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Downtown Los Angeles,
giovedì, 9 giugno 2011
Feci del mio meglio per commentare il quadro, come avrei potuto fare se l’avessi visto una volta e lo stessi descrivendo nel corso di un’indagine. Rappresentava un’ambientazione semidesertica, del tipo che ci si aspetterebbe di vedere in un Paese mediorientale. Per ovvi motivi, i colori predominanti erano i gialli, gli arancioni e le sfumature dell’ocra. A sinistra c’erano due uomini barbuti, seduti e avvolti in tuniche, il più vicino con una T maiuscola sulla spalla destra. Il suo amico teneva un bastone nella destra e parlava, mentre il primo cercava d’ignorarlo e di leggere un libro.
Anche quello con la T aveva un bastone, ma, anziché stringerlo – aveva il libro, non dimenticarlo –, l’aveva appoggiato a una piccola formazione rocciosa trasformata in un altare esagonale spartano. Là sopra, al centro del quadro, c’erano una statuina con la base di legno raffigurante la crocifissione di Cristo, una bottiglia di vetro verde, una clessidra e la metà superiore di un teschio umano. La ragione per cui i due protagonisti avessero portato con sé un teschio umano durante un lungo viaggio nel deserto era un mistero. Oltre al libro del primo uomo, ce n’erano altri tre addossati all’altare. Nell’angolo in basso a sinistra si distinguevano una damigiana ricoperta di vimini e una ciotola crepata.
I due uomini sedevano ai piedi di una parete rocciosa che occupava tutto il lato sinistro del dipinto, e il deserto si stendeva a perdita d’occhio dall’altra parte, perciò il cielo s’intravedeva solo in alto a destra, ma nell’azzurro pallido volavano due uccelli. Uno era lontano, tratteggiato da qualche rapida pennellata, mentre l’altro era stato disegnato per dare nell’occhio. Era nero – un corvo o una cornacchia – e stringeva nel becco una grossa pagnotta rotonda. Molto grossa, il che era sorprendente per un animale così piccolo. Il rapporto impossibile tra le dimensioni e il peso mi rammentò il Sacro Graal dei Monty Python e le rondini che migravano trasportando noci di cocco.
Uno dei protagonisti indicava l’uccello, forse stupendosi che fosse riuscito ad alzarsi in volo con cibo sufficiente a sfamare i piccoli per un mese. Nel frattempo, una figura solitaria si allontanava indifferente sulla pianura, sotto una chiesa. O non aveva notato l’uccello o l’aveva già scorto in precedenza, oppure non si sarebbe meravigliata finché non l’avesse visto con un hamburger in bocca. Sarah ascoltò ogni mia parola con espressione ora dubbiosa, ora divertita. Capì che ce la stavo mettendo tutta, e forse fu per quello che non assunse un’aria troppo severa.
«Hai notato quasi tutto, ma non te ne sei reso conto», disse quando ebbi finito. «Ci sono delle linee, Nick. Linee molto precise e inconfondibili, se sai dove cercarle. Quasi tutti i dipinti le hanno, ma queste sono strutturate con molta cura. Okay, prima costruiamo il ’quasi quadrato’ di cui ti parlavo.» Spostò il cursore sulla barra degli strumenti e selezionò un’applicazione con cui disegnare linee rette. All’epoca non ero ferrato in informatica come forse avrebbe voluto Deacon, ma fin lì riuscii a seguirla.
«Prima i bastoni: sono posizionati con estrema cura. Perché? Be’, scopriamolo, giusto?» propose Sarah.
Tracciò una linea nera lungo ciascuno dei bastoni, ma le prolungò fino alla cornice scansionata del dipinto, in alto e in basso. «A sinistra, questa crepa nella ciotola è il nostro indizio.» Tirò un’altra riga verticale sull’incrinatura, fermandosi ancora sul bordo. «E a destra abbiamo il tetto della chiesa, o meglio, l’apice del tetto e il suo rapporto con la finestra nell’edificio più piccolo, in basso.» Una terza linea verticale, che attraversava la sommità del tetto e la finestra. «Sto procedendo a spanne, ma fidati di me. Per quanto si possa essere precisi, questa è roba complicata. Perciò limitiamoci a completare il quadrato e poi uniamo gli angoli per trovare il centro.» Collegò il punto in cui le linee dei bastoni intersecavano le righe verticali a formare un quadrato approssimativo. Una di loro costituiva già una diagonale da un angolo all’altro, dunque Sarah aggiunse quella mancante.
«Un quadrato quasi perfetto, o almeno uno che misuri novanta gradi rispetto alla verticale, è troppo ovvio per qualsiasi sistema di codificazione. In più, al centro non c’è nulla d’interessante, il che è quantomeno bizzarro, se si conoscono le regole. Così ho disegnato il quadrato su uno strato a parte, perché so che occorre spostarlo. Ora vediamo come Teniers vuole che lo spostiamo.»
«Come vuole che lo spostiamo?»
«Oh, sì. Forse non proprio noi, ma qualcuno in generale.» Si girò verso lo schermo. «Guarda gli uccelli: sono posizionati in modo attento, e sono sempre molto simbolici nella produzione di Teniers. Di solito in relazione alla scena visibile più che a un codice nascosto, ma hanno sempre uno scopo. Perciò, incliniamo il quadrato, usando l’asse in alto a sinistra, finché non passa attraverso i due uccelli. O, a essere più precisi, attraverso i loro occhi. Anche gli occhi sono molto importanti. Vedono le cose. E cosa otteniamo?»
Ruotò una copia del quadrato che aveva disegnato, lasciando che l’originale sbiadisse fino a diventare grigio. Sorprendentemente, la nuova versione seguiva alla perfezione la linea di una pietra in basso a sinistra, oltre alle rocce inclinate che correvano dalla chiesa verso il suolo del deserto.
«Qual è ora il punto centrale?» chiese.
«Il teschio.» Iniziai a intravedere una logica curiosa.
«Il teschio. O meglio, i suoi importantissimi occhi. Ormai ti resta soltanto da decifrare il significato del ’quasi quadrato’ e sei arrivato alla meta.»
«E dove sarebbe la meta, con esattezza?»
«Se sei il primo a raggiungerla, è un luogo in cui il governo statunitense preferirebbe che tu non andassi.» Fece una smorfia incurante. «Ora, se fossi così gentile da darmi il testo…»