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La Gran Chiusa.
Così l’avevano chiamata.
Rimanere barricate in camera a vedere dvd, farsi canne, bere e mangiare tutta la domenica.
Meglio sole che con quella banda di morti che vegetavano dentro un centro commerciale e si risvegliavano solo per menare le mani. L’avevano deciso dopo che quel deficiente di Tekken per poco non aveva gettato Zena giù dal ponte.
Chissà che diavolo gli era passato per la testa a quello lì di sfregiare la moto di Tekken… Ma cosa voleva fare? Se non fossero intervenute lei ed Esmeralda quelli lo avrebbero buttato di sotto.
Certo che aveva coraggio, Zena. Ma aveva anche un caratteraccio. Si offendeva subito. Non gli potevi dire niente.
Da un po’ ci pensava troppo, a Cristiano Zena.
«Allora?»
Fabiana si girò verso l’amica. «Cosa?»
«Ce lo facciamo questo bagno?»
«Non posso, devo tornare a casa.»
Aveva giurato al Merda, alias suo padre, che alle dieci e mezzo in punto sarebbe stata a casa.
La mattina dopo, alle otto e mezzo, saltando la prima ora di scuola aveva un appuntamento dal dentista per la solita visita di controllo.
Fabiana calcolò che anche se si muoveva in quel momento sarebbe stata comunque in ritardo. Ci metteva venti minuti buoni fino a casa. A quel punto tanto valeva prendersela comoda.
Fortuna che aveva spento il cellulare.
Il Merda doveva essere appena tornato da…
Dove era andato?
… e non vedendola a casa sicuramente le aveva intasato la segreteria telefonica.
62.
Rino aveva spento la televisione, fissava l’acquazzone che picchiava contro le finestre del soggiorno e cercava di capire che cosa lo avesse spinto a vedere quel film. Lo conosceva a memoria, lo aveva visto almeno un paio di volte, eppure non era riuscito a scollarsi dallo schermo.
Quel pomeriggio di un giorno da cani. Con Al Pacino.
Il suo attore preferito insieme a Robert De Niro. Se un giorno avesse incontrato quei due per strada si sarebbe inchinato e avrebbe detto: “Siete due grandi e avrete sempre il rispetto di Rino Zena”.
Riuscivano a raccontare la vita di merda della gente comune come nessun altro.
Ma quella sera non avrebbe dovuto vedere quel film. Al Pacino entrava in una banca per fare una rapina e la cosa si trasformava in una strage.
Aveva capito che il colpo al Bancomat era una cazzata.
Una cazzata gravissima che avrebbe pagato per il resto dei suoi giorni.
E anche se la ragione gli suggeriva che quel diluvio era una botta di culo (in giro non ci sarebbe stata un’anima), lo stomaco gli diceva che quel film trasmesso da Rete 4 esattamente due ore prima del colpo era un segno mandato dal Signore per dirgli di lasciar perdere.
Ora continuava a pensare al piano e la mente gli s’impantanava in immagini di sangue e morte. Erano proprio i colpi così, all’apparenza sicuri e modesti, che si trasformavano d’improvviso in massacri.
Ma che, sei matto…?