25

«Hai perso l’autobus?» gli chiese Fabiana.

Cristiano si accese una sigaretta e fece sì con la testa.

«Ah! Fumi pure?!»

Lui alzò le spalle.

«A scuola ci arrivi che è finita…» Fabiana lo squadrò e poi gli fece un sorrisino. «A te non frega niente di niente, vero? Sei uno che odia il mondo?»

«Esatto.»

«Vuoi un passaggio?»

A quel punto Esmeralda, che si agitava come se avesse l’orticaria, sollevò la visiera e sbuffò: «Che palle che sei, Fabiana! In tre ci fermano. Lascialo perdere, dai. Che ti frega? Siamo in ritardo».

Cristiano intanto coglieva solo sprazzi della discussione.

Si stava domandando chi delle due gli piacesse di più. Esmeralda aveva la pelle scura, con gli occhi neri come gocce di petrolio. Con i capelli lisci e corvini e le labbra sottili color prugna. Fabiana tutto il contrario.

Biondissima, con gli occhi verdi come l’acqua stagna, labbra grandi ed esangui. Ma per il resto si assomigliavano moltissimo. Erano magre, alte, con il nasino all’insù, il collo lungo, i capelli lisci fino a metà schiena e poche tette. Si vestivano uguali. E tutte e due avevano un anello d’argento con un teschio bellissimo, e gli stessi piercing sul sopracciglio, sulla lingua e sull’ombelico. Minardi diceva di sapere per certo che ce l’avevano anche sulla fica e che quando stavano da sole si attaccavano una catenella agli anelli e giravano così per casa.

«Dai, Esme, chi vuoi che ci ferma con questo tempo?»

disse Fabiana all’amica. «Mettiamolo in mezzo.

Ci stringiamo.»

«Vado a piedi» gli uscì senza che se ne rendesse conto.

A questo punto fu la volta di Esmeralda. Lo osservò e poi disse con un’occhiata maliziosa: «Ma come?

Non ti piace stare tra noi due?».

A scuola giravano storie sul fatto che la Guerra e la Ponticelli si scopavano insieme quelli del liceo. Soprattutto uno, un certo Marco Mattotti, detto Tekken, un Cristo con la coda di cavallo che era campione regionale di boxe thailandese. Quando Tekken veniva davanti a scuola con la sua moto, loro gli si strusciavano addosso come gatte in calore e lo baciavano sulla bocca.

Ma quella scena aveva qualcosa di finto, uno spettacolino messo su apposta per far intossicare d’invidia i compagni di classe e far rosicare e sparlare le compagne.

Non si potevano nemmeno calcolare le seghe che Cristiano si era sparato pensando di scoparle insieme.

E l’immagine era sempre la stessa. Mentre se ne trombava una, l’altra lo baciava. E poi si davano il cambio.

Cercò di spazzare via quell’immagine dalla testa.

Cosa doveva fare?

«Vabè. Vengo» disse con un sospiro annoiato.

Esmeralda trionfante cominciò ad applaudire. «Vinto!

Vinto la scommessa! Visto? Dopo mi molli i compiti.»

«Sai che scommessa. Che ci voleva?» Fabiana si abbassò la visiera.

«Cosa?» non poté fare a meno di chiedere Cristiano.

Esmeralda trionfante: «Io ho detto che sei finto.

Che non sei un duro e che saresti venuto in motorino con noi. Era una scommessa».

«Brava. Hai vinto» fece Cristiano, abbassò la testa e s’incamminò pugnalato al petto.

Come Dio Comanda
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