CAPITOLO SEDICI

Fermo!

Nicholas Flamel continuò a correre, svoltando a destra, lungo Quai Branly.

— Fermo o sparo!

Sapeva che la polizia non avrebbe sparato. Non potevano. Machiavelli lo voleva illeso.

Il calpestio degli anfibi sul cemento e il picchiettio metallico delle armi ormai erano vicini, e riusciva perfino a sentire il respiro dei suoi inseguitori. Cominciava ad avere il fiato grosso, aggravato da una fitta dolorosa sul fianco, proprio sotto le costole. La formula del Codice lo aveva tenuto in vita e in salute, ma lui non poteva certamente battere quel poliziotto allenato e in forma.

Flamel si fermò così all'improvviso che il giovane capitano per poco non lo investì. Restando immobile, l'Alchimista si girò a guardarlo voltando solo la testa. Il poliziotto aveva estratto una minacciosa pistola e la impugnava saldamente con tutte e due le mani.

— Non muoverti. Mani in alto.

Flamel si girò lentamente per fronteggiare il capitano. — Be', si decida, quale delle due? — chiese in tono mite.

Dietro gli occhiali di protezione, l'uomo sgranò gli occhi sorpreso.

— Che devo fare, resto fermo o alzo le mani?

Il poliziotto rispose con un cenno della canna della pistola e Flamel alzò le mani. Altri cinque agenti delle forze speciali li raggiunsero. Puntarono una serie di armi sull'Alchimista, disponendosi in linea retta accanto al capitano. Con le mani ancora alzate, Flamel mosse piano la testa per guardarli a uno a uno. Con le uniformi nere, gli elmetti, i passamontagna e gli occhialoni, sembravano degli insetti.

— A terra. Subito! — ordinò il capitano. — Non abbassare le mani.

Flamel si inginocchiò lentamente.

— Faccia a terra!

L'Alchimista si distese sulla strada parigina, la guancia sul marciapiede freddo e sudicio.

— Allarga le braccia.

Flamel allargò le braccia. I poliziotti lo circondarono rapidamente, ma continuarono a mantenersi a una certa distanza.

— Lo abbiamo preso. — Il capitano parlò nel microfono posizionato di fronte alle sue labbra. — Nossignore. Non lo abbiamo toccato. Sissignore. Subito.

L'Alchimista senti ancora una volta la mancanza di Perenelle: lei avrebbe saputo cosa fare. Se la fattucchiera fosse stata al suo fianco, non si sarebbe mai trovato in quella situazione. Perenelle era una combattente. Quante volte lo aveva pregato di smettere di scappare, di servirsi del suo mezzo millennio di conoscenze alchemiche e della stregoneria di cui lei era maestra per dare battaglia agli Oscuri Signori? Sua moglie avrebbe voluto che chiamasse a raccolta gli immortali, gli Antichi Signori e i membri della Nuova Generazione schierati a favore degli homines per muovere guerra contro gli Oscuri Signori, contro Dee e tutti quelli del suo stampo. Ma lui non poteva; era da tutta la vita che aspettava l'arrivo dei gemelli predetti dal Codice. "I due che sono uno e l'uno che è tutto." Dentro di sé non aveva mai dubitato che un giorno li avrebbe trovati. Le profezie del Codice non sbagliavano mai, ma, come tutto il resto del libro, le parole di Abramo non erano mai chiare ed erano scritte in una grande varietà di lingue arcaiche e dimenticate.

/ due che sono uno e l'uno che è tutto. Verrà un giorno in cui il Libro sarà sottratto e l'uomo della Regina si alleerà con il Corvo. Allora gli Antichi Signori usciranno dalle Tenebre e l'immortale dovrà addestrare i mortali. I due che sono uno dovranno diventare l'uno che è tutto.

E Flamel sapeva - oltre ogni minimo dubbio - di essere lui l'immortale menzionato nella profezia: glielo aveva rivelato l'uomo con l'uncino.

Mezzo millennio prima, Nicholas e Perenelle Flamel avevano attraversato l'Europa in lungo e in largo nel tentativo di comprendere l'enigmatico libro. Alla fine, in Spagna, avevano incontrato un misterioso individuo con una mano sola, che li aveva aiutati a tradurre alcune porzioni di quel testo mutevole. L'uomo aveva rivelato che il segreto della Vita Eterna appariva sempre a pagina sette del Codice, con la luna piena, mentre la formula per la trasmutazione, che permetteva di modificare la composizione di qualsiasi materia, compariva solo a pagina diciassette. Quando l'uomo con una mano sola aveva tradotto la prima profezia, aveva guardato Nicholas e, tendendo il braccio, lo aveva colpito leggermente sul petto con l'uncino che sostituiva la sua mano sinistra. "Alchimista, ecco il tuo destino" aveva sussurrato.

Quelle parole misteriose suggerivano che Flamel un giorno avrebbe trovato i gemelli... ma la profezia non diceva che sarebbe finito faccia a terra, con le braccia e le gambe divaricate, su una sudicia strada di Parigi, circondato da poliziotti con le armi puntate.

Flamel chiuse gli occhi e inspirò profondamente. Premendo le dita sulle pietre, attinse con riluttanza alla propria aura. Un sottilissimo filo di energia verde-dorata stillò dalle sue dita e impregnò le pietre. L'Alchimista percepì la spirale di energia aurica che penetrava nel manto stradale e sprofondava giù, sottoterra. L'esile filo si insinuò nel terreno, frugò... perlustrò... e poi finalmente trovò quello che stava cercando: una brulicante massa di fervida vita. A quel punto si trattava solo di usare la trasmutazione, il principio fondamentale dell'alchimia, per creare il glucosio e il fruttosio e poi, tramite il legame glicosidico, il saccarosio. La vita si riscosse, palpitò e confluì verso il dolce.

— Mettetegli le manette. Perquisitelo — ordinò il capitano della polizia.

Flamel sentì il fruscio dei due poliziotti che si avvicinavano, uno per lato. Direttamente di fronte a sé, vide la punta lucida di un paio di stivali neri, dalla suola spessa.

E poi, ingrandita per la vicinanza col suo viso, individuò la formica. Era spuntata fuori da una crepa sul marciapiede, con le antenne ondeggianti, e fu seguita da una seconda e da una terza.

L'Alchimista avvicinò i pollici agli anulari e schioccò le dita. Minuscole scintille verdi e dorate dal profumo di menta vorticarono nell'aria, rivestendo i sei poliziotti di particelle infinitesimali di polvere. Flamel le trasmutò in zucchero.

Tutt'a un tratto, il marciapiede diventò nero. Una massa di formiche eruppe dal manto stradale, sgorgando dalle crepe nella pietra. Come un denso e gelatinoso sciroppo, dilagò sul marciapiede, fluendo sopra gli stivali per poi risalire sulle gambe degli agenti, ricoprendoli di una brulicante orda di insetti.

Per un attimo, gli uomini rimasero impietriti dallo shock. La tuta e i guanti li salvaguardarono ancora per un istante; poi uno di essi ebbe un fremito, subito seguito da un altro e un altro ancora, mentre le formiche trovavano minuscoli varchi nell'equipaggiamento e vi sfrecciavano dentro, le zampette solleticanti, le mandibole aguzze. Gli uomini cominciarono a sobbalzare, a contorcersi e a rigirarsi, prendendosi a schiaffi da soli, gettando le armi a terra, sfilandosi i guanti e gli elmetti, strappandosi di dosso i passamontagna e gli occhiali mentre migliaia di formiche li assalivano.

Il capitano restò a guardare mentre il prigioniero - che non era stato neanche sfiorato dalla brulicante marea di formiche - si drizzava a sedere, si spolverava con aria schizzinosa i vestiti e si rimetteva in piedi. Cercò di puntargli addosso la pistola, ma le formiche gli graffiavano i polsi, gli solleticavano il palmo delle mani, gli mordevano la carne, e lui non riusciva ad avere una presa salda sull'arma. Voleva ordinare a quell'uomo di sedersi, ma aveva un velo di formiche sulle labbra, e sapeva che se avesse aperto la bocca si sarebbero infilate dentro. Alzò le mani e con un gesto brusco si tolse l'elmetto dalla testa, si strappò il passamontagna e lo gettò a terra, inarcando la schiena mentre le formiche gli correvano lungo la spina dorsale. Si passò la mano sulla testa, staccandosi decine di insetti; li sentì ricadere sulla faccia e strinse gli occhi. Quando li riaprì, il prigioniero si stava allontanando tranquillamente verso la stazione ferroviaria di Pont de l'Alma, con le mani in tasca e l'aria di non avere un solo pensiero al mondo.

 

I segreti di Nicholas Flamel l'immortale - 2. Il Mago
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