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Willowbrook Cemetery, tre chilometri da Cedar Ridge, California,
lunedì, 20 giugno 2011
C’eravamo soltanto io, il pastore e due dei becchini più burberi della storia.
Siamo sinceri, nessuno aveva riconosciuto il corpo di Sarah, e non c’era nessun altro cui importasse. Non in questa vita.
In ogni caso, era già stato dimostrato che non esisteva nessuna «Sarah Fiddes», che la ragazza si era inventata quell’identità circa due anni prima e che aveva sempre viaggiato con un passaporto falso. Come le altre sue contraffazioni, era stato realizzato con cura ed era parso del tutto convincente.
Quasi ad accentuare il senso di vuoto che provavo, e non soltanto per me stesso, il cielo decise anche di passare l’intera giornata a scaricare una pioggia gelata. Col colletto tirato su, me ne stavo accanto a una fossa profonda, mentre venivano pronunciate parole ambigue su una donna che il ministro non aveva mai conosciuto e che nemmeno io avevo capito sino in fondo.
Aveva saputo ancora prima di tornare nel passato che, alla fine, avrebbe dovuto togliersi la vita. Se avesse voluto tirare un po’ per le lunghe, forse avrebbe potuto aspettare fino al 23 marzo, il giorno precedente la sua nascita, ma immagino che, come tutti gli altri, avesse compreso che la sua esistenza era davvero iniziata nei terribili momenti in cui Creed aveva approfittato di sua madre. Posso soltanto supporre che, a suo giudizio, valesse la pena fare quel sacrificio indispensabile per avere l’opportunità d’incontrare Tina e di provare a portare un po’ di luce nella sua vita.
Avevo trascorso il giorno successivo alla sua morte e buona parte della notte a leggere il meticoloso fascicolo che aveva compilato per me. Era perlopiù scritto a mano, e penso che, molto prima che Deacon mi assegnasse il caso, Sarah avesse faticosamente annotato tutto ciò che sapeva, sera dopo sera, quando tornava dall’Oakdene. Soltanto perché un giorno potessi comprendere.
Neanche a dirlo, la prima cosa che avevo trovato nel dossier – anche se era accaduto mentre, appoggiato all’auto, osservavo la squadra di soccorso che recuperava il cadavere – era stato il messaggio di suicidio. Carta pregiata e busta foderata. All’inizio, alcune delle frasi che aveva scritto non mi parvero del tutto sensate, mentre altre erano così brillanti, e così tipiche di Sarah, da strapparmi un sorriso persino mentre guardavo il corpo scivolare nell’ambulanza, come un vecchio ricordo in un cassetto.
Era innegabile che mi avesse consegnato la busta la mattina dopo avermi conosciuto, ancora prima di partire per la Francia, ma le sue parole di addio, le spiegazioni e le scuse erano già state messe nero su bianco. Tanto per sicurezza.
Mentre il pastore recitava la formula «terra alla terra, cenere alla cenere, polvere alla polvere», sorrisi di nuovo. Quello, aveva detto Sarah, era il luogo in cui presto sarebbe arrivata una vecchia Ford malconcia a sollevare una nuvola della sua polvere.
Non mi aveva ancora incontrato quando aveva scritto quelle parole, ma credo mi conoscesse già.
Non c’eravamo nemmeno scambiati un’occhiata quando aveva scritto: La prima era che, se mai avessi conosciuto lo stupratore di mia madre, l’avrei ucciso senza esitazione; la seconda, che non avrei più cercato di togliermi la vita, questo dono speciale. Soltanto ora, mentre scrivo un biglietto a un uomo che non ho mai conosciuto, mi rendo conto di aver mentito a me stessa su entrambi i fronti. Oppure: So che ti prenderai cura di me.
Non mi aveva mai visto in faccia, ma mi aveva ritenuto in grado di portare a termine quei compiti gravosi. Ora, mi sentivo in dovere di dimostrare che la sua fiducia era stata ben riposta.
Un percorso che andava ben al di là dell’assicurarle una degna sepoltura. Molto, molto più in là. Una delle cose che avrei deciso di fare negli anni a venire, anche se all’epoca non ne avevo ancora idea, sarebbe stata andare a trovare il giovane Kenny Wilding. Ovviamente, dato che aveva scontato nove anni di carcere prima di ottenere la libertà sulla parola, non era più giovane come un tempo. Tanto per rinfrescarti la memoria, Kenny era il piromane geniale che, a diciannove anni, aveva adottato un look molto simile a quello di Sarah e aveva costruito in camera sua ordigni esplosivi così complessi che avrebbero fatto sfigurare il Mossad, prima di passare nottate insonni a testarli sui magazzini del quartiere.
Quando, alla fine del 2015, lo rintracciai ad Antimony, un’arida cittadina dello Utah, era a piede libero già da quasi un anno e non aveva nessuna voglia di rivangare il passato. Ci volle una grande opera di persuasione e alla fine dovetti offrirgli ottantamila buone ragioni, ciascuna con sopra l’immagine di George Washington, prima di convincerlo ad ascoltarmi. Tuttavia, accettò di aiutarmi solo quando parlammo dei temporizzatori che avrei voluto usare, e del fatto che avrebbero richiesto speciali batterie a lunga durata.
Impiegò circa quattro mesi a costruire i dispositivi, e lo pagai in contanti. Per fortuna, o per intelligenza, Sarah aveva intuito che la vita e le cose che avrei dovuto fare sarebbero state molto più semplici per me se mi avesse lasciato un risultato del Super Bowl – soltanto uno: stagione 2021, Cowboys-Redskins 38-12 – molto prima che cominciasse il campionato e che chiunque altro sapesse quali squadre si sarebbero sfidate al Rose Bowl.
Una scommessa da tremila dollari, ogni centesimo che possedevo, con una quotazione di 250 a 1, mi fruttò seicentoventicinquemila dollari, più che sufficienti a prendermi cura delle persone cui tenevo, compresa la compianta Sarah Fiddes.
Come ho detto, ottantamila finirono dritti nelle tasche di Kenny. In cambio ricevetti due ordigni, che dimostrarono la stessa ingegnosità e inclinazione alla progettazione per cui si era coperto d’ignominia quasi dieci anni prima. Ciascuno aveva più o meno le dimensioni di quattro scatole da scarpe impilate a coppie, e conteneva abbastanza Semtex-H concentrato da provocare una violenta esplosione che distruggesse qualsiasi cosa entro dieci metri di estensione e ventiquattro di altezza. Dubitavo che mi sarebbero servite cifre pari anche solo alla metà.
Con quelle bombe feci due cose: prima andai a Downtown, nel punto in cui prima dell’incendio era sorto il Mister Yang. Un immenso cartello retroilluminato annunciava al mondo che lo stabile era stato acquistato dalla KleinWork Research Technology «per lo sviluppo della sua sede centrale americana». In realtà, era stato proprio mentre fissavo quel cartello, due mesi prima, che avevo avuto l’idea. Allora, i lavori dovevano ancora iniziare ma, quando tornai con uno dei vasi di Pandora costruiti da Kenny, le fondamenta erano già state posate.
Col favore delle tenebre, forzai la recinzione e, con la memoria zeppa degli scrupolosi appunti di Sarah, individuai l’area che sarebbe diventata il laboratorio e il seminterrato dietro la torre principale. Il 2 gennaio 2014, in una delle profonde buche scavate per i basamenti, piazzai l’ordigno, impostando lo straordinario temporizzatore di Billy su 259.800 ore, pari a 10.825 giorni o, in altre parole, a ventinove anni e duecentoquaranta giorni. Erano quasi le tre del mattino, perciò sarebbe esploso esattamente alla stessa ora una settimana dopo che Sarah se ne fosse andata.
O forse tornata. Immagino si possa vedere in entrambi i modi, se si vuole.
Il guardiano notturno mi colse in flagrante, col cane che abbaiava a una quindicina di metri, ma né lui né Stinger, il pastore tedesco, videro cosa stessi facendo. Ringrazio per questi piccoli doni il Dio computazionale su cui mi sono documentato con così tanto scrupolo. Inventai una scusa, dicendo che avevo agitato le braccia durante un’accesa telefonata con mia moglie (quale moglie?) e che il cellulare mi era volato via. Quando uscii goffamente dalla buca col telefono in mano, ebbi l’impressione che l’avesse bevuta. Trovò persino il tempo di descrivermi i progetti che avevano in serbo per quella zona e di sottolineare quanto fossero tosti quelli della KleinWork.
Lo sapevo. E sapevo pure che di recente la KRT aveva brevettato una batteria a schermo di litio che, quando inserita in un orologio da polso o da parete a basso consumo oppure in un temporizzatore, sarebbe durata fino a un secolo senza perdere neppure un secondo. Soddisfatti o rimborsati (anche se presumo che il rimborso sarebbe andato ai discendenti dell’acquirente). Purché si fosse conservato lo scontrino.
KRT EverLife Batteries? A quanto pare, l’ironia non conosce limiti.
Dubitavo che le mie iniziative «dirompenti» – scusa il gioco di parole – avrebbero posto fine ai «viaggi sequenziali», o comunque sia opportuno chiamarli, ma non era quello il punto. La mia unica speranza era che Klein e Sherman fossero stati uccisi dal pacco di Sarah, anche se non l’avremmo mai saputo per certo, e che il progetto sarebbe andato a monte. Il mio contributo consistette soltanto nel nascondere la scoperta ancora per qualche anno, affinché nessuno tornasse indietro nel tempo per sistemare le cose.
Il giorno dopo Los Angeles, presi un altro volo per la Francia. Fu l’unico viaggio aereo che apprezzai in vita mia. A pochi chilometri da Serres, come previsto, trovai lo scavo abbandonato che, di lì a qualche anno, sarebbe stato confiscato per diventare il KleinWork European Livestock Research Centre. Per un po’ rimasi seduto a guardare il tramonto, col profumo dell’erba bagnata nelle narici e col fruscio delle foglie nelle orecchie. Per alcuni istanti, la terra parve il paradiso, perché d’un tratto sembrò un posto di gran lunga migliore.
Quando fece buio, identificai l’area su cui sarebbe stato costruito il laboratorio e piazzai la seconda bomba.
Come da mie istruzioni, sarebbe esplosa per prima, intorno alle sette del mattino in cui Sarah fosse partita. La differenza di fuso orario tra Los Angeles e la Francia mi mandò in confusione, ma alla fine ne venni a capo. Secondo gli appunti di Sarah, azzeccai in pieno.
Il pastore concluse il sermone in modo solenne. Silenzio, a parte lo scroscio della pioggia. Guardò me anziché Dio, pregando che i suoi servigi non fossero più necessari. Sussurrai un «grazie» e si ritirò rispettosamente, a capo chino. Anche i becchini, che non vedevano l’ora di finire il lavoro e rifugiarsi all’asciutto, decisero di trasformarmi nel loro dio.
Feci un’ultima richiesta. Senza quasi degnarli di un’occhiata chiesi loro di concedermi qualche minuto da solo, accanto alla fossa, prima che tornassero a riempirla. A seppellire il passato.
Accettarono senza protestare, e trovarono riparo sotto una vecchia quercia, in fondo al cimitero, dove fumarono una sigaretta, permettendomi di dire addio a Sarah. Non piansi, perché sapevo che di lì a poco sarebbe stata di nuovo parte di questo mondo. Mi accovacciai, le augurai buona fortuna e feci ciò che dovevo.
Poi, mi sedetti su una panchina che dava sulla fossa e fumai una sigaretta. In realtà, fu l’ultima che avrei fumato, anche se, grazie al messaggio di Sarah, sapevo che il danno era già fatto.
Stavo morendo, in modo lento ma inesorabile.
Non potevo cambiare quel fatto, perché non potevo cambiare il passato. Non è vero, Sarah?
Ma potevo ancora cambiare il futuro?
Le cose che accadranno dopo che me ne sarò andato.