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L’argine a sud non aveva retto alla piena e la statale, per centinaia di metri, era stata invasa dalle acque limacciose del Forgese.
Squadre di operai si erano messe subito al lavoro per ricostruire il terrapieno mentre le idrovore succhiavano l’acqua e la risputavano nel fiume, che sembrava ribollire come se una fiamma ardesse sul fondo.
Il traffico, travasato in tutte le strade della pianura, era rallentato fino a impantanarsi in un ingorgo immobile e strombazzante.
Adesso, a meno di trentasei ore dalla tempesta, una corsia era stata riaperta e la colonna di tir diretti o provenienti dalla frontiera e macchine piene di pendolari avanzava a singhiozzi controllata da semafori mobili e agenti della Stradale.
Proprio al centro del ponte, dentro una Mercedes classe S nera come le penne di un condor, erano seduti i coniugi Baldi.
Rita Baldi, anni trentuno, era una donnina pallida e magra, vestita con un paio di jeans e una maglietta corta che lasciava scoperto un ombelico che sembrava un tortellino e una striscia del ventre gonfio di una creatura di sette mesi. In quel momento si stava pennellando le unghie con lo smalto e ogni tanto guardava senza vederlo il cielo scuro.
Il brutto tempo era tornato.
Vincenzo Baldi, anni trentacinque, sembrava un incrocio tra Brad Pitt e un orecchione bruno, un piccolo pipistrello che vive nell’isola del Giglio dotato di enormi padiglioni auricolari. La barba sfatta gli lambiva un paio di occhiali neri. Fumava sbuffando le nuvole di nicotina attraverso uno spiraglio del finestrino.
Erano in fila da quasi due ore.
Davanti avevano un tir tedesco che portava concime organico (merda di vacca) chissà dove. La boccetta fosforescente del deodorante attaccato al bocchettone dell’aria faceva del suo meglio, ma l’odore di escrementi freschi ristagnava nell’abitacolo della berlina.
L’appuntamento con l’ingegner Bartolini oramai era saltato.
Bartolini aveva studiato una soluzione, a suo dire definitiva, per eliminare l’umidità che affliggeva, come una maledizione misteriosa, la loro villetta. L’acqua risaliva attraverso i muri che si riempivano di muffe variopinte. L’intonaco si sgretolava e cadeva in pezzi. I mobili si piegavano e i panni nei cassetti marcivano.
La soluzione, secondo Bartolini, era quella di tagliare orizzontalmente tutti i muri maestri della casa e infilarci dentro una guaina impermeabile, un brevetto scandinavo, in modo da impedire la micidiale risalita dell’umidità.
Quella coda aveva fatto crescere il nervosismo nella macchina. E da quando erano entrati nell’auto i due non si erano scambiati nemmeno una parola.
A essere precisi non avevano un dialogo con più di quattro battute da una settimana (avevano litigato, ma nessuno dei due, oramai, si ricordava esattamente il perché), per cui Rita fu stupita quando Vincenzo se ne uscì con: «Ho comprato una macchina nuova».
La donna ci mise un attimo a riprendersi dalla sorpresa, un attimo a inumidirsi la bocca e a rispondere:
«Cosa? Non ho capito». Anche se aveva capito benissimo.
Lui si schiarì la voce e ripeté: «Ho comprato una macchina nuova».
Lei, con il pennellino sospeso in aria: «Che macchina?».