51

Oakdene, Lenwood, California,

domenica, 12 giugno 2011

Quando Sarah entrò all’Oakdene per l’ultima volta, scambiò qualche parola con Maggie. Le spiegò con dovizia di particolari cosa stava per succedere e la strinse tra le braccia in modo affettuoso, poi salì alla 113. Non aveva la solita aria felice, e Maggie sapeva il perché. Meglio ancora, lo capiva, e le si strinse il cuore. Avrebbe voluto parlarne con Carey, ma era impossibile, nessuno avrebbe dovuto esserne messo a conoscenza.

Non appena Sarah si fu allontanata, Creed uscì dal suo ufficio e si diresse verso la reception.

Tina era in un mondo tutto suo quella sera e non sentì nemmeno entrare la sorella. Tornò alla realtà quando Sarah posò uno Snickers sul tavolo; allora gli occhi le si riempirono di vita e le due ragazze si abbracciarono.

Sarah le spazzolò a lungo i capelli, con estrema cura, perché sapeva cosa sarebbe accaduto. Aveva pianificato ogni cosa e, come scoprii in seguito, era quello il motivo per cui aveva le lacrime agli occhi. Tina era all’oscuro di tutto, per lei sarebbe stato troppo difficile da accettare, soprattutto considerati gli altri eventi sinistri che si profilavano all’orizzonte.

Fecero una passeggiata e ammirarono il tramonto. Momenti sereni. Quando il tempo fu agli sgoccioli, Sarah propose di sedersi. Con gli occhi lucidi, disse all’amata sorella l’unica cosa che non avrebbe mai voluto sentire: «Devo partire, starò via per molto tempo. La verità è che non potrò venire a trovarti per un po’».

Poi, mentre Tina fissava il nulla, senza capire se avesse compreso le sue parole, Sarah scoppiò a piangere. «Ma è tutto a posto. Ho lasciato un po’ di soldi a Maggie e lei si assicurerà che tu riceva uno Snickers al giorno», continuò, sforzandosi di usare un tono allegro.

Come se lo Snickers fosse una specie d’indennizzo. Per quel che mi riguarda, credo che Tina le avesse letto negli occhi che non era un addio temporaneo; o forse, trattandosi di Tina, l’aveva semplicemente percepito. A ogni modo, era anche lei sull’orlo delle lacrime. Non voleva le merendine, non quanto voleva sua sorella.

«Mi dispiace tanto, tesoro», aggiunse Sarah. Si strinsero forte, posando ciascuna la testa sulla spalla dell’altra, e assaporarono quegli ultimi istanti preziosi. «Ti voglio bene.»

E a quel punto Tina fallì in una cosa. Anche se, per Sarah, quel fallimento fu il dono più straordinario che avesse mai ricevuto. Per la prima volta in vita sua, Tina cercò di parlare. L’altra aspettò paziente, ma non udì nessun suono, solo un esitante verso gutturale.

Però ci aveva provato.

Tina chiuse la bocca e, dopo aver preso la mano della sorella, se la posò sul cuore.

«Lo so. Ti voglio bene anch’io, tesoro. Per sempre», disse Sarah.

Rimase seduta ancora un po’, con la testa di Tina appoggiata sulla spalla, e assieme guardarono il calare dell’oscurità, osservando la fine di un capitolo diventare la conclusione del loro libro preferito.

Sarah aveva sempre saputo che quel giorno sarebbe arrivato, lo sapeva da due anni, ma nulla avrebbe potuto rendere la situazione più facile. Tra tutte le cose che aveva affrontato nella vita, quella fu di gran lunga la più difficile. Quel giorno era arrivata con la convinzione di essere pronta. Non avrebbe potuto sbagliarsi di più.

Alla fine sollevò la testa di Tina, le diede un bacio affettuoso sulla guancia e la lasciò sulla panchina, con le lacrime che le scorrevano sul volto e lo sguardo fisso su un punto lontano. Lei cercò di mantenere il controllo, finché non raggiunse Maggie, che, come richiesto, le stava osservando dal patio sul retro, infestato di erbacce.

«Ti prenderai cura di…» Ricominciò a singhiozzare.

Maggie le prese la mano sottile e gliela riscaldò nella propria. «Mi assicurerò che venga trattata nel migliore dei modi. Non preoccuparti.»

«Stanno per succedere alcune cose brutte.»

«Certo, ma l’hai sempre saputo. Sapevi che non avresti potuto portarla dall’altra parte. Io però ci sono, e ti prometto che farò il possibile per aiutarla.» Maggie la strinse in un abbraccio materno. «È meglio che tu vada. Hai molte cose da fare.»

«Non ti dimenticherò mai, Maggie.»

«Neanch’io.»

Sarah si girò per l’ultima volta in direzione di sua sorella e se ne andò.

Non l’avrebbe mai più rivista.

«Miss Fiddes, ha un minuto?»

Sarah era quasi fuori della porta. Quasi. «Di cosa si tratta, Mr. Creed?»

«È una questione personale. Credo sia meglio discuterne nel mio ufficio.»

Sospirò, ma accettò l’invito, mentre lui le teneva aperto l’uscio.

La seguì e chiuse la porta. Poi, girò la chiave nella toppa.

«Non penso sia necessario», disse Sarah risoluta.

«È solo per motivi di privacy.» S’infilò la chiave nella tasca della giacca. Il suo ghigno era la conferma che si trattava della privacy sbagliata. Con fare disinvolto, si appoggiò al bordo della scrivania. «Maggie mi ha informato che non intende più tornare. È vero?»

«Sì, ma non vedo cosa…»

«È solo che Tina necessita di molta assistenza, e sono certo che vorrà continuare a garantirle le migliori terapie.»

«Ne ho già parlato con Maggie ed è tutto risolto, Mr. Creed. Perciò, se abbiamo finito…»

Lui fece del suo meglio per fingere che gliene importasse, ma fallì miseramente. «Oh, Maggie è straordinaria, una colonna portante del nostro staff, ma sono io a gestire questa struttura. Così, se vuole essere certa che sua sorella goda dei trattamenti più efficaci, forse dovrebbe parlare con me. Posso fare in modo che riceva il meglio di qualsiasi cosa.»

A ogni parola aveva fatto un passo avanti, fino a bloccare Sarah contro la porta. Aveva una luce sinistra negli occhi e sorrise come se stesse per ottenere qualcosa che aveva sempre desiderato. Lei percepì il suo alito cattivo e l’odore caustico di un dopobarba scadente. A quel punto, Creed le mise il palmo caldo e sudaticcio sul seno sinistro. La palpeggiò muovendo nervosamente la mano.

Col legno freddo premuto contro la leggera canotta bianca, Sarah non si mosse. Ma sorrise e lo guardò con passione e desiderio. «Lo farebbe davvero, Mr. Creed?» sussurrò.

Lui annuì, anche se aveva la testa china, intento a studiare attentamente le proprie dita mentre percorrevano ogni curva del suo corpo, fino a quando alla fine non le vide là dove, nella sua mente malata, le aveva sempre immaginate. «Oh, sì. Sì, altroché.»

Forse proprio perché aveva il capo piegato, vide il ginocchio di Sarah che si sollevava. O forse no. In ogni caso, avrebbe avuto poche probabilità di fermarlo, e quello svolse il proprio compito alla perfezione: colpirlo dritto nelle palle. Il calcio fu così violento da scaraventarlo via, facendolo vacillare finché non cadde contro il tavolo, dove si accasciò tenendosi l’inguine.

Sarah si avvicinò con un sorriso soddisfatto, si accovacciò e gli sputò in faccia. «Lei è un vecchio porco, Creed», disse velenosa, prima di mettergli la mano in tasca e recuperare la chiave. «Tina sarà fuori di qui nel giro di una settimana, me ne accerterò personalmente. Lei, nel frattempo, può marcire all’inferno.»

Per fargli capire che diceva sul serio, lo fissò per alcuni minuti, osservandolo mentre si teneva i genitali e cercava di far defluire il sangue dalla faccia rotonda. Infine, scrollò il capo con un gesto di disgusto, misto a disperazione e pietà. L’aveva sottoposto a una valutazione meticolosa e non valeva la pena comunicargli l’esito. Che non era affatto incoraggiante.

«Me la pagherai, stronza», minacciò Creed, con una smorfia di dolore.

La risposta di Sarah fu semplice e azzeccata: «Lo sto già facendo, Mr. Creed». Aprì la porta e uscì. «Ogni giorno della mia vita.»

Probabilmente Creed, furioso e imbarazzato, si strinse i testicoli gonfi per altri cinque minuti. Nel frattempo, oltre a un’eccessiva quantità di sangue, aveva le parole di Sarah che gli ronzavano nel cervello. Nel giro di una settimana. L’espressione sofferente cedette il passo a un sorriso subdolo. Nel giro di una settimana.

Sarah sapeva bene cosa gli aveva detto e perché. Aveva odiato doverlo fare e avrebbe voluto trattenere quelle parole più di qualsiasi altra cosa, ma non aveva potuto. Erano troppo importanti. Se il mondo doveva essere come era destinato a essere, non si sarebbe potuto fare a meno di pronunciarle.

La Teoria Dell'eternità
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