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Cristiano si tolse il cellulare dall’orecchio e lasciò scivolare giù il braccio. Chiuse la conversazione fissando i gabbiani in cielo, la spazzatura, le colonne di fumo nero.

Danilo era morto.

Come il cuore di Cristiano.

Che non sentiva più nulla. Assolutamente nulla.

Non gliene fregava proprio un cazzo che Danilo, il suo zio adottivo, quel ciccione di Danilo, fosse morto schiantato contro un muro.

L’unica cosa che gli venne da pensare era che adesso era veramente nella merda.

Devo scappare. Devo trovare Quattro Formaggi e dobbiamo scappare.

Ma prima devo spiegarlo a papà.

222.

Sul fiume, a qualche chilometro di distanza dalla discarica, il gommone dei carabinieri era riuscito ad avvicinarsi al cadavere.

La folla si era improvvisamente zittita e si sentivano solo il suono della pioggia che cadeva sugli ombrelli, il ronzio delle lampade incandescenti da cui si sollevavano spirali di vapore e lo scroscio del fiume.

Un sommozzatore, con muta e salvagente, si gettò imbracato dal gommone. Per un istante sembrò che un gorgo lo risucchiasse sul fondo, ma poi fu sputato fuori e riuscì a farsi portare dalla corrente fino all’albero su cui si era incastrato il cadavere. Abbracciò il fagotto e venne riportato faticosamente sulla barca.

Dai terrapieni, da sopra al ponte, partì una salva di applausi che si perse nel fragore del fiume.

L’Uomo delle Carogne, affacciato al parapetto, si grattava a sangue il collo.

Ramona.

Chi era stato? Chi l’aveva avvolta in quel telo di plastica e l’aveva gettata nel fiume?

Dio non può essere stato. Lui non si sporca le mani.

Dio le cose le fa fare sempre agli altri, lui ordina e qualcuno si prende la briga di eseguire.

Perché non lo hai fatto fare a me? Avrei capito. Avrei rinunciato a finire il presepe. Ho fatto tutto per te.

Si guardò intorno. C’erano centinaia di persone bagnate.

Tra quelle, forse, c’era anche chi aveva buttato il cadavere.

Chi sei? Dove sei? Voglio parlarti. Forse tu mi puoi aiutare a capire.

Si prese la testa tra le mani e premette sulle tempie.

Troppi pensieri gli attraversavano la mente. Troppe voci gli parlavano insieme e lo stordivano. Anche se avvertiva che presto quei ragionamenti che gli infettavano il cervello si sarebbero spenti e ci sarebbe stato finalmente il silenzio.

Il cellulare, nella tasca, cominciò a suonare. Lo tirò fuori. «Pronto?»

«Pronto, Quattro Formaggi?»

Basta!!! Non mi chiamo così, lo volete capire?!! «Chi sei?»

«Sono io, Cristiano. Ascoltami. È importante. Dove sei?»

«In giro.»

«Ti va di vederci in ospedale? Ti devo parlare.»

«Quando?»

«Subito. Ho avuto un’idea. Vieni presto.»

L’Uomo delle Carogne sentì alle sue spalle il suono 226

di una sirena. Si voltò e vide una macchina della polizia che avanzava lentamente tra due ali di folla. Dietro al finestrino posteriore, rigato dalla pioggia, c’era un uomo.

È lui. È lui che ha buttato il cadavere.

Vacillò, le gambe non lo reggevano più, si attaccò alla ringhiera.

«Quattro Formaggi, ci sei?»

«Scusami.» Spense il cellulare. Cominciò a seguire la volante, a barcollare tra la gente, ad avanzare con fatica, ansando, in quel delirio, a testa bassa, facendosi spazio a gomitate, quasi svenendo per il male al fianco e alla spalla. Tutto si era sciolto in una tenebra affollata di mostri che si arrabbiavano, che lo insultavano, che lo notavano, che si segnavano la sua faccia nella memoria, ma non importava: doveva seguire quell’uomo.

Finalmente la macchina si fermò e la sirena si spense.

L’Uomo delle Carogne avrebbe voluto avvicinarsi di più, ma un cordone di poliziotti gli impediva di farlo.

Una donna, con l’ombrello e una torcia in mano, aprì la portiera della volante. Il tipo uscì coprendosi la testa con un giornale. I due scomparvero per una scala di ferro che portava al greto del fiume.

L’Uomo delle Carogne fendette la calca e si affacciò per seguirli con lo sguardo.

Li vide scendere una lunga scala di ferro e raggiungere la riva, dove era stata portata Ramona. Vide l’uomo accucciarsi accanto al cadavere e poi mettersi le mani sulla faccia.

Ma quello è il padre…

Spalancò la bocca e per un istante un raggio di luce gli illuminò il cuore. Rimase senza fiato, sopraffatto dal dolore di quell’uomo a cui aveva ammazzato la figlia.

Cosa ho fatto?

Ma durò un attimo. Le tenebre gli avvolsero di nuovo il cuore e si rese conto che non avrebbe mai finito il presepe. Ora avrebbero messo Ramona dentro una bara e poi l’avrebbero coperta di terra.

Tutto quello che aveva fatto non era servito a niente.

Nessuno capiva che era morta per qualcosa di grande, di più importante. Perché così Dio comanda.

La gente cominciava a tornarsene alle macchine.

Lo spettacolo era finito.

C’era una bambina con un impermeabile blu e un caschetto di capelli neri che teneva la madre per mano e con gli occhi lucidi continuava a tirare su con il naso. L’Uomo delle Carogne si fermò, la guardò e desiderò piangere anche lui. Sollevò la mano e singhiozzando le fece ciao. La bambina si coprì la faccia come intimidita dalla figura di quell’uomo magrìssimo che piangeva nascosto sotto un cappuccio giallo, ma poi lo salutò.

I due si sorrisero.

E se fosse stato Rino a gettare Ramona nel fiume? Un fulmine illuminò il crepuscolo della mente dell’Uomo delle Carogne.

E se Rino, nel bosco, non era morto come sembrava?

Se aveva fatto finta?

223.

Beppe Trecca, chiuso nella Puma, era ancora imbottigliato nel traffico. Se fino a mezzora prima la fila si era mossa a passo d’uomo ora si era inchiodata. Vedeva lo svincolo a un centinaio di metri, come un miraggio.

Come Dio Comanda
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