17

Rino cominciò a massaggiarsi la nuca e poi si fece improvvisamente minaccioso: «Che cazzo fai? In testa no! Sei deficiente! Mi hai fatto male! Lo sai che ho malditesta».

Cristiano, preoccupato, balbettò uno «Scusa… Non volevo…».

Rino con uno scatto improvviso afferrò la pistola dal comodino e tirò a sé Cristiano, che finì lungo disteso sul letto, e gli puntò la canna in fronte.

«Vedi che ogni volta ti frego? Devi sempre tenere alta la guardia. A quest’ora saresti morto» gli sussurrò in un orecchio come se qualcuno potesse sentirlo.

Cristiano provò a sollevarsi, ma suo padre, con il braccio, lo teneva giù. «Lasciami! Lasciami! Sei uno stronzo…» protestava.

«Ti lascio solo se mi dai un bacio» fece Rino porgendogli la guancia.

Cristiano infastidito gli diede ancora un bacio e Rino urlò disgustato: «Ma allora è proprio vero che ho un figlio ricchione?», e cominciò a fargli il solletico.

Cristiano nitriva e cercava di liberarsi e farfugliava:

«Ti prego… Ti prego… Ti prego… Basta…».

Alla fine riuscì a sfuggirgli. Si allontanò dal letto rinfilandosi la maglietta nei pantaloni, prese lo zaino e mentre scendeva le scale Rino gli urlò dietro: «Oh, sei stato bravo questa notte».

13.

Danilo Aprea, quarantacinque anni, era seduto a un tavolino del bar Boomerang e si finiva il terzo grappino di quella mattina.

Anche lui era alto, ma a differenza di Quattro Formaggi era grande e grosso e aveva la pancia gonfia come quella di una vacca affogata. Non si poteva dire che fosse grasso, era bello sodo e aveva la pelle bianca come marmo. Ogni cosa in lui era squadrata: le dita, le caviglie, i piedi, il collo. Aveva un cranio cubico, un muro al posto della fronte e due occhi nocciola incassati ai lati di un naso largo. Una sottile striscia di barba gli incorniciava le guance perfettamente rasate.

Portava dei Ray-Ban da vista con la montatura dorata e si tingeva i capelli, tagliati a spazzola, con una tonalità rosso mogano.

Anche lui come Quattro Formaggi aveva una tenuta invernale, ma al contrario di quella dell’amico la sua era sempre perfettamente pulita e stirata. Camicia di flanella a quadri. Gilè da cacciatore con mille taschini. Pantaloni di jeans con le pince. Scarpe da ginnastica. E, attaccata alla cintura, una custodia con un coltellino svizzero e il cellulare.

Risparmiava su tutto, ma non sul proprio aspetto.

Si spuntava la barba e si tingeva una volta ogni quindici giorni dal barbiere.

Stava aspettando Quattro Formaggi che, tanto per cambiare, era in ritardo. Non che gliene importasse granché. Nel bar faceva un bel caldo e la posizione era strategica. Il tavolino, di fronte alla vetrata, affacciava sulla strada. Danilo teneva fra le mani “La Gazzetta dello Sport” e ogni tanto lanciava un’occhiata fuori.

Proprio di fronte c’era il Credito Italiano dell’Agricoltura.

Vedeva la gente che entrava e usciva dai metal detector e la guardia privata piantata davanti all’ingresso a parlare al cellulare.

Quella guardia gli stava parecchio sulle palle. Con quel giubbotto antiproiettile, il berretto con lo stemma, la pistola lucida, gli occhiali da sole, il mascellone 18

e la gomma americana, chi cazzo si credeva di essere?

Tom Cruise?

In realtà quello che veramente interessava Danilo Aprea non era la guardia, ma ciò che c’era dietro: il Bancomat.

Quello era il suo obbiettivo. Era il più usato in paese, visto che quella era la banca con più correntisti di tutta Varrano, e di conseguenza doveva essere zeppo di soldi.

C’erano due telecamere piazzate sopra lo sportello.

Una a destra e una a sinistra, in modo da coprire tutta la zona intorno. E sicuramente nella banca doveva esserci collegata una batteria di videoregistratori. Ma quello non era un problema.

A dirla tutta non c’era alcun bisogno che Danilo stesse lì a osservare il movimento davanti alla banca.

Il piano era studiato in ogni minimo dettaglio. Ma guardare quel Bancomat lo faceva sentire meglio.

La storia del colpo al Credito dell’Agricoltura era nata circa sei mesi prima.

Danilo era dal barbiere e sfogliando la cronaca aveva letto che in un paese vicino a Cagliari una banda di malviventi con un fuoristrada aveva sfondato il muro di una banca e si era portata via il Bancomat.

Mentre si faceva tingere i capelli la notizia continuava a ronzargli in testa: quella poteva essere la svolta della sua vita.

Era un piano semplice.

«E la semplicità è la base di ogni cosa fatta come si deve» gli diceva sempre suo padre.

Poi era facile da realizzare. La notte a Varrano era un tale mortorio che se facevi le cose veloci, chi ti vedeva?

E chi avrebbe mai potuto pensare che Danilo Aprea, una persona così rispettabile, potesse derubare una banca?

Con il bottino avrebbe realizzato il sogno di Teresa.

Aprire una boutique di lingerie. Danilo era sicuro che, se le avesse regalato un negozio, sua moglie sarebbe tornata a casa e a quel punto lui avrebbe trovato la forza di andare dagli Alcolisti Anonimi e togliersi il vizio.

14.

Dopo che Cristiano era uscito, Rino Zena era crollato di nuovo a dormire e quando si era svegliato il fischio nelle orecchie, come d’incanto, era passato insieme al cerchio intorno alla testa. In compenso aveva una gran fame.

Se ne stava sul letto e s’immaginava un piatto di salsicce bruciacchiate e un bel po’ di pane.

Aveva l’uccello duro e i coglioni gonfi come uova sode.

Da quanto non scopo?

Erano passate almeno due settimane. Ma quando aveva malditesta la fica era l’ultimo degli argomenti che lo interessavano.

Questa sera faccio una spedizione punitiva, si disse tirandosi su dal materasso e andando al cesso nudo e con il coso dritto come il bompresso di un veliero.

Rino Zena nella vita aveva qualsiasi tipo di difficoltà, tranne trovare da scopare e gente con cui litigare.

Poi, ultimamente, aveva individuato un paio di locali dove si riunivano skinhead, punk e tutti gli sballati della zona. Una manica di figli di papà che facevano i duri girando su Harley-Davidson da 30.000 euro.

Rino li disprezzava, ma le loro donne gli venivano addosso 19

peggio delle mosche su uno stronzo di cane.

Tutte seguivano lo stesso iter: la maggior parte erano delle anoressiche rapate che si tatuavano svastiche e croci celtiche sulle chiappe e che per un po’

facevano le bambine cattive scopando a destra e a manca. Si sfondavano di merda tagliata e poi venivano spedite in qualche clinica americana a ripigliarsi, si facevano cancellare i tatuaggi con il laser, si sposavano con un proprietario di azienda e giravano in minigonna e giacchetta a bordo di una Mercedes.

Ma Rino approfittava della fase di transizione e della loro disinvolta voglia di cazzo e di esperienze forti. Le marchiava e poi le cacciava a calci la mattina dopo con la fica infuocata e qualche livido in più. E la maggior parte di quelle zoccole tornavano alla carica non contente.

Vacche!

Si buttò sotto la doccia gelata, si rasò il cranio e poi s’infilò una canottiera striminzita, i pantaloni e gli anfibi.

Scese in una stanza di una trentina di metri quadri che dava sulla porta d’ingresso e su un corridoio da cui si accedeva alla cucina, a un bagnetto e a un ripostiglio.

Sul pavimento era posato del linoleum rossiccio che si sollevava contro le pareti di mattoni rossi e cemento.

Da una parte c’erano un tavolo su cui era stesa una tovaglia di plastica a quadri bianchi e verdi e due panche. Dall’altra la zona tv. Due cassette di plastica blu con sopra un vecchio televisore a colori Saba. Per cambiare canale senza alzarsi gli Zena usavano una mazza di scopa che veniva sbattuta contro i grossi pulsanti dei canali. Di fronte alla tv un divano letto con la fodera lercia e tre sedie a sdraio bianche con i fili di plastica. C’era anche una panca di ferro arancione con un bilanciere caricato di piastre. Per finire, in un angolo, accanto a uno scatolone pieno di giornali e a una catasta di legna, una stufa di ghisa. Un ventilatore sopra un’asta veniva usato d’inverno per irraggiare il calore della stufa e d’estate per smuovere l’aria afosa.

Tra poco sarebbero arrivati Danilo e Quattro Formaggi.

Posso farmi un po’ di bicipiti, si disse Rino. Ma ci rinunciò.

Aveva lo stomaco che brontolava e ancora il cazzo in tiro.

Accese la tv e cominciò a farsi una sega guardando una troia bionda con al collo un ciondolo grosso come un medaglione di tacchino che assisteva un ciccione mentre preparava filetti di triglia selvatica in guazzetto di lamponi, castagne e salvia.

Con l’uccello in mano, Rino fece un gesto di disgusto.

Quella merda che stavano cucinando glielo aveva fatto ammosciare.

15.

Danilo Aprea guardò il vecchio Casio digitale che aveva al polso.

Le otto e un quarto, e Quattro Formaggi non si vedeva.

Tirò fuori il borsellino in cui teneva le monete. Gli restavano tre euro e… Avvicinò gli spiccioli agli occhi.

Venti… Quaranta centesimi.

Erano passati quattro anni da quando avevano cambiato la moneta e non ci capiva ancora niente. Ma cosa avevano le lire che non andava?

Si alzò e ordinò un’altra grappa.

Come Dio Comanda
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