21 DICEMBRE, 8.57, ORA STANDARD DELLA COSTA DELL’ATLANTICO
L’imbarco per un Bon Voyage
Postato da Madisonspencer@oltretomba.inferno
Gentili Tweeter,
l’estate che trascorsi nella fattoria della nonna su nel Nord dello Stato mi offrì un’infinità di distrazioni. Trovavo divertimento, per esempio, a sgusciare piselli o a sgranare pannocchie. Una scintillante pletora di ciliegie si offriva a una pronta snocciolatura. Io, affannata, rimpiangevo solo di non sapere da dove cominciare.
Come un involucro malcerto di pelle umana stagionata, il mento e le braccia cariche di bargigli sbatacchianti, mia nonna Minnie era in piedi davanti alla cucina elettrica. Trafficava con le complicate manopole di controllo dell’apparecchio, mentre da sotto il coperchio di una pentola usciva vapore in quantità tali da conferire all’aria della cucina, calda e soffocante come in un hammam turco, uno strano luccichio. Frutta locale a quintali era stata fatta a pezzi e disposta sul ripiano di lavoro in diverse fasi del processo di sbucciatura e preparazione, e qualsiasi superficie utilizzabile era appiccicosa per il sangue rappreso della polpa varia. Pesche eviscerate del loro nocciolo riempivano un enorme piatto di terracotta. Altra frutta – mele, in particolare – era stata smembrata e imbalsamata in vasi di vetro, destinati all’internamento in cantina. Il summenzionato vapore si condensava sulle pareti, raccogliendosi in rivoletti. Colava dal soffitto. Impegnatissima in questo macello, mia nonna sorvegliava la propria truculenta opera e, con la sigaretta accesa all’angolo delle labbra pallide, mi disse: «Pisellino, cara, sei giù di corda. Va’ a svagarti un po’».
A svagarmi? La nonna doveva essere pazza. Con tutta la gentilezza possibile, afferrai delicatamente i lacci del suo grembiule immondo e dando un lieve strattone dissi: «Nonnina, cara, sei sicura di non volerti sottoporre allo screening per la demenza senile?».
Svagarmi! Come se si potessero usare i ramoscelli e i sassi terrosi, perché c’era questo a portata di mano, per assemblare un televisore, poi costruire una rete di distribuzione e un’emittente locale, per poi organizzare compagnie di produzione e riempire il palinsesto con una stagione di programmi. Una tale impresa, dissi alla nonna, da realizzare nel corso di una sola estate a opera di una preadolescente, non sembrava destinata a un gran successo.
«No» disse la nonna Minnie, sottraendo il grembiule alla mia presa ostinata, «intendevo dire che dovresti leggere un libro.» La nonna abbandonò la bollitura dei suoi cadaveri di frutta e si voltò verso di me; prendendomi per le spalle, mi condusse fuori dalla cucina, per un breve corridoio fino al salotto, dove scaffali carichi di libri coprivano un’intera parete da terra fino al soffitto. Lì mi suggerì di scegliere fra quei vecchi tomi rilegati in pelle.
Va qui osservato che io, a quei tempi, non ero ancora la lettrice appassionata che sarei presto diventata. La mia scuola svizzera, per quanto spaventosamente costosa, era perlopiù incentrata su alcune fondamentali tematiche ecologiche e sui diritti civili conculcati di popoli indigeni oppressi. Sulla base di queste priorità etiche, obiettai che non potevo neanche pensare di leggere libri rilegati con la pelle di mucche morte, allevate industrialmente e, di certo, molto stressate.
Mia nonna per tutta risposta non fece che stringersi nelle spalle da contadina aggiogate al grembiule, dicendo: «Vedi tu, signorinella» dopo di che lasciò il salotto per tornare al mesto passatempo della conserva di pomodori o dello sterminio di topolini. A metà tragitto si voltò e da sopra la spallina di calicò avvertì: «Puoi leggere un libro, oppure andare a battere i tappeti. Scegli tu».
Tali sono i miei principi morali che non avrei mai potuto fare ricorso alla violenza, neanche contro un’inerte copertura per pavimenti. Né mi garbavano altre forme di lavoro a schiena curva nei campi adombrate dalla nonna: un altro pogrom di erbacce… la confisca di altre uova ancora calde dai nidi delle galline… Solo a mo’ di compromesso politico mi risolsi a scegliere un libro. Le mie dita seguirono il cuoio esanime delle varie coste. Moby Dick? No, grazie. Per una volta, almeno, fui grata alla ben nota affiliazione materna a Greenpeace. Piccole donne? Santo cielo, una scelta troppo mostruosamente sessista! La lettera scarlatta? La casa della gioia? Foglie d’erba? Gli scaffali della nonna erano imbarcati, appesantiti da titoli oscuri e da tempo dimenticati. Tropico del Cancro? Il pasto nudo? Lolita? Puah! Niente di audace, qui, sicuramente.
Gentili Tweeter, in risposta alle vostre affermazioni, secondo cui sarei stata troppo precoce come undicenne, vi prego di riconoscere un dato di fatto: le persone non cambiano con il tempo. Gli anziani, in realtà, sono monelli invecchiati. E viceversa i giovani non sono che vegliardi immaturi. Certo, siamo in grado di sviluppare alcune abilità, di avere profonde illuminazioni nell’arco di una vita, ma perlopiù uno a ottantacinque anni è la stessa persona di quando ne aveva cinque.
Questa… questa è la prova dell’immortalità della vostra anima.
Lì nel salotto di mia nonna decisi alfine di chiudere gli occhi. Così accecata girai tre volte su me stessa e senza guardare protesi la mano verso la libreria. I miei polpastrelli seguirono le coste rilegate, i titoli lì incisi, come fossero in braille. La consistenza screpolata della pelle era morbida al tatto, anche se un po’ increspata, non tanto dissimile dalla pelle delle mani callose di mia nonna. Dopo averli sfiorati tutti, la mia mano si fermò su quello che sentivo destinato a me. Ecco il libro che mi avrebbe liberato dalla miseria delle mie condizioni presenti, dalle lunghe giornate senza televisione, dalla noia affamata di Internet. Le mie dita cieche si chiusero intorno al libro e lo elessero in mezzo a tutti i suoi fratelli. Aprii gli occhi a questo nuovo futuro.
Impresso sulla copertina consunta, a lettere d’oro, c’era il nome dell’autore: Charles Darwin. Ecco un libro capace di proteggermi, un racconto in cui nascondermi per mesi.
La voce della nonna Minnie, berciante dai recessi della cucina della fattoria, disse: «Tempo scaduto, Semino di zucca, e questi piselli non si sgusciano da soli».
Io ribattei: «Ma ne ho trovato uno!».
«Un cosa?» domandò lei.
Infondendo un sorriso da bambina felice nella mia voce risposi: «Un libro, nonna!».
Trascorse un attimo di silenzio, rotto soltanto, all’aperto, dagli stridii d’accoppiamento di disgustosi uccelli che cercavano di indursi vicendevolmente a licenziose e alate acrobazie sessuali. All’interno l’aria puzzava di fumo di sigaretta e del vapore dell’instancabile fornello da tortura di mia nonna.
«E quale libro?» domandò cauta mia nonna. «Come si intitola?»
Girai il libro di taglio, in cerca del titolo sulla costa. «Parla di un cane» dissi. «Parla di un bel cagnolino che ha delle avventure per mare.»
La voce con cui mia nonna rispose sembrava allegra, dai toni arrotondati, prossimi alla risata: la voce di una donna più giovane. Con voce quasi da ragazza mi gridò: «Fammi indovinare. È forse Il richiamo della foresta?». Gridò: «Quando avevo la tua età adoravo Jack London!».
Le mie mani schiusero il libro, e le pagine avevano l’odore di una stanza in cui nessuno passava più da tanto tempo. Questa stanza di carta aveva l’aria di essere enorme, con pavimenti di legno verniciati e caminetti in pietra pieni di ceneri fredde e di granelli di polvere che nuotavano nella luce filtrante dalle alte finestre. I miei erano i primi occhi, da generazioni, che sbirciavano dentro quel castello di carta.
No, il libro non si intitolava Il richiamo della foresta, ma – gentili Tweeter – la nonna fu ugualmente contenta. Fui esonerata dalla mansione di sgusciapiselli. Questa era la cosa più importante.
L’autore non era Jack London, ma a chi poteva importare? Se l’avessi letto abbastanza lentamente, quel libro avrebbe riempito tutta la mia desolata vacanza estiva. Avrebbe donato al tedioso, odioso Nord tutta la gioia e l’entusiasmo di un trapassato universo canino. La mia testa già annuiva con gli occhi sul volume aperto, assorta nelle parole e nelle percezioni di un narratore defunto da tempo. Io vedevo un passato scomparso attraverso gli occhi estranei di quel morto.
Passando al frontespizio, lessi il titolo lì stampato: The Voyage of the Beagle.