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Downtown Los Angeles,
giovedì, 9 giugno 2011
Sarah fece sembrare tutto molto semplice.
Era sempre stato là, il nostro piccolo e umile pastore, che scompariva all’orizzonte sul lato destro del dipinto. Voltandosi e allontanandosi. E, sì, quando i suoi minuscoli piedi venivano sovrapposti alla mappa, erano proprio sopra una cittadina: Serres. Un centro abitato, spiegò Sarah, sarebbe stato un luogo di gran lunga migliore rispetto all’aperta campagna per occultare qualcosa, purché lo si nascondesse bene, evitando di scegliere un posto dove le persone avrebbero potuto trovarlo in modo accidentale.
«Gli spazi aperti sono troppo vaghi. Un’indicazione come ’quindici passi a nord del grande albero’ non avrebbe avuto senso all’interno di una criptocartografia accurata. In mancanza del sistema di posizionamento globale di cui disponiamo oggi, una persona che avesse voluto disegnare una mappa in scala nel Seicento, avrebbe dovuto essere molto precisa, se non voleva vanificare il proprio lavoro. Le istruzioni del tipo ’in questo edificio, in questa città’ erano un sistema di gran lunga più affidabile.»
Purtroppo, trovare Serres equivaleva a trovare soltanto «la città».
Dovevamo individuare anche «l’edificio».
Negli ultimi anni aveva raccolto tutte le informazioni possibili – materiale di cui avrebbe potuto avere bisogno in futuro – su ogni singola cittadina ubicata nelle aree di Béziers e Perpignan, in Francia, e anche un po’ più in là: Espéraza, Couiza, Rennes-les-Bains, Rennes-le-Château, Alet-les-Bains, Véraza, Terroles, Cassaignes e, naturalmente, Serres.
Quasi tutti i dati provenivano dalla sterminata quantità di conoscenze che vari smanettoni informatici avevano deciso di riversare in Internet. Dalla documentazione ufficiale in francese, ai prolissi farneticamenti di viaggiatori che si erano limitati ad attraversare la regione. Alcune persone, a quanto pareva, avevano il desiderio quasi commovente di condividere le proprie esperienze di viaggio con chiunque avesse voglia di connettersi a www.doreenstravels.com e di annoiarsi a morte. Imperversavano le storie di camper guasti e di cacate in buche nel terreno.
Sarah non scartava nulla. Aveva ogni cosa: cartine stradali, descrizioni, fotografie (vecchie e nuove, ufficiali e spiritose), e aveva la storia. Nel tono saccente che assumeva di tanto in tanto, mi disse che era nel suolo della storia che il seme della conoscenza aveva deciso di mettere radici.
Ruotava tutto intorno ai Cavalieri templari.
Mentre stampava i file che aveva raccolto su Serres, preparò il caffè – un vero caffè – e mi spiegò che la cittadina faceva parte di una lunga lista di possibili candidate. Come molte altre, era un luogo più che ideale, poiché sorgeva a circa mezzo chilometro dalla strada principale tra Narbonne e Quillan. In epoca medievale, quella strada, ora denominata D613, era stata una delle tante che i Templari usavano quando passavano per quella zona della Francia. Di certo non a bordo di un camper guasto, ma probabilmente cagando nelle buche.
Per tirare a campare avevano scelto quasi tutti la venerabile occupazione che oggi chiamiamo «rubare», e avevano trafugato perlopiù manufatti religiosi. Affermavano che quei furti servivano a «una buona causa» e sostenevano di «rubare in nome di Dio». Dal loro punto di vista non facevano altro che restituire i tesori ai fedeli. Quell’attività li aveva resi ricchi. Molto, molto ricchi. Il che aveva trasformato il loro titolo originale di «Poveri cavalieri» in un’autentica stronzata (sono parole di Sarah, non mie).
Per lei, i Templari erano una parte fondamentale della ricerca, perché era nei meandri più remoti della loro tradizione – nel 1128, a essere precisi – che era stato segnalato l’ultimo avvistamento delle tavole.
Posò le tazze di caffè sulla scrivania e guardò verso la libreria, il cui ultimo ripiano si piegava sotto il peso di cinque o sei grossi volumi. Quando trovò quello che cercava, un libro rilegato in pelle blu sbiadita e più spesso del mio polso, andò a recuperarlo. «Questa è una riproduzione di un diario intitolato Liber de acquisitione terrae sanctae, scritto nel 1319. Attualmente l’originale è conservato negli Archivi nazionali francesi.» Sfogliò le pagine, individuò quella che le interessava e lesse ad alta voce: «’Visum: inter Templariis sunt forte secreta thesaurus mensii de quibus poterit orribilis revelatio deus itineris inter Templariis evenir’».
«Sarebbe a dire?» L’unica cosa che avevo capito era templariis.
«’Ricorda: vi era tra i Templari un segreto custodito gelosamente; tavole da cui un particolare segreto potrebbe portare a un’incredibile rivelazione, Dio viaggiò coi Templari.’» Alzò gli occhi. «Poi, le tavole della Testimonianza non sono mai più state menzionate nella storia. Se i Templari se ne impossessarono, probabilmente rubandole al precedente proprietario, avrebbero potuto benissimo portarle in Francia. Quest’area è il luogo in cui vivevano, in cui conservavano molti dei loro tesori e in cui, nell’ottobre del 1307, gli irriducibili che erano rimasti furono arrestati, torturati e bruciati. Se sapevano che avrebbero corso il rischio di essere catturati, una delle prime cose che avrebbero fatto era nascondere il bottino.»
«Ma è accaduto nel Trecento, e il dipinto risale al 1645.»
«Il 1645 è proprio a metà della guerra dei Trent’anni, un’epoca in cui la Francia si schiera con la Svezia protestante e coi Paesi Bassi contro i cattolici. Compresi gli spagnoli, il cui confine è a soli sessanta chilometri a sud della zona su cui ci stiamo concentrando. La mia ipotesi è che qualcuno le abbia trovate o ereditate per discendenza, poi sono accadute cose che forse, e sottolineo forse, quella persona imputò a un’orribile maledizione. Può darsi che gli spagnoli abbiano superato il confine di nascosto e che abbiano incendiato i villaggi o stuprato le donne. Forse quel qualcuno ha perso un figlio in battaglia, o magari il suo cane si è beccato una tosse catarrosa, non ne ho idea. Nel Seicento le persone attribuivano quasi ogni cosa alle maledizioni.»
«Ma, quando questa persona le ha nascoste di nuovo, ha lasciato degli indizi?»
«Certo. Tanto per sicurezza. Si trattava senza dubbio di un uomo facoltoso, perché affidò l’incarico di dipingere la mappa niente meno che a David Teniers il Giovane, uno dei pochi artisti rispettati quando ancora erano in vita, e gli sarà costato un occhio della testa. Teniers fu il pittore di corte dell’arciduca Leopoldo Guglielmo d’Austria e godeva della protezione di diverse teste coronate, tra cui Guglielmo II d’Orange, Cristina di Svezia e don Giovanni d’Austria. Non solo, ma era anche sposato con Isabella de Fren, figlia di André de Fren, discendente diretto di Goffredo di Buglione, colui che guidò la prima crociata e invase Gerusalemme.»
«Dunque, avrà saputo che il segreto dei Templari sarebbe stato al sicuro nelle mani di un artista come Teniers?»
«Esatto.» Strinse le dita intorno alla tazza ormai tiepida e rifletté. «Anche se dubito che Teniers abbia mai conosciuto la soluzione completa dell’enigma, pur avendo involontariamente contribuito a crearla. L’assenza di un simbolismo complesso in quasi tutta la sua produzione suggerisce che potrebbe aver seguito il piano ideato da qualcun altro. Quel qualcuno avrà saputo con esattezza dove erano nascoste le tavole, ma non aveva le doti artistiche necessarie per garantire che il dipinto fosse accurato. O la fama indispensabile per essere sicuro che sopravvivesse. Non credo Teniers sapesse del testo latino che sarebbe stato attaccato sul retro del quadro quando l’avesse ultimato.»
«Ma il governo degli Stati Uniti deve avere una copia del testo, se sta cercando il teschio.»
«Penso che possano addirittura avere l’originale e, se è così, che se lo siano procurato nel 1992. In quel periodo sono circolate voci non confermate sulla ristrutturazione dei sotterranei dell’abbazia di Fontfroide, che è… qui.» Fece scorrere la mappa digitale verso destra e indicò un’area poco al di sotto, e poco più all’interno, di Narbonne, che era la grande città più vicina a Serres, ma sorgeva circa ottanta chilometri a nord-est.
«Alcuni abitanti del luogo affermano che durante gli scavi è stata rinvenuta una pergamena e che l’architetto americano responsabile del ’restauro conservativo’ si è vantato prima di una ’scoperta importante’ e poi ha negato categoricamente che fosse stato trovato qualcosa. In seguito, hanno cominciato a comparire altri americani. La versione ufficiale è che erano stati riscontrati problemi strutturali e che i nuovi arrivati erano semplici ingegneri specializzati.»
«Ma tu non ci credi?»
«No. Gli ingegneri non portano semiautomatiche Smith and Wesson da nove millimetri sotto la giacca. Ma gli agenti statunitensi sì. Pensavano che i residenti fossero stupidi. Non è mai passato loro per l’anticamera del cervello che una di quelle persone fosse il presidente dell’Associazione per le armi da fuoco di Narbonne. Ma a stupirmi è il fatto che sinora – finché non sei comparso tu, intendo – nessuno avesse mai visto un’altra copia della pergamena. Il che mi spinge a chiederti dove l’hai trovata.»
Finii il caffè. «A essere sincero, era infilata nel culo di un uomo morto.»
Strinse gli occhi, ma non nel modo che mi ero aspettato. Non come avrei scommesso.
«Un uomo? Cinquantacinque anni, capelli castani e pizzetto?» chiese.
«Come diavolo fai a saperlo?»
Non rispose. «Ed era nudo?» Seguì una pausa abbastanza lunga perché leggesse il sospetto nel mio sguardo. «Non l’ho ucciso io, Nick, te lo giuro.» Alzò il palmo aperto. «Ma, dimmi, era nudo?»
Tacqui, perché con quella domanda mi aveva colto alla sprovvista. Poteva significare una cosa sola: poteva darsi che Tina Fiddes conoscesse quel tipo – oppure no, era difficile a dirsi –, ma senza ombra di dubbio Sarah Fiddes lo conosceva. A prescindere che l’avesse assassinato oppure no, sapeva che era andato al creatore senza nulla addosso.
«Sì.»
Sorrise mentre raccoglieva le pagine e le infilava in una cartellina di plastica azzurra. «Da qualche parte qui dentro c’è la risposta ai nostri quesiti, ma per trovarla dobbiamo fare un salto da Tina.»
La sua espressione criptica mi disse che avrei scoperto soltanto ciò che avrebbe deciso di rivelarmi.
Almeno per il momento.
Si alzò, prese le tazze e consultò l’orologio. «Possiamo rimandare a domani. Adesso è ora che scopra qualcosa in più sul mio nuovo compagno di avventure.»
Si sedette sul sofà con le gambe rannicchiate, come avevo visto fare a sua sorella. Sembrava la fotografia monocromatica di una giovane donna bellissima e molto emozionata. M’invitò ad accomodarmi accanto a lei.
Parlammo per più di un’ora, raccontandoci qualche frammento delle nostre vite. Anche se, a onor del vero, Sarah fu molto più avara di dettagli rispetto a me. Piano piano fu sopraffatta dalla stanchezza, ma mi fece un’ultima domanda: «Hai qualche rimpianto, Nick? Se potessi tornare indietro nel tempo, c’è qualcosa che vorresti cambiare?»
«Non posso farlo, perciò è inutile pensarci.»
«Ma se potessi?» insistette in tono supplichevole.
Riflettei, sentendo il suo respiro affannoso alla mia destra. Avevo molti rimpianti, ma me ne venne in mente uno solo. Lo stesso di sempre. «Forse il rapporto con mia figlia. E tu?»
Rise. «Ormai ho perso il conto. Il fatto è che bisogna rassegnarsi a non poter cambiare le cose, giusto? Per quanto lo si desideri. È il futuro a contare davvero.»
Un altro silenzio.
«Tua figlia…» disse poi.
«Vicki.»
«Parlami di lei. Com’è?»
Le elencai pregi, difetti e incognite. Non so fino a che punto abbia ascoltato, perché alla fine chiuse gli occhi e si addormentò sulla mia spalla. Col passare del tempo avrei appreso molte cose sul suo conto, ma me ne rimase impressa una in particolare.
Anche se non lo sapevo ancora, non aveva avuto un’infanzia felice. Per gran parte di quel periodo era rimasta quasi del tutto sola. E il suo sogno, sarebbe emerso, era sempre stato addormentarsi come una bambina «normale», cullata dalla voce di qualcuno che le raccontasse una storia.
Sono contento di essere stato io quella persona.
La portai di sopra e l’adagiai sul letto, coprendola col lenzuolo. Quindi l’osservai per un istante, ammirato. Quella ragazza tutta vestita di nero, col contorno degli occhi e delle labbra decorato da forme bizzarre di un colore che faceva pendant coi capelli corvini, sembrava saperne di più di molti degli studiosi che avevo conosciuto.
Quando feci per allontanarmi, aprì gli occhi assonnati e sorrise. «Nick, non preoccuparti troppo dell’uomo nudo.»
«No?»
«No.» Riabbassò le palpebre. «Credo che non sia ancora morto.»
Infine, con l’aria seducente della vampira di un film di serie B intenta a tornare nel mondo dei morti, si addormentò.