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Quarantadue chilometri a nord del Fort Tejon State Park, California,
martedì, 18 agosto 2043
La vanga di Haga trovò il tesoro per prima. Un tonfo leggero, ma udibile.
Non si trattava di una roccia, bensì di un oggetto cavo che aveva proprio il suono che avrebbe dovuto avere: una scatola.
Kerr si chinò verso la buca, profonda poco meno di un metro, e spostò la sabbia rimasta a mani nude. Sherman e Klein l’osservarono in silenzio, anche se le loro espressioni non avrebbero potuto essere più diverse.
Il vecchio sembrava preoccupato, quasi timoroso, mentre Sherman era ansioso e impaziente. Batteva il piede destro per terra e, in mancanza di qualcosa di utile da fare con le mani, si grattava il mento con fare pigro.
Klein pensò che assomigliasse a un tossicodipendente. Uno di quelli che, dopo giorni di astinenza, guardava la sua ragazza riscaldare una dose di eroina da iniettargli. Era disperato perché voleva i reperti con tutte le sue forze. Peggio ancora, ne aveva bisogno, e subito.
Kerr allungò il braccio per l’ultima volta e infilò le dita lungo un lato del pacco, strappando parte della carta. A poco a poco riuscì a liberarlo, poi rimase sdraiato a pancia in giù e tese anche l’altra mano, benché probabilmente la larghezza della buca superasse quella della scatola di sole due spanne. Ce l’aveva quasi fatta, quando il pacco gli scivolò tra le dita e ricadde sul fondo.
«Attento», ringhiò Sherman, infastidito da tanta incompetenza. Quell’idiota non capiva l’importanza di ciò che per un breve istante aveva tenuto tra le sue mani maldestre?
Lentamente, il pacco riaffiorò. Kerr lo posò di lato, rimosse la sabbia dalla superficie e si rotolò sulla schiena. Fissò il cielo azzurro e limpido ed espirò.
«Aprilo», ordinò Sherman brusco.
Klein avanzò sulla sedia a rotelle, con le rughe intorno agli occhi che assomigliavano a cicatrici su una parete rocciosa. Più si avvicinava, e più la sua espressione diventava ansiosa. Kerr si era inginocchiato davanti alla scatola e cominciò a strappare la carta marrone, lasciando che tremolasse nella brezza quasi impercettibile.
Sherman appoggiò la valigetta per terra, accanto alla radio e, facendo scattare la chiusura, la spalancò per accogliere le tavole. Estrasse qualcosa, si rialzò e si avvicinò agli altri da dietro. Haga, anch’egli in ginocchio, aspettava che Kerr aprisse il pacco per vedere se all’interno fossero contenuti i tesori che tutti speravano.
«Ecco fatto.» Kerr staccò l’ultimo pezzo di carta e fissò intensamente la scatola.
«Apri, sì. Aprila», lo esortò Haga, emozionato.
«Non penso proprio.» Sherman parlò in tono così calmo da essere inquietante.
Voltatosi, Klein vide che aveva l’indice destro sul grilletto di un’automatica. La canna era a meno di due centimetri dalla nuca del giapponese. Si udì una violenta detonazione che sembrò propagarsi sul pavimento del deserto, e un fiotto rosso schizzò dal volto dell’uomo, coi frammenti di cervello che cadevano sul legno liscio della scatola.
Haga si afflosciò come una bambola di gomma gonfiata male, steso sul fianco con gli occhi spalancati e uno squarcio rosso al posto della fronte.
Kerr si guardò intorno, girandosi verso Sherman, a poco più di un metro di distanza. Scioccato, non ebbe nemmeno il tempo di capire cosa stesse succedendo e di lasciarsi sfuggire un’imprecazione, prima che l’arma venisse puntata direttamente contro di lui.
«Che dia…» La pistola sparò, ributtandolo sulle ginocchia col viso rivolto verso il sole. Il suo corpo si contorse e le gambe si piegarono negli spasmi della morte.
«David, che stai facendo?» Klein non pareva sorpreso come avrebbe dovuto.
«Cosa pensi che stia facendo?» Sherman gli puntò l’automatica alla testa. «Sei vecchio.» Sottolineò le parole come se fossero il peggiore insulto che un essere umano potesse dire a un altro. «E io sto prendendo ciò che mi spetta di diritto.»
Klein era stranamente sereno, rassegnato al proprio destino. «Non è tuo, David, e nemmeno mio.» Guardò la scatola, col sangue di Haga che si allargava in una pozza ai suoi piedi. «È di Dio.»
«Di Dio? Di Dio? Hai dimenticato che Dio non esiste, che l’ho dimostrato una volta per tutte?»
Klein distolse lo sguardo. Appariva troppo calmo, troppo rilassato e troppo soddisfatto della piega che avevano preso gli eventi. «Allora chi ha scritto la sequenza?»
Sembrava che Sherman avesse deciso di dimenticare la prima domanda che si era posto anni addietro, la prima che aveva fatto a Klein quando era entrato nel suo ufficio, pronto a sottoporgli nuove ed entusiasmanti teorie: E se Dio esistesse davvero?
«Chi ci ha creati, David? Chi ha stabilito le regole?» Parlò come un docente universitario che avesse scoperto un errore madornale nella tesi di uno studente per cui provava un’antipatia istintiva; disprezzo assoluto verso una totale mancanza di conoscenza.
«David, hai scoperto soltanto che c’è una struttura tangibile nel modo in cui Dio opera. Nient’altro. Pensi di aver dimostrato che non esiste? Bene. Allora, forse, sarai così gentile da dirmi chi ha scritto le risposte, quelle su cui non vedi l’ora di mettere le mani.»
«Chi se ne frega di chi le ha scritte. Ora sono mie.»
«No, invece.» Klein socchiuse gli occhi e guardò il terreno. «Se provi ad aprire la scatola, verrai fermato.»
Sherman scoppiò in una risata di scherno.
«Fermato, David. Da un potere che puoi solo sognare di avere.»
«Che stronzate sono queste? » urlò Sherman in tono sarcastico, agitando le braccia. «Il vecchio sta forse avendo una crisi di coscienza? D’un tratto vuole inginocchiarsi e accettare l’esistenza del suo creatore perché se la fa sotto all’idea di non incontrarlo? Che altro, Josef? Hai intenzione di confessare i tuoi peccati?» Scrollò il capo, sprezzante. «Cristo, sei pronto a pregare un Dio inesistente e a implorare perdono per aver dimostrato che non esiste, e poi il pazzo sarei io? Seriamente, Josef, che ti prende?»
«Qualcuno ha scritto la sequenza, Dave. Blatera pure finché vuoi, ma è un fatto innegabile.»
«Dimentichi cosa siamo, Josef», s’infervorò Sherman. «Hai perso di vista la nostra ragion d’essere. Siamo scienziati, il nostro compito è dimostrare che Dio non esiste. E ora, quando finalmente ce l’abbiamo fatta, tu ti arrendi. Come tutti gli altri», sbuffò.
Più parlava, e più appariva esasperato.
«E poi, comunque, che mi dici del tuo ruolo in tutto questo, professore? Fino a qualche minuto fa eri impaziente di tenere le risposte tra le mani, giusto? Fino a oggi non sono mai state troppo sacre per le tue piccole dita luride, non è vero? Cristo, no. E ora te ne stai seduto lì a farmi la predica su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato? La parola ’ipocrita’ non compare nel tuo vocabolario antiquato?»
«Ho preso la decisione molto tempo fa. Avremmo dato soltanto un’occhiata. Avremmo sbirciato l’opera di Dio e saputo una volta per tutte che, nonostante la scienza e le nostre false affermazioni sulla comprensione del mondo, c’è qualcosa di più grande… qualcosa che non capiremo mai. Che ti piaccia o no, Dave, lui esiste. E quando tu, come me, ti fossi ritrovato faccia a faccia con la verità, con la prova che non sappiamo ancora nulla, me ne sarei andato da solo e le avrei seppellite dove nessuno le avrebbe mai trovate.»
«Perché dovresti fare una cosa così stupida?»
«Fondamentalmente per impedire a piccole teste di cazzo come te di metterci sopra le mani. Vivi di gloria riflessa, Dave.»
Il peggiore insulto che uno scienziato potesse ricevere.
«La gloria di chi, Josef? La tua? Ma piantala! Sono stato io a scoprire la tecnologia, ricordi? L’ho scoperta e ho imparato a controllarla.» Indicò la scatola. «Avevi passato anni a cercare le tavole, senza cavare un ragno dal buco. Poi, bam, sono arrivato io.» Batté la mano in cui teneva la pistola sul palmo dell’altra. «E ti ho offerto gli strumenti necessari. Se qui c’è qualcuno che vive di gloria riflessa, Josef, quello sei tu.»
«Sei un individuo gravemente disturbato, vero, Dave?»
«No, Josef, al contrario di te, chiuso nel tuo piccolo confessionale, io vedo in modo molto, molto chiaro. E sai cosa penso del nostro prezioso creatore, il tuo essere onnipotente che ha messo la sequenza nelle mani dell’uomo?» Si chinò. «Sai chi penso che sia quella persona, Josef?»
«No, Dave, non lo so. Ma sono sicuro che non vedi l’ora di dirmelo.»
«Io!» Sherman fece un sorriso malvagio. «Sono io. E sai perché? Perché quando capirò che il mio tempo sta per scadere, quando vedrò me stesso ridotto nelle tue condizioni, sai cosa farò? Entrerò in laboratorio e tornerò indietro. Molto, molto indietro. E forse, e sottolineo forse, riunirò un pubblico in cima a una montagna e condividerò con loro i miei segreti. Glieli restituirò. Poi ricomincerà tutto da capo.»
Per Klein, quella non era più semplice megalomania, bensì una psicosi clinica in piena regola.
«Mi stai dicendo che le tavole, le risposte ai misteri dell’universo, esistono per merito tuo? Che ora puoi averle soltanto perché qundo non ti servivano più le hai rimesse in circolazione? E ora pensi di essere cosa…? Dio? Sei pazzo.»
«Pazzo?» Sherman rifletté. «È la seconda volta che usi questa parola. Se non erro, Josef, mi avevi già definito così, ricordi? Quando sono venuto nel tuo ufficio con l’idea che tutto questo fosse possibile. E guardarmi ora, guarda le meraviglie che ho creato per te. Non sono poi così pazzo, no?»
«No. Sei molto, molto peggio.»
«Sai cosa voglio fare adesso?» Sherman si diresse a passo deciso verso la scatola. «Prima di morire ti permetterò di posare gli occhi sulla cosa che hai cercato per tutto questo tempo. Ti dimostrerò, una volta per tutte, che il tuo prezioso Dio non esiste. Ti dimostrerò che queste leggi sono opera dell’uomo. E poi, quando ti sarai reso conto che in realtà non ci sarà nessuna entità divina ad aspettare il tuo piccolo culo patetico dall’altra parte, porrò fine alle tue sofferenze e sfrutterò appieno il potere che, secondo te, non avrei mai avuto.»
Sferrò un calcio al cadavere di Haga, che rotolò a faccia in su con un’espressione di orrore e di dolore impressa sui resti grotteschi del viso. Si accovacciò di fronte al contenitore e vi passò sopra le dita, quindi le posò intorno al coperchio, mise i pollici sulle serrature e le fece scattare all’unisono.
Sollevò la copertura. «Ammira la gloria del Signore tuo Dio…»
Odio dovermi ripetere e, a forza di ribadirlo, credo di averlo chiarito.
«Sarah, cosa c’è in quel maledetto pacco?» Sembrava quasi che stessi implorando.
«Non posso esserne certa, ma…» rispose con noncuranza, lasciandosi andare all’indietro come se stesse ragionando.
Mi fissò dritto negli occhi e le lenti scure non riuscirono a mascherare il suo sguardo malizioso; per un istante, inarcò le sopracciglia oltre la montatura degli occhiali. Poi, me lo disse.
Con l’espressione d’imbarazzo e di vergogna più finta che si potesse immaginare, si posò la vanga sulla spalla come uno dei sette nani e, come se niente fosse, si avviò in direzione dell’auto. Mi sorpresi di non sentirla fischiettare: «Andiam, andiam, andiamo a lavorar».
Cos’aveva detto? Avevo capito bene? Alle mie orecchie era sembrato qualcosa come: «Spero sia una bomba bella grossa».
Klein, distante poco meno di due metri, guardò prima Sherman, poi la scatola e, infine, la carta marrone, un cui frammento sventolava sotto il corpo inerte di Kerr. Sorrise. Ecco qualcosa che non si era aspettato di vedere.
Era molto contento di averlo notato.
Ragazza in gamba.
Aveva pregato che Alison comprendesse la verità che le aveva rivelato il giorno prima. Era stato davvero il giorno prima? Oppure anni addietro? Ma, dopotutto, che importanza aveva? Il fatto era che la giovane aveva capito; aveva intuito le sue paure e, ancor meglio, le aveva persino condivise.
Klein sapeva di avere i giorni contati. Stava guardando la canna di una pistola a prescindere dal fatto che a stringerla fosse Sherman o no, e l’idea della morte imminente aveva portato con sé la peggiore paura che avesse mai conosciuto. Temeva non soltanto per il modo in cui aveva gestito la situazione sin dall’inizio, ma anche per il modo in cui avrebbe potuto gestirla di nuovo.
Era per quella ragione che aveva accettato di mandare Alison indietro nel tempo. Così sarebbe stata lei a decidere. Per quanto si ritenesse intuitivo, la ragazza era dotata di una mente molto più logica e lungimirante di quanto lui potesse mai sperare di avere.
Sin dal principio, sin dall’infanzia all’interno della NorthStar, Alison Bond aveva avuto la capacità di pianificare tante mosse in anticipo. Meglio concederle due anni, pensò Klein, durante i quali valutare la situazione, analizzare le opzioni e le conseguenze e, poi, fare la sua mossa.
Cosa gli aveva detto Grier, anni prima? Che avevano intercettato il pacco, col contenuto intatto, ma che si erano ritrovati di fronte a un dilemma, ossia come sbarazzarsi del detective cui l’avevano sottratto. Così, avevano vagliato le possibilità e individuato la soluzione.
Non avevano fatto altro che risigillare il pacco e rispedirlo.
Ma dentro non c’erano le tavole della Testimonianza. Non più. Grier e il suo team le avevano sostituite con una piccola sorpresa, un aggeggino che avrebbe risolto definitivamente il problema dell’esistenza del poliziotto sul pianeta. E avevano fatto tutto il possibile per assicurarsi che non si accorgesse dell’inganno. Il pacco era stato aperto con estrema attenzione e con altrettanta attenzione l’avevano richiuso.
Identico, fino alla marca del nastro adesivo e all’etichetta col codice a barre.
Proprio quella che ora aveva attirato l’attenzione di Klein da sotto il cadavere, mentre sventolava dolcemente al ritmo di una brezza delicata.
Se provi ad aprire la scatola, verrai fermato… da un potere che puoi soltanto sognare di avere.
Mai parola era stata più vera.
Alison Bond, con la sua mente logica, era di sicuro una giovane donna molto potente.
L’aveva reso orgoglioso.
Sherman alzò il coperchio e rimase sbalordito. Lo stupore cedette il posto a un’orribile consapevolezza: spalancò la bocca e sgranò gli occhi. Non avrebbe avuto il tempo di gridare nemmeno se avesse voluto. D’un tratto, quando la forza dell’esplosione investì lui, Klein e i due cadaveri, il suo mondo fu invaso da una luce gialla accecante.
La detonazione sollevò uno strato di sabbia che si sparpagliò sul lago asciutto disegnando un ampio cerchio, come se ci fosse stata ancora l’acqua e una pietra fosse stata scagliata giù dal cielo. Una sola increspatura si allargò dal centro dell’esplosione, estendendosi per quasi quattrocento metri in tutte le direzioni, con l’automobile che, travolta dall’onda, andò in frantumi in una seconda deflagrazione.
Poi, il silenzio assoluto.
Nulla che vivesse o respirasse nel raggio di ottanta chilometri.
L’ultimo pensiero di Josef Klein mentre chiudeva gli occhi e si preparava a incontrare Dio fu cosa ne avesse fatto Alison delle tavole. La ragazza sapeva, come lui, che distruggerle sarebbe stato il sacrilegio più empio, ma sarebbe riuscita a fare in modo che non venissero più scoperte dall’uomo?
Dio, se l’augurò con tutto il cuore.