CAPITOLO VENTINOVE
— Io vado a letto. — Sophie Newman si fermò sulla soglia della cucina, con un bicchiere d'acqua in mano, e si girò a guardare il fratello, seduto ancora a tavola. — Francois mi insegnerà alcuni incantesimi particolari domattina. Ha promesso che mi farà vedere il trucco dei fuochi d'artificio.
— Grandioso. Vuol dire che non avremo più bisogno di comprarli per il quattro luglio.
Sophie fece un sorriso stanco. — Non restare troppo alzato, è quasi l'alba.
Josh si ficcò in bocca un altro pezzo di pane tostato. — Il mio corpo segue ancora l'ora del Pacifico — disse a bocca piena. — Ma salgo tra un minuto. Scatty vuole continuare l'allenamento domattina, e non vedo l'ora.
— Che bugiardo!
Il ragazzo sbuffò. — Be', tu hai la tua magia per proteggerti. Io ho soltanto una spada di pietra.
Lo disse con evidente amarezza, e Sophie si costrinse a non commentare. Stava cominciando a stancarsi delle continue lamentele del fratello. Non aveva mai chiesto di essere risvegliata,- non era stata lei a voler conoscere la magia della Strega né quella di Saint-Germain. Ma era successo, e Josh doveva farsene una ragione. — Buonanotte — disse, chiudendosi la porta alle spalle.
Finita l'ultima fetta di pane, Josh raccolse piatto e bicchiere e li mise nel lavello. Fece scorrere l'acqua calda sul piatto e lo infilò nello sgocciolatoio metallico. Poi riempì d'acqua fredda il bicchiere, varcò la soglia della cucina e uscì in giardino. Anche se era quasi l'alba, non si sentiva affatto stanco; del resto, rammentò di nuovo a se stesso, aveva dormito per quasi tutto il giorno. Con quel muro alto non riusciva a scorgere molto del panorama parigino, a parte il bagliore arancione dei lampioni.
Alzò gli occhi, ma nel cielo non c'erano stelle. Si sedette sul gradino e inspirò profondamente. L'aria era fresca e umida, proprio come a San Francisco, anche se non c'era quella familiare traccia di salsedine che gli piaceva tanto, ma solo odori sconosciuti, pochi dei quali gradevoli. Sentì che si avvicinava uno starnuto e tirò su col naso, con le lacrime agli occhi. Oltre al tanfo dei bidoni traboccanti di spazzatura e alla puzza di frutta marcia, percepì un altro odore più nauseante e fetido, vagamente familiare. Chiuse la bocca e inspirò profondamente con il naso, cercando di identificarlo. Era qualcosa che aveva già sentito da poco...
"Serpente!"
Josh balzò in piedi. C'erano serpenti a Parigi? Il cuore cominciò subito a battergli più forte nel petto. Aveva il terrore dei serpenti, una paura agghiacciante che risaliva a quando aveva dieci anni. Stava facendo trekking con suo padre nel parco nazionale di Wupakti, in Arizona, ed era scivolato fuori dal sentiero, finendo dritto nel nido di un serpente a sonagli. Quando la polvere da lui sollevata si era diradata, Josh si era reso conto di trovarsi accanto a un serpente lungo quasi due metri. Il rettile aveva sollevato la testa cuneiforme e lo aveva fissato con gli occhi neri come il carbone. Probabilmente non era passato più di un secondo - anche se era sembrato una vita - dopodiché Josh se l'era data a gambe levate, la gola troppo stretta dal terrore perfino per gridare. Non aveva mai capito perché il serpente non lo avesse attaccato, anche se suo padre gli aveva detto che in realtà i serpenti a sonagli sono animali schivi, e quello probabilmente aveva appena mangiato. Dopo quell'incidente, Josh aveva avuto gli incubi per settimane, e ogni volta si risvegliava con l'odore muschiato del rettile nelle narici. Lo stesso odore che sentiva in quel momento, nel giardino del conte di Saint-Germain, e che si stava intensificando.
Il ragazzo cominciò a risalire i gradini. Ci fu un improvviso tramestio, come di uno scoiattolo che corre su per un albero. Poi, in fondo al cortile, in cima al muro alto tre metri, comparvero degli artigli enormi; si mossero tastando intorno, quasi con grazia, alla ricerca di una presa, e di colpo si strinsero così forte da conficcarsi nella muratura. Josh si impietrì, mentre il fiato lo abbandonava in un unico respiro sgomento. Gli arti che seguirono erano coperti di una spessa e coriacea pelle bitorzoluta... e poi comparve la testa di un mostro: era lunga e piatta, con due narici rotonde all'estremità di un grugno orribile, e gli occhi, totalmente neri, infossati ai due lati del cranio.
Incapace di muoversi e di respirare, il cuore che martellava così forte da farlo tremare, Josh osservò quella testa enorme volgersi pigramente intorno, mentre la lunghissima lingua biforcuta, di un bianco spettrale, vibrava nell'aria. Il mostro si fermò, e lentamente spostò la testa e posò lo sguardo sul ragazzo. Saggiò l'aria con la lingua, muovendo solo un tratto infinitesimale della punta, quindi spalancò le fauci, enormi, sufficienti a inghiottire un uomo in un solo boccone.
Josh vide uno sprazzo di denti: lame affilate, ricurve, uncinate. Voleva girarsi, gridare e mettersi a correre, ma non ci riusciva. C'era qualcosa di ipnotico in quella terrificante creatura che scavalcava il muro. I dinosauri lo avevano sempre affascinato: aveva collezionato fossili, uova, ossa e denti, perfino coproliti. E in quel momento stava guardando un dinosauro in carne e ossa. Un angolo del suo cervello identificò perfino la creatura: un gigantesco varano. Ma i varani non superano i tre metri di lunghezza, mentre quella creatura doveva essere almeno tre volte tanto.
La pietra si incrinò. Un vecchio mattone esplose riducendosi in polvere, seguito da un secondo e da un terzo. Poi Josh vide il muro ondeggiare quasi al rallentatore, con la creatura abbarbicata sopra, e crollare a terra. La porta blindata si piegò in due, saltò fuori dai cardini e si abbatté sulla fontana, sradicando un grosso pezzo della vasca. Il mostro si schiantò a terra, insensibile alla pioggia di pietre che lo circondava.
Il rumore riscosse Josh, che risalì con passo incerto le scale mentre la creatura si rimetteva pesantemente in piedi e cominciava ad avanzare verso la casa. Il ragazzo sbatté la porta e tirò i chiavistelli. Si stava allontanando quando dalla finestra della cucina intravide una figura vestita di bianco, armata di spada, che varcava lo squarcio nel muro.
Josh afferrò la spada di pietra dal pavimento e si precipitò in corridoio. — Svegliatevi! — strillò, la voce talmente carica di terrore da risultare irriconoscibile perfino a lui. —Sophie! Flamel! — La porta alle sue spalle tremò sul telaio. Josh si voltò appena in tempo per vedere la lingua bianca del mostro che accarezzava il legno e il vetro. — Aiuto!
Il vetro si infranse e la lingua saettò in cucina, scagliando piatti sul pavimento, sparpagliando pentole e padelle, buttando giù le sedie. Il metallo sibilava quando veniva sfiorato dalla lingua; il legno si anneriva e bruciava; la plastica fondeva. Una goccia di quella saliva caustica cadde sul pavimento e gorgogliò sulle mattonelle, corrodendo la pietra.
Con un gesto istintivo, Josh cercò di colpire con Clarent la lingua del mostro. La spada la sfiorò appena, ma la lingua si ritrasse subito. Ci fu un solo attimo di tranquillità, e poi il mostro caricò la porta con la testa.
La porta andò in frantumi; i muri di sostegno su entrambi i lati si incrinarono facendo saltare le pietre. Il mostro ritrasse la testa e la sbatté di nuovo contro il varco, aprendo un grosso buco in cucina. Tutta la casa tremò minacciosamente.
Una mano calò sulla spalla di Josh, facendogli quasi venire un infarto. — Guarda che hai combinato: lo hai fatto infuriare! — Scathach era entrata nella cucina in macerie. — Nidhogg! Significa che le Disir non sono lontane. — Sembrava quasi contenta della novità.
Con grazia, la Guerriera si scansò quando la testa di Nidhogg caricò di nuovo l'apertura. Le enormi narici si spalancarono e la lingua bianca si abbatté nel punto esatto in cui un attimo prima si trovava Scathach. Una grossa goccia di saliva bruciò le mattonelle, riducendole a una melma liquida. Le spade gemelle della Guerriera sfrecciarono, scintillando di grigio e d'argento, e sulla candida carne della lingua biforcuta comparvero due lunghi tagli.
Senza staccare gli occhi dal mostro, Scathach si rivolse quasi con calma a Josh: — Porta gli altri fuori di qui, a questo ci penso io.
E poi un enorme braccio artigliato sfondò la finestra, avvolse il corpo della Guerriera come in una morsa e la sbatté violentemente contro il muro, incrinando l'intonaco. Con le braccia intrappolate lungo il corpo, le spade inutilizzabili, Scathach era inerme.
Nidhogg infilò l'enorme testa nel lato crollato della casa e spalancò la bocca. La lingua viscida, rivestita di acido, sfrecciò verso la Guerriera. Il tempo di avvolgerla, e l'avrebbe trascinata nelle sue fauci cavernose.