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Ma fuori un clacson suonò.

Beppe si lanciò verso la finestrella e vide due fari gialli nella pioggia.

È lei! È arrivata. Adesso le parlo.

Datti una controllata però…

E stava per entrare in bagno a darsi un’occhiata allo specchio quando si ricordò cosa c’era là dentro.

Si mise a posto la cravatta guardandosi nel vetro rigato dalla pioggia e si passò le dita fra i capelli, poi cominciò a saltellare e a piegare la testa a sinistra e a destra, a sciogliere le braccia, come farebbe un pugile appena salito sul ring.

Devo trovare il modo giusto per non ferirla. Ma non credeva nemmeno di farcela a parlare, tale era l’emozione.

Aveva lo stomaco contratto e non aveva più saliva.

Avrò un alito che stende un rinoceronte.

Con le mani tremanti prese la scatoletta di mentine che teneva in tasca, se le buttò giù tutte e cominciò a triturarle con i denti ripensando a una frase pronunciata una volta da Loris Reggiani, il grande campione di motociclismo: «Ho passato gran parte della vita in sella a una moto da corsa, consapevole che avrei avuto i migliori risultati se fossi stato in grado di gestire al meglio le mie emozioni e il mio potenziale».

Quindi forza. Tranquillo. Ce la -puoi fare.

Aprì la porta del camper inspirando ed espirando.

Ida Lo Vino si precipitò dentro tutta bagnata. «Ma che succede? È il diluvio universale?» fece levandosi l’impermeabile zuppo.

Beppe avrebbe voluto risponderle, dire una cosa qualsiasi, ma le corde vocali gli si erano paralizzate vedendosela lì davanti.

Miseria, se è bella.

Anche avvolta nel nebbione dell’incenso era una dea. Si era messa una gonna che le arrivava alle ginocchia, le scarpe nere con i tacchi a spillo e uno spolverino color pesca.

Ed è venuta per te.

«Che freddo, si gela» disse lei massaggiandosi le braccia.

L’unica cosa che Beppe riuscì a fare fu prendere la bottiglia di vodka al melone e passargliela.

Lei lo osservò perplessa. «Non mi dai neanche un bicchiere?»

«Scusa… Hai…» ragione. Prese un calice dal tavolo e glielo passò.

Lei si versò due dita d’alcol guardandosi intorno.

«Piccolo. Ma ben organizzato.» Storse il naso. «Hai messo l’incenso. C’è uno strano odore…»

Sembrava di essere dentro a un tamburo di latta, tanto era il fracasso che faceva la pioggia sul tetto.

Lui urlò: «Sì, infatti».

Avrebbe voluto chiederle come era riuscita a venire senza insospettire Mario, ma non lo fece.

Ida bevve la vodka in un sorso. «Ah, un po’ di calore.

Ci voleva.»

Sembrava più emozionata e imbarazzata di lui.

«Me la sto facendo sotto. C’è un bagno, qui?»

Lui le indicò la porta e avrebbe voluto avvertirla di non aprire, che dentro c’era l’inferno e che forse era il caso… Ma l’arresto delle sue capacità vocali persisteva.

«Ci metto un istante.» Ida aprì la porta e si chiuse dentro.

L’assistente sociale affranto si mise una mano sulla fronte.

Come Dio Comanda
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