21 DICEMBRE, 10.31, ORA STANDARD DELLA COSTA DEL PACIFICO
Una partita giocata in paradiso
Postato da Madisonspencer@oltretomba.inferno
Gentili Tweeter,
anni prima, prelevata dal funerale di mia nonna nel tedioso Nord dello Stato e restituita al mio habitat naturale di Lincoln Town Car e di jet a noleggio, ripresi la mia campagna fatta di pagine di diario salaci e totalmente inventate.
“Caro Diario” scrivevo, “ho scoperto che i sentimenti da me provati per i muscosi pisellini delle alci erano mera infatuazione. Ciò che in principio mi ha spinto verso il vellutato arnese dei leopardi non era amore…”
Al che i miei genitori non avrebbero potuto fare a meno di voltare pagina, in preda a un’ansiosa tachicardia per la mia successiva confessione. Con il fiato sospeso, avrebbero continuato a leggere, con il disperato bisogno di sapere che il mio ardore per i pistolini dei lemming si era placato.
“Caro Diario” scrivevo, “vivendo nel Nord dello Stato, tra gente semplice e anziana, ho trovato un unico innamorato che ha eclissato tutti i miei precedenti amorazzi animaleschi…” E qui modificai la mia grafia, rendendola tutta puntuta e scomposta, per accrescere il desiderio di leggere i miei pensieri. La mia penna tremava, come fossi sopraffatta da una violenta emozione.
I miei genitori ficcanaso avrebbero guardato più da vicino. Avrebbero discusso su ogni parola indecifrabile.
“Caro Diario” continuavo io, “ho stretto un’alleanza più appagante di quanto avrei mai sognato. Lì nel Nord dello Stato, in quel luogo di culto così rozzamente edificato…”
I miei genitori erano stati al funerale della nonna Minnie. Tutt’e due mi avevano vista confortata dal David Copperfield scarmigliato con la faccia da pagnottella appena sfornata e i capelli color del burro, quel giovanotto campagnolo che mi aveva messo in mano un volume della Bibbia, augurandomi di trovarvi forza. Mentre leggevano il diario immaginavano, molto probabilmente, che io avessi inscenato un qualche Kama Sutra tantrico del Nord dello Stato con quel serissimo precontadino biondo.
“Caro Diario” scrivevo, per tenere i miei sulle spine, “non avrei mai pensato di poter raggiungere un tale livello di soddisfazione…”
Scrivevo: “Finora il mio cuore di undicenne non aveva mai davvero amato nessun altro…”.
Mia madre, a questo punto, si sarebbe messa a leggere ad alta voce. Con la stessa intonazione elegante che usava nelle voci fuori campo per le pubblicità televisive del Bain de Soleil, avrebbe detto: “Ho finalmente conosciuto la felicità”.
Entrambi i miei genitori avrebbero osservato quelle pagine come un testo sacro. Come se quel mio volgare e falso diario fosse il Libro tibetano dei morti o La profezia di Celestino: qualcosa di elevato e di profondo che riguardava la loro vita. Mia madre, allenata dal palcoscenico e rilassata dallo Xanax, avrebbe letto sempre ad alta voce: “… da oggi in avanti mi impegno a dare il mio amore eterno a…”, poi la voce le sarebbe venuta meno. Per loro, ciò che seguiva sarebbe stato peggio che vedermi succhiare il batacchio di una pantera o il capezzolo di un grizzly. Li attendeva un orrore ancora più sconvolgente della prospettiva che l’amatissima figlia sposasse un convinto repubblicano.
Vedendo le mie parole finali, lei e mio padre non avrebbero potuto far altro che restare a guardare increduli.
“‘… a dare il mio amore eterno…’” avrebbe proseguito mio padre, “‘al mio supremo signore e padrone…’”
“Signore e padrone…” ripete mia madre.
“‘Gesù’” legge mio padre.
“Gesù Cristo…” dice mia madre.