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Serres, Perpignan, Francia,
venerdì, 14 agosto 2043
A Klein non sfuggì l’ironia della situazione. Se avesse trovato le risposte che aveva cercato per tutta la vita, una chiesa sarebbe stata un luogo piuttosto singolare.
Notò che l’edificio aveva una pianta simile alla cappella morava in cui aveva avuto il primo degli incessanti attacchi di crampi allo stomaco che lo perseguitavano da sempre, moltiplicandosi a mano a mano che il morbo di Crohn vinceva la battaglia contro un sistema nervoso ormai assuefatto ai modificatori, oltre a tingere i suoi escrementi di rosso sangue. Ma, d’altro canto, le chiese di tutto il mondo non erano fondamentalmente tutte uguali? Una navata centrale che si allungava dall’entrata principale, due navate laterali, l’altare rispettosamente rialzato al centro e una finestra istoriata alle sue spalle, posizionata in modo da illuminare il più possibile la congregazione. La cappella di Fellbeck aveva due di quelle vetrate, una su ciascun lato del pulpito, ma entrambe raffiguravano la stessa immagine: l’agnello di Dio, con la zampa anteriore stretta intorno all’asta di una bandiera decorata dalla croce rossa dei crociati.
L’agnello, come in tutte le pubblicazioni della scuola, era rappresentato su un pinnacolo roccioso per comunicare che era un po’ più in alto di chi lo circondava, che aveva trionfato, che era stato vittorioso in battaglia.
Klein si rese conto che la vittoria e il bottino non richiedevano né spade né morte. Non più. Ormai, la progettazione di armi si concentrava soprattutto sulla distruzione di sistemi, anziché di città. Dagli Stati Uniti alla Cina, tutti cominciavano a capire come la diffusione continua e spesso virulenta delle informazioni fosse assai più determinante per l’andamento bellico rispetto alla diffusione – altrettanto continua e virulenta – del fuoco, della morte o degli agenti chimici e biologici. Nel mondo moderno, il premio più grande da conquistare non erano le terre o i beni, bensì i cuori, le menti, gli ideali e la fiducia della popolazione. Risultato che si poteva raggiungere in molti modi. Anzi, dati i progressi dei media e della tecnologia, lo si poteva conseguire più in fretta che mai.
Una volta che Klein avesse trovato le risposte e che le avesse pubblicizzate e diffuse attraverso le reti mondiali in rapida espansione, la vittoria tecnologica sarebbe stata sua. Forse non avrebbe governato le terre, ma avrebbe controllato le persone che vi abitavano. Avrebbe avuto una delle armi più potenti della storia, quella che nemmeno il bambino intento a guardare giù dalle braccia di sua madre sulla finestra istoriata a Serres era riuscito a ottenere in pieno: un immenso sostegno pubblico.
Usando una sedia a rotelle da viaggio, un modello dal design più tradizionale, percorse la navata centrale, con la gomma dura e sottile che sferragliava ritmicamente sulle crepe nella pietra. Anche se mentre si avvicinava all’altare non lo vide, passò a pochi centimetri da un vecchio segno, nitido e profondo, che sembrava essere stato inciso sul pavimento con un cesello.
I cherubini che un tempo avevano ornato l’altare erano poco più che monconi ed era rimasto soltanto uno dei quattro anelli di pietra. La struttura principale, lungi dall’essere il glorioso omaggio al vascello di Dio che era stata un tempo, era solcata da spaccature e si era aperta come un baccello. Intorno alla base erano sparpagliate grosse schegge di pietra, antichi frammenti di una battaglia impari e vana contro il passare del tempo.
Kerr vagò per la stanza facendo scorrere la torcia sulle pareti, come se fosse terrorizzato dall’oscurità. Di tanto in tanto, sferrava un calcio a un pezzetto di pietra o di vetro, che rimbalzava contro l’intonaco. Essendo sempre stato abituato a livelli di lusso inimmaginabili, evidentemente considerava quel luogo il peggio del peggio. Guardò un angolo del soffitto da cui un ragno, che aveva tessuto la sua tela su un cornicione spaccato, li stava osservando immobile. «Che topaia», commentò.
«Buon segno. Significa che siamo i primi a entrare qui dopo moltissimo tempo», replicò Klein.
Sherman fece un cenno a Kerr, che spostò il fascio luminoso per consentirgli di andare dietro l’altare e di far leva contro la lastra. Spinse forte. Niente. Riprovò, diventando rosso in volto e grugnendo piano, finché non esaurì le energie.
Dopo un ultimo tentativo disperato, si arrese.
Klein chiese a Kerr di aiutarlo. L’uomo allora posò la torcia e, una volta che Sherman ebbe ripreso fiato, ricominciarono a spingere, inzuppandosi di sudore. La lastra rotta posizionata in cima, con la profonda crepa che le impediva di sostenere il suo stesso peso, premeva contro la pietra all’interno, così da rendere il loro compito tre volte più faticoso di quanto avrebbe dovuto essere.
Il vecchio sospirò spazientito e si morsicò il labbro inferiore.
Alison fissò l’unico schermo acceso, quello al centro, su cui era visualizzato Mason steso sul tavolo delle autopsie, col tatuaggio ben visibile sulla caviglia. Si abbandonò contro lo schienale, soffiò sulla tazza di caffè e pregò di aver fatto la cosa giusta.
Era l’enigma più complesso che avesse mai dovuto risolvere, e anche quello per cui aveva meno tempo a disposizione. Aveva provato a prendere i fatti e a ricostruire nella propria testa un quadro esauriente e molto complesso della sequenza degli eventi.
Aveva cercato di capire chi fosse stato dove, e quando. Perché si fossero verificati determinati fatti, e in quale momento.
Chi, perché e quando.
E come.
Alla fine, aveva deciso di fare a meno della tecnologia e aveva ripiegato su un vecchio metodo basato su schede, differenziate in base a un codice cromatico. In blu, con una grafia ordinata, aveva scritto ciascun evento e il luogo in cui era o poteva essere accaduto, oppure in cui sarebbe potuto accadere in futuro. Poi, riesaminando con attenzione le configurazioni a tutti i livelli, aveva corretto e modificato le schede finché non le era parso che avessero un senso. Ormai poteva soltanto aspettare e sperare, perché avrebbe dovuto attendere a lungo prima di sapere con certezza se le sue stime fossero anche solo vagamente corrette o no.
Si augurava che Klein non trovasse ciò che stava cercando a Serres.
Se non altro, in base alle fotografie e al referto dell’autopsia, sapeva che la sua sinossi degli eventi era esatta. Mason sarebbe dovuto evadere, e non poteva più permettersi di lasciare quel dettaglio al caso. Anche se le conseguenze sarebbero state irreparabili nell’eventualità in cui il suo coinvolgimento fosse stato scoperto, doveva fare in modo che il prigioniero fuggisse. Doveva aiutarlo. Era un rischio enorme, il più grosso della sua vita, ma Klein andava fermato.
Ma era davvero di lui che aveva paura? In realtà, era sempre meno preoccupata per il suo datore di lavoro, indebolito dalla malattia, e sempre più spaventata da Sherman. Nei suoi occhi aveva cominciato a vedere qualcosa che un tempo aveva letto anche nello sguardo di Klein: un’insaziabile sete di potere e ricchezza.
Sherman voleva i soldi, a qualsiasi costo. Pur essendo uno scienziato, esperto delle leggi di Keplero sul moto dei pianeti, era convinto che fosse il denaro a far girare il mondo.
Era giovane e non molto simpatico. E l’ambizione, unita all’immaturità e alla totale mancanza di valori morali, spingeva a stringere alleanze senza scrupoli.
A ogni modo, pensò Alison, qualcuno doveva essere fermato. Anche se fosse emerso che quella persona era lei. Le tavole non avrebbero mai dovuto essere trovate, sotto qualunque forma si presentassero. Se esistevano davvero, sarebbe stato necessario cancellare ogni traccia, ogni singolo indizio. Che gli piacesse oppure no, Jeffrey Mason era diventato indispensabile per l’imminente fallimento di Klein, Sherman e di chiunque altro avesse deciso di partecipare a quell’impresa sconsiderata.
Chiuse la fotografia e ne richiamò un’altra, che mostrava uno dei detective assegnati al caso di Mason: Nick Lambert. Studiò i suoi lineamenti freddi, l’espressione da cane bastonato e gli occhi stanchi. Tuttavia, nel suo sguardo vide anche qualcos’altro, qualcosa di simile alla compassione, come se quell’uomo avesse un cuore nascosto sotto l’apparenza scontrosa.
Sorrise. Avrebbe funzionato.
Ne era certa.
La pietra iniziò a scivolare piano. A ogni spinta, la crepa nella struttura superiore si allargava ancora un po’, rallentando ulteriormente il lavoro. Tuttavia, contro la forza di Sherman e Kerr, la sua battaglia per restare al proprio posto si stava dimostrando vana. Quando la lastra cominciò a intravedersi, Klein la fissò avido, con occhi colmi di desiderio. Nelle sue condizioni, e con una coperta sulle gambe per proteggersi dal freddo, assomigliava più al paziente di un ospizio in attesa di un piatto di purè che l’amministratore delegato di un impero multimiliardario ansioso di avere la prova della tecnologia suprema.
I centimetri diventarono millimetri mentre la lastra premeva ostinata verso il basso, con la crepa sempre più visibile.
«Al tre», ansimò Sherman, preparandosi all’ultimo sforzo.
Spinsero. La lastra restò immobile per un istante, quindi scivolò via con uno scricchiolio assordante. S’inclinò verso il pavimento, rivolta in tutto il suo splendore in direzione di Klein, mentre la pietra sovrastante, quella che aveva formato il corpo principale dell’Arca, cedette e implose. I frammenti si staccarono e si frantumarono come vetro.
I due uomini crollarono in ginocchio, ansimanti e rossi in volto. Nessuno voleva vedere le tavole più di Sherman, ma potevano aspettare. Dopotutto, erano là da secoli, di sicuro avrebbero potuto attendere che riprendesse fiato.
Si strinsero la mano, poi si rialzarono e girarono in direzioni opposte intorno all’altare. Klein continuò a fissare la lastra, soltanto che i suoi occhi non esprimevano riverenza e stupore, bensì shock e disperazione. Gli altri due capirono che qualcosa non andava e, quasi in contemporanea, fecero un passo avanti per vedere meglio.
«Non ci credo», disse Klein in tono rassegnato. «Non ci credo.» Guardò Sherman, l’esperto della sequenza, colui che aveva scoperto quella scienza e che ne conosceva il funzionamento alla perfezione. Aveva un’espressione quasi supplichevole, come implorasse una risposta che non era in grado di trovare. «Com’è potuto succedere?»
Silenzio. Klein, incredulo, si girò verso la lastra, verso i contenitori vuoti e l’incisione accurata del tatuaggio di Davies. Il detenuto aveva portato a termine la missione e le tavole della Testimonianza, perdute per secoli dopo essere state rubate a Narbonne nel 1132, erano state collocate esattamente dove Klein aveva ordinato. La presenza del simbolo ne era la conferma.
Ma non c’erano più, e sarebbe stato inutile mandare qualcuno nel passato a occuparsi di Davies, perché il disegno dimostrava che non era stato lui a fallire. La colpa era di qualcun altro, di una persona che Klein conosceva fin troppo bene. Solo non capiva come diavolo potesse essere accaduto.
Non ancora.
Kerr, sgomento, lesse la scritta: «’Vaffanculo, Klein’». Studiò il simbolo, non i bordi nitidi tracciati da Davies, bensì quelli scarabocchiati rozzamente con un pennarello, da un’altra persona. «Di chi è quel tatuaggio?»
«Di Mason.» Sherman era allibito.
«Impossibile. Mason non è andato da nessuna parte. È ancora a Los Angeles, giusto?» obiettò Kerr.
«Uccidetelo», ringhiò Klein, furioso.
«Ma, signore…» Sherman avrebbe voluto spiegargli che non sarebbe servito a nulla, che non si poteva cambiare la storia e che, se Mason era arrivato fin là, non potevano farci niente. Anche se il prigioniero fosse stato ancora a Los Angeles, quell’episodio si era già verificato e non si poteva cancellare.
Klein non volle ascoltare ragioni. «Ho detto di uccidere quello stronzo. Subito!»