemente atteso il momento opportuno; sapeva che sarebbero tornate sul mercato dopo la morte del principe e dei suoi discendenti. E sapeva anche che lui sarebbe stato ancora in circolazione per comprarle; era uno dei molti vantaggi dell'essere immortali.

— Vogliamo far partire l'offerta da centomila euro?

Machiavelli alzò lo sguardo, richiamò l'attenzione del banditore e annuì.

L'uomo si aspettava la sua offerta e annuì a sua volta. — Ho un'offerta di centomila euro da parte di Monsieur Machiavelli, da sempre tra gli sponsor e i sostenitori più generosi di questa associazione.

Applausi discreti si levarono qua e là nella sala, e diverse persone si girarono a guardarlo, sollevando il bicchiere. Machiavelli ricambiò con un sorriso di cortesia.

— Chi offre centodieci? — chiese il banditore.

Uno dei collezionisti privati alzò leggermente la

mano.

— Centoventi? — Il banditore tornò a guardare Machiavelli, che subito confermò.

Nei tre minuti successivi una raffica di offerte fece salire il prezzo a duecentocinquantamila euro. Erano rimasti solo tre offerenti seri: Machiavelli, l'attore americano e l'antiquario canadese.

Le labbra sottili di Machiavelli si piegarono in un raro sorriso; la sua pazienza stava per essere ricompensata: finalmente le maschere sarebbero state sue. Ma il sorriso si spense quando l'uomo percepì la vibrazione del cellulare nella tasca dei pantaloni. Per un attimo fu tentato di ignorarlo; aveva dato al suo staff istruzioni precise di non disturbarlo, a meno che non fosse stato della massima importanza. Però sapeva che non avrebbero mai telefonato se non fosse stata un'emergenza: lo temevano troppo. Tirò fuori il telefonino ultrasottile e abbassò lo sguardo.

L'immagine di una spada lampeggiava sull'ampio schermo a cristalli liquidi.

In quell'istante Machiavelli capì che nemmeno in quel secolo sarebbe riuscito a comprare le maschere kabuki. Girò sui tacchi, uscì dalla sala e si portò il cellulare all'orecchio. Alle sue spalle, sentì il martelletto del banditore che colpiva il leggio.

— Aggiudicate. Per duecentosessantamila euro...

— Pronto — disse Machiavelli, tornando all'italiano della sua giovinezza.

La linea crepitò e una voce dall'accento inglese rispose nella stessa lingua, usando un dialetto che non si sentiva più in Europa da oltre quattrocento anni.

— Mi serve il tuo aiuto.

L'uomo all'altro capo della linea non si qualificò, né ebbe bisogno di farlo,- Machiavelli sapeva che si trattava del dottor John Dee, mago e negromante immortale, uno degli uomini più potenti e pericolosi del mondo.

L'italiano uscì di buon passo dal piccolo albergo, sbucando sull'ampia piazza lastricata di Place du Tertre, e si fermò a riprendere fiato nella gelida aria notturna.

— Cosa posso fare per te? — chiese, cauto. Detestava Dee e sapeva che il sentimento era reciproco, ma entrambi servivano gli Oscuri Signori, e questo significava che nel corso dei secoli erano stati costretti a lavorare insieme. Era anche un po' invidioso del fatto che Dee fosse più giovane di lui. Machiavelli era nato a Firenze nel 1469, il che lo rendeva di cinquantanni più vecchio del mago inglese. La Storia registrava che era morto nello stesso anno in cui Dee era nato, nel 1527.

— Flamel è tornato a Parigi.

Machiavelli drizzò la schiena. — Quando?

— Ora. Ha attraversato una porta d'energia. Non ho idea di dove sbuchi. C'è Scathach con lui...

Le labbra di Machiavelli si piegarono in una smorfia. L'ultima volta in cui l'aveva incontrata, la Guerriera lo aveva scaraventato di peso contro una porta, e lui ci aveva messo quasi un mese per togliersi tutte le schegge dal petto e dalle spalle.

— Ci sono anche due homines. Due ragazzi americani — aggiunse Dee, la voce che riecheggiava e si affievoliva sulla linea transatlantica. — Gemelli.

— Come dici?

— Gemelli — ripetè Dee. — Con aure d'oro e d'argento puro. Sai quello che significano.

— Sì — mormorò Machiavelli. — Significano guai.

— L'ombra di un sorriso gli attraversò le labbra. Potevano anche essere un'opportunità.

La linea crepitò di nuovo, poi la voce di Dee continuò:

— I poteri della ragazza sono stati risvegliati da Ecate prima che la dea e il suo Regno d'Ombra fossero distrutti.

— Senza addestramento, la ragazza non è una minaccia — replicò Machiavelli, valutando rapidamente la situazione. Inspirò e aggiunse: — Tranne forse che per se stessa e per quelli che la circondano.

— Flamel ha portato la ragazza a Ojai. La Strega di Endor l'ha istruita nella Magia dell'Aria.

— Avrai cercato di fermarli, immagino. — C'era una punta di divertimento nella voce di Machiavelli.

— Ho cercato. E fallito — ammise Dee con dispetto.

— La ragazza ha un certo sapere, ma non lo sa usare.

— Cosa vuoi che faccia? — chiese Machiavelli con prudenza, anche se si era già fatto un'idea molto chiara della risposta.

— Trova Flamel e i gemelli — ordinò Dee. — Catturali. Uccidi Scathach se puoi. Io sto partendo ora da Ojai, ma mi ci vorranno quattordici o quindici ore per essere a Parigi.

— Che ne è stato della porta d'energia? — chiese l'italiano.

— Distrutta dalla Strega di Endor — rispose Dee, furioso. — E per poco non ha ammazzato anche me. Per fortuna me la sono cavata solo con qualche graffio — aggiunse. Quindi, senza salutare, troncò la telefonata.

Niccolò Machiavelli chiuse lentamente il cellulare e se lo avvicinò alla bocca, dandosi dei colpetti sul labbro inferiore. Dubitava che si fosse trattato di fortuna: se la Strega di Endor lo avesse voluto morto, perfino il leggendario dottor Dee non avrebbe avuto scampo. Machiavelli si girò e attraversò la piazza per raggiungere il suo autista, che lo stava aspettando pazientemente in macchina.

Se Flamel, Scathach e i gemelli americani erano arrivati a Parigi attraverso una porta d'energia, c'erano pochissimi posti in città dove potevano essere emersi; probabilmente sarebbe stato relativamente facile trovarli e catturarli. E se fosse riuscito a farlo quella notte stessa, avrebbe avuto tutto il tempo per lavorarsi i prigionieri prima dell'arrivo di Dee.

Machiavelli sorrise; poche ore nelle sue mani, e gli avrebbero detto tutto quello che sapevano. Mezzo millennio di vita su questo pianeta gli aveva insegnato a essere molto, molto persuasivo.

 

I segreti di Nicholas Flamel l'immortale - 2. Il Mago
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