21 DICEMBRE, 9.35, ORA STANDARD DEGLI STATI UNITI CENTRALI

Halloween

Postato da Madisonspencer@oltretomba.inferno

Gentili Tweeter,

ciò che fa dell’autunno una tragedia è la nostra pretesa che l’estate duri in eterno. L’estate è l’estate. L’autunno è l’autunno. Neanche le nonne durano in eterno. Nel giorno di Halloween la nonna Minnie squadernò le mie valigie sul letto della mia camera e passò la giornata a riempirle. Il giorno dopo, novembre, un’auto sarebbe passata a prelevarmi per portarmi a Boston, dove avrei preso un jet per New York, e poi un jet per Il Cairo, e un jet per Tokyo, fino alla fine dei miei giorni. Durante la preparazione dei bagagli mi venne in mente che la mia vita era un perpetuo viaggio verso casa, da Mazatlán a Madrid a Miami, ma senza mai arrivare a destinazione.

Mentre stirava e piegava la mia biancheria intima, la nonna cantilenava: «Quando aveva la tua età, tua madre si metteva sempre le dita nel naso e se le puliva sotto le sedie». Cantilenava: «Si mordeva sempre le unghie». Cantilenava: «Tua madre scriveva sui libri…».

Quell’estate nel tedioso Nord dello Stato poteva considerarsi il periodo più lungo da me mai trascorso in uno stesso luogo. In un certo senso ero tornata indietro nel tempo, avevo rivissuto l’infanzia di mia madre. Avevo capito perché mia madre se n’era andata in fretta e furia nel mondo, per conoscere tutti e andare a fare tutto sbagliato.

Io volteggiai intorno al mio bagaglio mezzo pieno e domandai: «Scriveva dove?».

Mentre mia nonna prelevava gli indumenti appena lavati dal filo a cui li aveva appesi, ripeté: «Tua madre scriveva sui libri…».

La Matita e la Penna Blu. Le felci e il timo e i petali di rosa.

Non chiesi, gentili Tweeter, quale fosse stata la sorte ultima della mia camicia di chambray rovinata dall’eiaculazione.

“Patterson dice che devo cominciare a raccogliere fiori…”

“Leonard vuole che raccolga dei fiori per mio padre…”

Quelli erano tutti pensieri che mia madre e mia nonna avevano annotato quando avevano la mia età. Studiai mia nonna come avrei fatto con la mia immagine riflessa allo specchio. Perché lì c’era il mio naso, il mio naso futuro. Le sue cosce erano le mie. Il modo in cui le spalle le si incurvavano in avanti quando camminava era il modo in cui anch’io un giorno avrei camminato. Persino il suo tossire, esausto e continuo, avrei probabilmente ereditato. Le macchie epatiche che aveva sulle mani le avrei ritrovate un giorno sulle mie mani. Sembrava un’impresa così impossibile: diventare vecchi. Mi spaventava il pensiero di come sarei riuscita a procurarmi tutte quelle rughe.

Mia nonna non mi domandò mai del vaso da tè scomparso. Non sembrò notare che portavo sempre i miei occhiali di riserva. E io, che prima non mangiavo nulla, ora spazzolavo via qualsiasi cosa. A Tolosa, i cuochi dicono che la prima crêpe è sempre pour le chat. Per il gatto. La prima crêpe è sempre deforme, bruciacchiata o strappata, e quindi la si fa mangiare al gatto. Per chissà quale motivo, decisi che potevo fare lo stesso con i difetti della nonna. Più cucinava e sfornava cibo, più io mangiavo. L’avrei assolta dai suoi peccati mangiandoli. Magari non sarei riuscita a perdonarli, ma li avrei portati intorno ai fianchi come il mio fardello privato.

A ogni boccone mandavo giù la mia paura e diventavo più vecchia. E più grassa. A ogni morso mi ingozzavo del mio bilioso senso di colpa.

Il libro del Beagle mi aveva spiegato le uova di tartaruga, ma il libro della Bibbia mi parlava di Gesù Cristo, e Gesù mi pareva il più potente alleato che mai potessi procurarmi nella battaglia contro i miei genitori buonisti. Che estate avevo passato! Ero diventata cicciottella… chiatta… orribile, insomma. E avevo imparato ad amare la lettura. E avevo ucciso un uomo. Avevo ucciso mio nonno. E avevo imparato la discrezione.

Sì, sarò anche stata un’undicenne, assassina impunita di suo nonno, una snob passivo-aggressiva con la fobia del Nord dello Stato, ma avevo imparato il valore della discrezione. Quell’estate imparai la discrezione e la riservatezza e la pazienza: qualità che i miei genitori ex hippie, ex punk, ex tutto non avrebbero mai acquisito.

Nel giorno di Halloween non dissi nulla quando scorsi mia nonna che si muoveva furtiva in punta di piedi. Stavo fingendo di fare un sonnellino sul divano del salotto quando sentii che si avvicinava di soppiatto alla libreria e la vidi prelevare dalla fila dei volumi un libro a cui non avevo mai fatto caso. Nascosto il libro tra le pieghe del grembiule, la nonna Minnie lo portò dove stava preparando i miei bagagli.

Dando dimostrazione di un’enorme forza di volontà, mi astenni dal divorare il cesto di polpette di popcorn che avevamo preparato per i dolcetto-scherzisti della sera.

In un momento in cui lei non guardava, sbirciai dentro la valigia. Sepolto sotto i miei maglioni piegati con cura, sul fondo, c’era il libro. Persuasione di Jane Austen. Un libro che avrei amato per il resto della mia breve vita.

Mentre il sole tramontava sull’ultimo mio giorno nel tedioso Nord dello Stato, una sfilza di mostri cominciò a spuntare dal crepuscolo. Emersero scheletri. Comparvero fantasmi. Avanzavano reggendo federe e sacchetti di carta per la spesa. Si materializzarono uscendo dall’ombra, le facce immonde, sporche di terra di cimitero, i vestiti laceri. Le mani macchiate di sangue, quegli zombie e lupi mannari arrancavano verso mia nonna e me ferme sulla porta della fattoria.

Quei cadaveri barcollanti e annaspanti strillavano: “Dolcetto o scherzetto!”. E mia nonna offriva loro zucche di popcorn da una grossa cesta di vimini che teneva davanti a sé con entrambe le mani. Poi arrivò un colpo di tosse e, meno di due alligatori dopo, un altro. Mi consegnò la cesta e sollevò il grembiule a coprirsi la faccia. Mentre i mostri pescavano tra le polpette arancioni, lei arretrò fino in salotto e si sedette sul divano, boccheggiando per prendere fiato. Tra le mie braccia, la cesta diventava via via più leggera.

In mezzo a quella prima ondata di demoni c’era un angelo biondo, un bambinetto la cui espressione placida pareva liscia come pane appena sfornato. Una brioche appena un po’ lentigginosa. La sua aureola di ciuffetti color paglia riluceva di un giallo pallido, come se del burro fuso gli stesse colando sulla fronte. Sulla schiena portava ali finte legate con una gugliata di ruvido spago, ma il cartone sbiancato era meticolosamente rivestito di penne cadute a qualche oca di fattoria indigena. Le sue mani di cherubino reggevano una rudimentale lira a tre corde, che lui strimpellò recitando: «Dolcetto o scherzetto, signorina Madison». Reggeva una federa già rigonfia di liquirizia rossa e orsetti gommosi. «Il Buon Libro le è stato d’aiuto in questo suo momento di cordoglio?»

Lì davanti a me sulla veranda c’era il trasandato giovanotto che avevo conosciuto al funerale del nonno. Il mio David Copperfield del Nord dello Stato. Come nella precedente occasione, sentii tra di noi il richiamo della carne. In quell’ultima notte nella casa della nonna, smaniavo di infilzarmi undicenne com’ero su di lui, ma sublimai l’impulso carnale dicendogli: «Polpette di popcorn?». A mo’ di ulteriore incitamento sussurrai: «Sono imbottite di Xanax». Lui mi sembrò confuso, perciò spiegai: «È uno psicofarmaco, non un re dell’Antico Testamento». In tono grave dissi: «Non utilizzare macchinari agricoli sotto l’effetto di questa polpetta di popcorn».

Il mio rustico moroso se ne accaparrò più d’una. Staccando goduriosi morsi di dolce Xanax, indugiò per un attimo a domandarmi della mia estate. Parlammo del libro della Bibbia. Infine mi augurò la buonanotte e si congedò.

Per rispondere a CanuckAIDSemily, no, non mi sono fatta dare il suo indirizzo e-mail: dubito proprio che ne avesse uno. Mentre le sue ali piumate si allontanavano, però, rimpicciolendo lungo quella polverosa strada di campagna, io gridai: «Festus, vero? Ti chiami Festus?».

Senza voltarsi, agitò la lira sopra la testa a mo’ di ebbro saluto. E con quel gesto d’addio scomparve.

Con parole rauche, la nonna Minnie disse: «Non preoccuparti, tesorino». Dal divano tossicchiò: «Andrà tutto bene».

E io la perdonai per avermi detto la sua più grossa bugia fino a quel momento.

Restai lì sola sulla veranda, nel dilagante crepuscolo. Per questo mia nonna non poté vedere il nuovo arrivato: una specie di spaventapasseri. Fermo ai piedi dei gradini della veranda c’era un vecchio dall’aria smunta. Gli zigomi e il mento sembravano scolpiti come le sculture intagliate con la sega elettrica che certa gente vendeva nei lotti abbandonati infestati di erbacce vicino alle stazioni di servizio, lì nel Nord dello Stato. Il mio peggiore incubo trasformato in realtà, il nonno Ben, era lì al margine frastagliato della luce della veranda. Mi fissava da dietro lo scompiglio dei suoi capelli grigi. Anche quando sciami di arpie e streghe salirono i gradini della veranda intorno a lui, lui continuò a guardarmi negli occhi.

La naturalista che era in me sapeva che ciò era impossibile. I morti non tornano. Capita in qualche rara occasione di osservare fenomeni naturali per cui non esistono spiegazioni pronte. Il compito del naturalista consiste nel prendere nota e registrare una descrizione degli eventi in questione, fidando che un giorno quel caso anomalo acquisterà un significato. Dico ciò perché a quel punto accadde una cosa stranissima…

Una voce beffarda mi domandò: «Polpette di popcorn?».

La domanda spezzò la trance. All’altezza del mio gomito c’era un adolescente vestito in qualche maniera da antico egizio. Con un cenno del capo verso la cesta, domandò: «Ancora polpette di popcorn? Ma che problemi avete, in ’sto posto?».

Una Marie Antoinette dell’Ancien Régime, tutta agghindata e imparruccata, salì i gradini domandando: «Sì, che cos’è questa fissazione con le polpette di popcorn?» Calzava Manolo Blahnik fasulle, come fasulla era la sua borsetta Coach.

In compagnia dell’egizio c’erano anche un legionario romano e… un punk alla Sid Vicious con spilla da balia conficcata in una guancia… Il quartetto odorava vagamente di zolfo e di fumo. Il punk sfoggiava una cresta da moicano tinta di blu elettrico. Affondò nella cesta le unghie dipinte di nero e ne prelevò una zucca di popcorn, domandando: «Non hai niente di meglio, Maddy?».

Schermandomi la bocca con una mano sussurrai: «Sono piene di Xanax».

Quella gente mi era sconosciuta, ma aveva un che di familiare. Non di noto. Mi parevano, più che altro, inevitabili.

Il legionario romano fece una smorfia alla vista delle polpette arancioni e domandò: «Sai quanto vale ’sta roba all’inferno?». Chiuse la mano a pugno e si colpì la fronte dicendo: «Pronto? Pianeta Terra a Madison Spencer… questa roba non vale un cazzo!».

Sdegnata, domandai al gruppetto: «Vi conosco?».

«No» disse la ragazza. Sfoggiava un ombretto azzurro e unghie dallo smalto bianco sbeccato. Ai lobi le pendevano zirconi cubici dal taglio a brillante, ma esageratamente grossi. La ragazza disse: «Non ci conosci, ma ci conoscerai presto. Ho visto il tuo dossier». Fissando il mio orologio da polso mi domandò: «Che ora è?».

Torsi il braccio abbastanza da mostrarle che erano le undici passate. I colpi di tosse di mia nonna scandivano ogni frase, ogni parola. E quando guardai di nuovo in cerca del nonno spaventapasseri, non c’era più. Svanito. Nessuno dei quattro adolescenti prese polpette di popcorn. Quando mi voltarono le spalle, avviandosi giù per i gradini della veranda, domandai: «Non siete un po’ vecchi per queste cose?».

La tosse si interruppe.

Senza voltarsi indietro, l’egizio gridò: «Solo di un paio di migliaia di anni».

Agitando un pugno in aria, con l’indice puntato verso il cielo, il punk gridò: «Ricordati, Maddy, che la Terra è la Terra, e i morti sono morti». Addentrandosi nella notte, gridò: «E se ti agiti non migliorerai certo la tua situazione». Mentre si allontanavano nelle tenebre io ebbi l’impressione di vedere un’altra figura che si univa a loro. Questa persona indossava un grembiule di calicò avvolto intorno a un ampio vestito di cotone a quadretti. Questa donna fumava una sigaretta senza tossire. Il punk le toccò il gomito e lei tirò fuori dalla tasca del grembiule un pacchetto che scosse per offrirgli una cicca. Quando lei sbatté l’accendino contro il palmo della mano e lo accese, la fiammella mostrò il suo viso segnato dalle preoccupazioni. Mi salutò con la mano, e insieme al resto del gruppo scomparve in fondo alla strada, dentro la notte di Halloween.

Alla fine, quando rientrai in salotto, sul divano era rimasto solo il corpo della nonna. La parte migliore di lei – la sua risata, le sue storie, persino la sua tosse – se n’era andata.

Sventura
titlepage.xhtml
part0000.html
part0001.html
part0002_split_000.html
part0002_split_001.html
part0003.html
part0004.html
part0005.html
part0006.html
part0007.html
part0008.html
part0009.html
part0010.html
part0011.html
part0012.html
part0013.html
part0014.html
part0015.html
part0016.html
part0017.html
part0018.html
part0019.html
part0020.html
part0021.html
part0022.html
part0023.html
part0024.html
part0025.html
part0026.html
part0027.html
part0028.html
part0029.html
part0030.html
part0031.html
part0032.html
part0033.html
part0034.html
part0035.html
part0036.html
part0037.html
part0038.html
part0039.html
part0040.html
part0041.html
part0042.html
part0043.html
part0044.html
part0045.html
part0046.html
part0047.html
part0048.html
part0049.html
part0050.html
part0051.html
part0052.html
part0053.html
part0054.html
part0055.html
part0056.html
part0057.html
part0058.html
part0059.html
part0060.html
part0061.html
part0062.html
part0063.html
part0064.html
part0065.html
part0066.html
part0067.html
part0068.html
part0069.html
part0070.html
part0071.html
part0072.html
part0073.html
part0074.html
part0075.html
part0076.html
part0077.html
part0078.html
part0079.html
part0080.html
part0081.html
part0082.html
part0083.html
part0084_split_000.html
part0084_split_001.html
part0084_split_002.html
part0084_split_003.html
part0084_split_004.html
part0084_split_005.html
part0084_split_006.html
part0084_split_007.html
part0084_split_008.html
part0084_split_009.html
part0084_split_010.html
part0084_split_011.html
part0084_split_012.html
part0084_split_013.html
part0084_split_014.html
part0085.html