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«Ora mi prende un coccolone. Così la faccio finita.
E sarete tutti felici», e fece un rutto alla grappa.
Voleva spegnere la televisione che urlava in salotto, la voce di Bruno Vespa e degli altri stronzi che blateravano di deficit, tasse e inflazione gli facevano salire una nausea terribile, ma aveva paura di addormentarsi e schiattare nel sonno.
Che cazzata aveva fatto ad attaccarsi al Cynar.
/ liquori possono scadere?
E poi appena chiudeva gli occhi gli sembrava di precipitare in un buco senza fondo che lo avrebbe portato dritto fino al centro infuocato della Terra.
Doveva riflettere. Anche se in quelle condizioni e con Bruno Vespa di là che martellava era veramente difficile.
La prima cosa da considerare era che il piano del Bancomat, così come era stato concepito, era andato a farsi fottere. La seconda che aveva chiuso per sempre con Rino e Quattro Formaggi.
«Ma, come dice il proverbio, meglio solo che male accompagnato» biascicò tenendosi una mano sul petto.
Doveva rimettere in piedi il colpo. Senza di loro.
Era la cosa migliore che la sua mente avesse prodotto da quando era venuto al mondo. Non andava abbandonato.
La grandezza di quel piano era che lo si poteva fare sempre. Tutte le notti. Bastava avere i compagni giusti e non dei vigliacchi.
Avrebbe trovato dei veri professionisti con cui ripartire da capo. In quel momento non sapeva chi fossero, né dove trovarli, ma il giorno dopo, a mente lucida, certamente gli sarebbe venuta qualche idea.
«Gli albanesi. Gente con le palle» fece ansimando.
«Caro Rino, non mi hai proprio capito. Che peccato.
Che gran peccato. Non ti è chiaro con chi hai a che fare.
Per fermare Danilo Aprea bisogna sparargli con il bazooka.»
Le pennellate celesti della televisione, attraverso la porta, tingevano il soffitto sopra il letto. Era strano, ma tra le chiazze azzurrine gli sembrava emergesse una macchia scura che aveva una forma umana.
«Sei tu, caro?» domandò rivolto al soffitto.
(Certo che sono io.)
Il pagliaccio scalatore l’osservava spalmato come l’Uomo Ragno sul soffitto della stanza.
«Ho fatto bene a mandare a ‘fanculo Rino, vero? A me non mi devono cagare il cazzo, non lo vogliono mica capire. L’unica cosa che mi dispiace è che domani quelli vengono con il quadro e io non ho i soldi. Mi dispiace da morire.» Cercò a terra con la mano la bottiglia di Cynar senza trovarla. «Non ti preoccupare, però… Fidati… Io la mia vita non la butto al cesso» si rivolgeva al clown sopra la sua testa. «Io non ti lascio.
Io non faccio come certa gente di mia conoscenza.
Te lo giuro, te lo giuro sulla testa di…»
Laura.
«… Teresa, la cosa più importante della mia vita, che starai qui, in questa casa. Domani. Mi vendo tutto, piuttosto.»
Improvvisamente un grumo di dolore gli esplose come una bolla sotto lo sterno. Si toccò gli occhi, le guance. Piangeva e non se n’era accorto.
«Sto male» singhiozzò. «Che cosa devo fare? Dimmelo tu. Ti prego, dimmelo tu.»
(Chiamala. Lei è l’unica che ti capisce.) Il pagliaccio gli sorrise sul soffitto.
«Non è vero… Mi ha lasciato… Non è stata colpa mia se Laura è morta. Io lo so che lei pensa questo…»