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E lei c’era rimasta di merda. Per questo voleva che anche Fabiana ci andasse a letto. Così almeno erano in due a essere sverginate e mandate a fare in culo.

L’unica volta che Fabiana era uscita sola con Tekken erano andati al cinema, e lui le aveva messo le mani dovunque. E mentre la riportava a casa si erano fermati al giardino pubblico e lui aveva tirato fuori l’uccello duro, tutto orgoglioso, e praticamente l’aveva costretta a fargli una sega a venti metri dal chiosco del giornalaio. Se non avesse minacciato di urlare, quello se la sarebbe fatta lì nel giardinetto, davanti a tutti.

La pernacchia assordante di una marmitta bucata la fece sobbalzare. Fabiana girò la testa e vide sulla corsia di sorpasso un uomo, coperto da una cerata gialla e con un casco integrale, in sella a un vecchio Boxer verde.

Allora non sono sola al mondo. Quel motorino l’ho già visto…

Ci mise un attimo a collegarlo al mezzo barbone che quando camminava sembrava che facesse la break-dance e che aveva visto spesso con il padre di Cristiano Zena.

Ma dove stava andando con quel tempaccio?

79.

Impossibile!

Non poteva essere vero.

La biondina identica a Ramona!

Quello era il suo motorino. L’adesivo giallo. Il casco.

Cosa ci faceva in giro sotto quel diluvio?

Eppure era lei, in carne e ossa, tutta bagnata.

Quattro Formaggi la rivide al giardino pubblico, quella notte d’estate, quando in piedi teneva in mano…

E su e giù. E…

La visione di quella ragazzina che teneva tra le mani il coso del motociclista lo accecò e gli strappò un gemito gutturale. Un brivido di piacere gli risalì lungo la colonna saltando da una vertebra all’altra e Quattro Formaggi si sentì improvvisamente le braccia e le gambe molli come i tentacoli di una medusa e dovette stringere forte il manubrio per rimanere in sella.

Ramona esce di casa e dice sorridendo al boscaiolo: “Tira fuori il tronchetto della felicità che ci divertiamo”.

E su e giù. E…

Quattro Formaggi sentì ribollire il sangue che gli circolava nelle orecchie, nelle viscere, tra le gambe.

Prese a darsi dei pugni sulla coscia. Poi infilò la mano sotto la giaccavento e si conficcò le unghie in un fianco.

«Troia. Troia bastarda» grugnì chiuso dentro al casco.

«Perché? Perché ti piace fare queste cose? Perché non mi lasci in pace?»

Le faceva contro di lui. Per farlo stare male.

(Forza! Fermala.) La voce di Bob il boscaiolo si fece sentire potente e decisa. (Forza, che cazzo aspetti?) Non posso.

(Non ti capiterà più un’occasione del genere. Ti rendi conto che fortuna hai avuto? Sarà felice di farlo anche a te.) Non è vero.

(È vero.)

Non posso. Non ce la faccio.

(Sei solo un povero scemo, idiota, ere…) Quattro Formaggi chiuse gli occhi cercando di non ascoltarlo. Respirava a bocca aperta e aveva la visiera 107

del casco tutta appannata.

(Avrà le mani fredde e bagnate. E sorriderà.) No. Non posso…. E se non vuole?

(Certo che vuole. Facciamo così. Se fa la tangenziale allora vuol dire che non vuole. Se invece prende la strada che passa nel bosco allora non potrai più dire niente…) Giusto. La strada nel bosco era deserta, se non voleva essere fermata non l’avrebbe presa mai, quindi se per caso la faceva voleva dire…

(Bravo! Hai capito finalmente.)

… che lei lo voleva e quindi l’avrebbe fermata.

Non sapeva come, ma l’avrebbe fermata.

80.

Il barbone ora avanzava alla sua stessa velocità, procedendo dietro di lei ma contromano. A un certo punto Fabiana Ponticelli lo aveva visto darsi dei pugni su una gamba.

Meglio accelerare.

Con quel motorino scassato il matto aveva poche chance di starle dietro.

Fabiana girò la manopola del gas e lentamente se lo mise alle spalle.

Doveva stare attenta, a quella velocità se avesse incontrato una buca non avrebbe avuto il tempo di frenare.

Guardò nello specchietto retrovisore.

Il Boxer era ancora dietro. Ma più lontano.

Tirò un sospiro e si accorse che non aveva praticamente più respirato da quando il tipo le si era materializzato di fianco.

81.

Il sonno alla fine l’aveva avuta vinta sulla famiglia Zena.

Cristiano era crollato dopo una disperata battaglia per rimanere sveglio fino all’arrivo di Danilo e Quattro Formaggi, e al piano di sotto Rino russava davanti alla tv accesa.

82.

Anche Beppe Trecca, con tre Xanax e una mezza bottiglia di vodka al melone in corpo, russava con la fronte poggiata tra le vaschette del cinese.

83.

«Io potevo trovare chi volevo per fare questo colpo, caro il mio Rino Zena. Cosa ti credi? Cosa pensi, che ci sei solo tu? E cosa hai detto? “Dobbiamo parlare”!

Ma di che cazzo dobbiamo parlare? Qualcuno ti ha nominato capo? Io sono il capo, fino a prova contraria.

Sai quanti meglio di te trovavo se volevo?» Danilo Aprea parlava ad alta voce e gesticolava sollevando le spalle. «Chi ha pensato il piano? E chi è che ha fatto tutto? Chi ha passato un mese davanti alla banca a studiare ogni movimento? Chi ha trovato il trattore? Io! Io! E io. Ho fatto tutto io! Io vi farò diventare ricchi. Io…» Si rivolgeva al divano, come se Rino e Quattro Formaggi fossero seduti lì sopra. «Vogliamo dircela tutta, ma proprio tutta?

Senza peli sulla lingua? Io dovevo avere il cinquanta per cento e voi il venticinque. Questo era giusto.

Come Dio Comanda
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