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23.
Max Marchetta era seduto alla scrivania e parlava al telefono, discutendo con il call center Vodafone.
Aveva un po’ di difficoltà a esprimere il proprio disappunto per via delle strisce sbiancanti di AZ White-strips che aveva applicato sui denti e che bisognava tenere almeno venti minuti. «Io proprio non capizco…
Ho inserito il codize, ma mi è arrivasa un’altra sciuoneria. Orrenza…»
Era un ragazzotto sulla trentina, scuro, con due piccoli occhi turchesi. Sotto il naso che aveva la forma di una fragola si era fatto crescere un paio di baffetti alla D’Artagnan, e una mosca sotto le labbra carnose.
I capelli neri erano tirati indietro con il gel e riflettevano i neon del soffitto. Aveva le mani fresche di manicure.
Ci teneva al suo stile, Max Marchetta.
“Un imprenditore deve essere sempre elegante, perché eleganza è sinonimo di sicurezza e affidabilità.”
Non si ricordava se questa frase l’aveva detta qualcuno d’importante o era lo slogan di una pubblicità.
Non importava. Erano comunque parole sante.
Di solito indossava completi di flanella gessata con tanto di gilè, fatti su misura. Quel giorno però, per cambiare, aveva un doppiopetto blu e una camicia a righe bianche e azzurre con un collettone a tre bottoni chiuso da una cravatta scura dal nodo grosso come un pugno.
La voce dell’operatore, con un forte accento sardo, gli domandò che suoneria voleva scaricare.
«Toxic. Di Britney Zpeare. Quella che fa…», e malamente farfugliò il ritornello.
L’operatore lo interruppe. «No, intendo: quale codice?»
Max Marchetta tirò su la rivista e controllò: «Quazzro tre quazzro uno sei».
Ci fu un attimo di silenzio e poi: «Il 43416 corrisponde all’Era del cinghiale bianco di Battiato Franco».
«Ma che schifo è? Mi zpieghi perché su questa rivista c’è zcritto che Toxic è il quazzro tre quazzro uno sei! Me lo zpieghi!»
«Non lo so… Forse quelli della rivista hanno fatto un errore…»
«Ah, hanno fatto un errore e ora chi mi rida i miei tre euro? La Vodafone?» Mentre parlava sparava schizzetti di bava.
Il centralinista fu preso in contropiede. «Non credo sia colpa della Vodafone se il giornale ha sbagliato a stampare il codice.»
«È zacile gettare le colpe sempre sugli altri! In Italia è lo zport nazionale, vero? A voi cosa vi importa ze i vostri clienti perdono i loro zoldi? Lei poi ha un tono molto arrogante.» Max prese la penna e la poggiò sull’agenda. «Come zi…»
Avrebbe voluto appuntarsi il nome dell’operatore e farlo cagare sotto ma si ritrovò in aria, superò in volo la scrivania e si schiantò contro un muro coperto di fotografie incorniciate. Un secondo dopo gli cadde in testa il quadro del diploma di laurea in Economia e Commercio.
Max pensò che fosse esploso il serbatoio del metano e l’onda d’urto l’avesse sbalzato dalla poltrona, ma poi vide due anfibi sporchi di vernice e nel medesimo istante fu sollevato per il bavero della giacca da due braccia ignoranti e piene di orrendi tatuaggi che lo appiccicarono al muro come un poster.