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Washington,

lunedì, 4 luglio 2011

Undici membri del Comitato presidenziale di consulenti per la scienza e la tecnologia (CPCST) erano già accomodati sulle profonde poltrone di cuoio color mogano quando il dodicesimo, Klein, entrò nella stanza. Era in ritardo di dieci minuti ma, come sempre, non gliene importava granché. Odiava partecipare alle sedute e perdere tempo a perorare la propria causa, così non vedeva il motivo di arrivare in anticipo.

Sarebbe stato corretto affermare che ciascuna delle persone radunate là quel giorno era molto intelligente ed esperta nel proprio campo, ma i problemi nascevano quasi sempre dal fatto che i loro campi sembravano non avere un confine comune, né tantomeno sovrapporsi. Klein trovava irritante la misteriosa tendenza di quelle riunioni a prolungarsi inutilmente fino a sera. Con ogni probabilità, il CPCST avrebbe impiegato quattro o cinque ore per decidere che la forma migliore per la ruota di un carro avrebbe richiesto l’uso di curve.

Rivolgendo uno sbrigativo cenno di saluto al presidente del comitato, Neil Grainger, incaricato di sovrintendere anche all’Ufficio Presidenziale per le Politiche scientifiche e tecnologiche (UPPST), Klein prese posto al tavolo, fece scattare le serrature della ventiquattrore ed estrasse i documenti, un tablet e un telecomando cromato.

«Lieto che tu sia riuscito a venire, Joe», disse Grainger con una punta di sarcasmo.

Klein fece un sorriso condiscendente. «Grazie, Neil. Posso?»

Il corpulento Grainger non voleva che la riunione di quel giorno si protraesse più del necessario. Uscendo di casa quel mattino, aveva scoperto che sua figlia era incinta. Non sarebbe stato un problema, a meno che non si prendessero in considerazione la reputazione del presidente e il certificato di nascita della ragazza (che avrebbe compiuto sedici anni di lì a un mese). Non ricordava quando fosse stata l’ultima volta che la frase «ne riparliamo stasera» gli era echeggiata nella testa con tanta insistenza. Come diavolo aveva fatto la figlia dell’uomo che dirigeva i progetti scientifici di tutti gli Stati Uniti d’America ad arrivare a quindici anni senza sapere cosa diavolo fosse un preservativo?

«Prego», disse con uno scatto noncurante del polso grassoccio.

Klein premette un pulsante sul telecomando e le luci si abbassarono, lasciando un quadrato blu sulla parete opposta, dove era proiettato lo schermo del tablet. Fece segno a un assistente e gli porse la scheda SD da inserire nel computer, quindi si spostò verso la parte anteriore della stanza e distribuì il memorandum che aveva preparato. Schiacciò un altro pulsante, così da richiamare un’immagine del sito sulla Ratta. «Questo, come tutti sapete, è il punto d’impatto della ’sfera siberiana’, com’è stato soprannominato il meteorite. Pare sia entrata nell’atmosfera terrestre come parte della meteora più grande che è caduta intorno alle sedici e quindici del 30 giugno 1908, frantumandosi qualche chilometro sopra Tunguska, quattrocento chilometri a est di questo sito. L’esplosione ha provocato ingenti danni ambientali, ma… non sono mai stati rinvenuti frammenti.»

«Scusa?» lo interruppe Eric Gilliard.

C’era da aspettarselo. Era il presidente e l’amministratore delegato della Gill Semiconductor e, a soli trentatré anni, uno degli uomini più ricchi degli Stati Uniti. La sua posizione gli conferiva un notevole potere, e molto spesso amava esercitarlo dimostrando agli altri che stavano commettendo degli errori.

«Cos’è per l’esattezza: una meteora o un meteorite? L’hai chiamata in entrambi i modi.» Guardò gli altri in cerca di approvazione.

Klein sospirò. Era quello il motivo per cui riteneva di non doversi giustificare davanti a quei milionari spocchiosi, incapaci di prevedere le conseguenze delle decisioni che avrebbero preso quel giorno.

«Se avessi anche solo un’infarinatura di cosmologia, sapresti che è una meteora», lo rimbeccò con palese disgusto.

«Ma allora perché l’hai chiamata…»

«Finché non tocca il nostro pianeta. Una meteora che entri in contatto con la terra diventa un meteorite. Posso continuare?»

Gilliard tacque. Si sforzò di non sembrare in imbarazzo, ma Klein intuì che rimpiangeva di non aver tenuto la bocca chiusa. Cosa che probabilmente avrebbe fatto per un po’, finché non avesse scorto un’altra occasione per mettersi in mostra.

«Come stavo dicendo, a Tunguska non sono stati rinvenuti frammenti. Così, dopo essere stati informati dall’Agerill Manson della presenza di un oggetto abbastanza duro da smussare le teste di trivellazione diamantate, abbiamo mandato un team a indagare e abbiamo scoperto questo foro di penetrazione. Ebbene, il foro si trova a quasi due chilometri e mezzo dal sito dell’Agerill e la sfera era sepolta a milleottocento metri di profondità. Chi di noi ha il pallino della matematica…» Klein accennò a Barbara Scalise.

La cinquantenne, vestita e truccata come una presentatrice televisiva di venticinque anni, era la rettrice del Massachusetts Institute of Technology, famosa per le sue capacità matematiche quasi prodigiose.

«… capirà che la sfera è caduta sulla terra con forza sufficiente a percorrere quasi tremilacento metri attraverso uno dei paesaggi più aspri del pianeta, formato da permafrost e roccia viva.» Klein sorrise. «Senza disintegrarsi.»

«Che ci dici della composizione?» Grainger, seduto a capotavola, era il più vicino a lui e sembrava sinceramente incuriosito.

Klein premette un altro pulsante e proiettò l’immagine di una sfera stagliata contro il paesaggio brullo, ancora coperta di roccia fusa annerita, con chiazze irregolari color terracotta.

«È così che è stata trovata. La composizione del rivestimento nero che vedete qui è tipica delle meteore: novantun per cento di ferro, 8,2 di nickel e 0,8 di cobalto. È stato asportato con cura e conservato per ulteriori analisi, ma la rimozione ha rivelato il nucleo interno.»

La diapositiva seguente mostrò la ruvida sfera metallica in laboratorio, con le nervature che catturavano la luce del riflettore sotto cui era stata collocata e che si diramavano in una serie di lunghe striature ondulate gialle e arancioni.

«Nucleo la cui composizione è ancora da appurare.»

Quelle parole suscitarono la reazione che Klein aveva previsto: occhi sbarrati, teste girate e fronti corrugate. Durante le sedute del CPCST era sempre più raro udire le parole «ancora da appurare».

Alcuni, ad esempio Ralph Healy, ex amministratore delegato della Lockheed Corporation, erano convinti che ci fossero poche cose, se non addirittura nessuna, di cui l’umanità non fosse a conoscenza. La sua filosofia era sempre: «Come usiamo ciò che abbiamo?» Anziché: «Come scopriamo nuove cose?»

Naturalmente, fu Gilliard a parlare per primo, col suo completo costoso e con l’abbronzatura finta: «Allora non sai cosa sia di preciso?»

Klein colse il suo tono gongolante, l’accenno di una frecciata vendicativa, e senza giri di parole aggiunse: «È siberio».

Gilliard, perplesso, si guardò intorno come qualcuno che abbia raccontato una barzelletta e che voglia vedere chi stia ridendo. «Cosa? Siberio? Che diavolo è? Te lo sei inventato.»

«Proprio così. È ciò che si fa quando bisogna dare un nome a un elemento di cui non si conosceva ancora l’esistenza.»

Altre facce stupite. Klein aveva forse sottinteso ciò che pensavano quasi tutti i presenti?

«Dunque non è un composto? È un elemento completamente nuovo?» Barbara Scalise sollevò gli occhiali a mezzaluna che le pendevano da una cordicella intorno al collo e li inforcò per esaminare i fogli che Klein aveva consegnato.

«Esatto. Di sicuro non è un composto», confermò lui, orgoglioso.

«Può darsi.» Gilliard aggrottò le sopracciglia sotto i capelli biondi e ondulati, imbarazzato dalla propria incompetenza e dalle continue figuracce. «Ma non puoi chiamarlo siberio, per l’amor del cielo. È ridicolo.»

«Più di berkelio, ad esempio? O di laurenzio? O di einsteinio?» Klein si accorse che Gilliard stava per criticarlo un’altra volta, ma un’occhiata agli altri bastò a zittirlo. Quelle sostanze non erano invenzioni di Klein, esistevano davvero. Soltanto che, poiché nessuno aveva menzionato il silicio, Gilliard non aveva la minima idea di cosa stessero parlando. Così rimase in silenzio, armeggiando goffamente con la cravatta di seta dai colori pacchiani.

Grainger aveva un’aria divertita; di tanto in tanto Gilliard sapeva essere un rompipalle, ma non era quello il punto. Grainger aveva il compito di mantenere l’ordine. «Signori, credo che abbiamo questioni più importanti da discutere che non il nome di questo elemento. Josef, ho sentito che vuoi far portare la sfera, questo siberio, se preferisci, nei tuoi laboratori per un’analisi.» Guardò Gilliard, che arrossì, perché, se il presidente aveva pronunciato il nome ad alta voce, significava che l’aveva praticamente approvato. «Saresti così gentile da spiegarci perché hai proposto una simile iniziativa?»

«Certo.» Klein schiacciò un altro pulsante, e fu proiettata l’immagine di una stella luminosa. «Come tutti sapete, quando le stelle massicce raggiungono la fine della vita, esplodono come supernove e poi sono costrette dalle leggi della fisica a restringersi fino a diventare buchi neri, regioni dello spaziotempo con un campo gravitazionale così intenso che oltre un certo punto nemmeno la luce può sfuggire all’esterno. Riteniamo che l’arrivo della sfera sia in linea con le conseguenze del fatto che un oggetto immenso abbia colpito un buco nero con forza quasi inimmaginabile in un angolo della nostra galassia o del nostro universo, mandando in frantumi il nucleo iperdenso. Quest’ultimo potrebbe aver viaggiato per centinaia, o forse addirittura per migliaia di anni prima di entrare in collisione col nostro pianeta. Crediamo pertanto che il siberio sia un frammento della materia di cui sono composti i buchi neri.»

«Avete qualche prova a sostegno di questa teoria?» domandò Grainger.

«Per il momento no, ma sappiamo che si tratta di un elemento sconosciuto, forse, anzi, con ogni probabilità il risultato del tipo di fusione presente nei nuclei di elio contratti. Inoltre, questa sfera, che ha un diametro di soli due metri e quaranta, ha un peso cinquanta volte superiore a quello di un oggetto di piombo delle stesse dimensioni ed è estremamente magnetica. In realtà, sembrerebbe avere un’attrazione gravitazionale sproporzionata, non dissimile da quella che ora attribuiamo ai buchi neri.»

Incuriosita, Barbara Scalise si tolse gli occhiali e li lasciò penzolare sulla camicetta. «E quanto è intensa questa forza?»

«A dire la verità, è molto debole, ma di certo misurabile. Dato che questo nuovo elemento è così denso da essersi fatto beffe persino della tecnologia del taglio in diamante, si direbbe che dobbiamo accontentarci di un unico frammento. Poiché la KleinWork Research Technology è il leader mondiale quando si tratta delle apparecchiature e del know-how necessari per eseguire i test su un nuovo elemento, pensiamo che dovremmo prenderne possesso.» Klein guardò Grainger. «Solo per un certo periodo, è ovvio.»

«Perché non usare il laser?» Healy stava leggendo il memorandum.

«Prego?» fece Klein, sebbene avesse intuito che l’altro, con la sua profonda conoscenza del rientro di veicoli spaziali, aveva individuato subito il punto debole della sua tesi e stava per segnalarlo al resto del comitato, col rischio di mandare tutto a monte.

Healy, un cinquantacinquenne con la corporatura da giocatore di football americano, era un tipo con cui era meglio non attaccar briga. Aveva avuto scontri con chiunque, dai sindacati alla mafia, e gli avversari se li era mangiati tutti a colazione. Per lui, gli scienziati erano minisnack. Guardò il relatore. «Possiamo rivedere l’immagine della sfera da sola?»

Klein sorrise e premette il pulsante con riluttanza, richiamando la diapositiva del meteorite con le nervature che catturavano la luce. Merda.

«Sembrerebbe che determinate temperature abbiano fuso la superficie formando rilievi evidenti e, se si tiene conto dell’attrito indispensabile per creare un simile flusso di materia fusa, quelle nervature non possono essere comparse nel vuoto perfetto dello spazio. Perciò si può soltanto ipotizzare che siano frutto delle temperature legate alla penetrazione nella nostra atmosfera, che ammontano tutt’al più a tremila o quattromila gradi Celsius, valori raggiungibili senza fatica con le tagliatrici laser. Dunque, perché non tagliare semplicemente la roccia?»

Tutti gli occhi si puntarono su Klein.

«Hai ragione, Ralph.» Si sforzò di restare calmo, mentre sorrideva a denti stretti. Si spinse gli occhiali sul naso lungo e sottile. «È ciò che intendiamo fare alla fine, ovviamente. Tuttavia, dobbiamo verificare due cose: primo, gli effetti, soprattutto magnetici e gravitazionali, della sfera nella sua interezza, prima di cominciare a ridurre la sua struttura interna; e, secondo, gli effetti della fusione di un elemento non quantizzato. Potrebbero esserci tossine, o addirittura reazioni esplosive che non possiamo prevedere senza un esame accurato. Naturalmente, se nel prossimo futuro prenderemo in considerazione la possibilità del taglio laser, la KleinWork è ancora una volta l’azienda più idonea a eseguire un’operazione così delicata.» Balle, balle e ancora balle.

«Aspettate un attimo. Se questo è un nuovo elemento, di natura metallica e dotato di proprietà magnetiche misurabili, dovremmo avere tutti una fetta della torta. Insomma, nelle mani giuste, questa scoperta potrebbe condurre a progressi tecnologici inimmaginabili», s’intromise Gilliard.

E a profitti incredibili, pensò Klein, cui non era sfuggita l’insinuazione secondo cui le mani della KleinWork avrebbero potuto non essere quelle «giuste». L’unica cosa che davvero interessava a Gilliard era in che misura quel diavolo di cosa conducesse gli impulsi elettrici.

Da tempo, la Gill Semiconductor lavorava inutilmente sulla tecnologia della computazione ad alta entropia, con spese ingenti e infruttuose. Certo, anno dopo anno Gilliard aveva dichiarato che i passi avanti in quel campo erano «imminenti», ma in realtà non erano mai arrivati.

Con la computazione ad alta entropia, la Gill Semiconductor sperava di aggirare i problemi insiti nel prendere il silicio convenzionale e nel depositarlo o nell’inciderlo da una superficie che, su scala nanometrica, creava irruvidimenti e imperfezioni. Così, invece del silicio, la società aveva provato a fabbricare nanofili usando un catalizzatore liquido biologico che, in una soluzione alcolica, favoriva la crescita in una sola direzione. Le proteine cariche all’interno di quelle soluzioni sarebbero poi state utilizzate per accendere un transistor.

Se quel sistema fosse stato perfezionato, la velocità dei processori per computer sarebbe aumentata enormemente, posizionando la Gill Semiconductor a un breve passo da un’autentica era quantistica. Dopo numerosi fallimenti, però, forse era arrivato il momento d’imboccare una nuova direzione, o meglio, di cercare un nuovo elemento come il siberio, che su scala nanometrica avrebbe potuto rivelarsi più stabile del silicio.

Neanche per sogno, pensò Klein. Gilliard avrebbe dovuto passare sul suo cadavere.

Per fortuna, Grainger scosse la testa. Sapeva benissimo dove voleva andare a parare l’altro. «Sono d’accordo con Josef. La KleinWork dispone senza ombra di dubbio delle risorse idonee per un ritrovamento di questa portata e, una volta ultimate le ricerche iniziali, che dureranno…?»

«Due anni, tre al massimo», mentì Klein.

«Diciamo due, okay?» Grainger si rivolse agli altri: «A quel punto, gli esiti saranno condivisi e il comitato potrà riunirsi di nuovo e decidere il da farsi».

«Mi sembra più che ragionevole, Neil.» Klein fece scomparire l’immagine con un clic. Sapeva che presto si sarebbero tenute le elezioni presidenziali e che di conseguenza il team del CPCST avrebbe avuto qualche difficoltà a sopravvivere così com’era.

Si risedette al tavolo e si rilassò contro lo schienale della poltrona, certo di avere ormai l’accesso esclusivo al siberio e agli eventuali risultati che sarebbero potuti emergere. Da quel momento in poi, avrebbe potuto tirare per le lunghe, abbindolando il comitato per anni con promesse vaghe come quelle della Gill Semiconductor, per assicurarsi che le cose non cambiassero.

«Bene.» Grainger era ancora contrariato all’idea che sarebbe diventato nonno molto prima di quanto avesse sperato e assai più pubblicamente di quanto avesse voluto. Continuava a chiedersi quale fosse stato l’ultimo giorno in cui aveva salutato sua figlia con un bacio, e allo stesso tempo detto addio al sogno di candidarsi al senato. «Punto due: correzioni alla circolare dell’Ufficio per la gestione e il bilancio sull’accesso ai dati pubblici», disse senza alzare gli occhi.

Klein non stava più ascoltando. Anche lui aveva altro per la testa.

La Teoria Dell'eternità
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