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Quarantadue chilometri a nord del Fort Tejon State Park, California,
domenica, 12 giugno 2011
«Stai dicendo che ho viaggiato con una… Cosa? Una bomba? Sulla mia auto?»
Un sorriso enigmatico. «Spero di sì.»
«Saremmo potuti saltare per aria.»
«Ero sicura di no.»
«Come?»
«Vuoi davvero sapere di cosa si tratta, Nick?»
Numero trentotto in una serie di quarantasette domande stupide.
«Certo.»
«Bene, accosta.»
Eravamo tornati sulla riva del lago asciutto, dove la pista riprendeva a salire verso le montagne. Era impossibile allontanarsi dal sentiero, perciò fermai la Taurus, scendemmo e andammo dietro il bagagliaio. Il sole era basso e le propaggini più lontane del bacino s’increspavano in un miraggio delicato, ma la visuale sulla superficie piatta era ottima.
In secondo piano, distinsi un puntino di terra più scura: la buca coperta.
Sarah si chiuse in un silenzio scandito da profondi respiri pensosi e, alla fine, cominciò a spiegarmi cosa diavolo stava succedendo. O, per essere più precisi, cosa sperava stesse accadendo, perché ammise che non poteva esserne sicura al cento per cento.
La prima cosa che scoprii, la prima di una lunga serie, fu che il pacco non era mai arrivato all’aeroporto di Los Angeles. Non nella sua forma originale, almeno. I due uomini ci avevano visti andare al banco della DHL, perché era ciò che aveva voluto Sarah. Quindi, avevano fatto una di queste due cose: o ci avevano guardati salire sull’aereo per Parigi e avevano fatto in modo che il pacco venisse intercettato prima della consegna, quando fossimo atterrati a Los Angeles; o, più probabilmente, l’avevano bloccato a Carcassonne. In un modo o nell’altro, il risultato era lo stesso.
Avevano il pacco tra le mani da più di mezza giornata e avevano sfruttato appieno quelle ore.
Dopo averlo aperto, con estrema prudenza, avevano trovato quello che stavano cercando: le tavole della Testimonianza. Ciò li aveva resi molto felici, tanto che non si erano neanche presi il disturbo di aspettarci quando eravamo andati a ritirarlo. Ovviamente, se avessero trovato un orsacchiotto di peluche o una bottiglia di vino da tavola, le cose sarebbero state molto diverse, ma, no, avevano trovato le tavole. Il che significava che Sarah e io eravamo stupidi e che potevano eliminarci con un metodo molto più comodo.
Solo che non si trattava delle tavole. Ci assomigliavano molto, d’accordo, ma non erano gli originali.
Erano dei falsi.
Secondo Sarah, le copie nella scatola erano di gran lunga più semplicistiche. Di forma ettagonale (il sette era un numero divino ebraico o qualcosa del genere), avevano simboli aramaici inscritti soltanto sui lati superiori. Erano fatti male, ma chi avrebbe intuito che non erano veri? Le ci erano voluti tre giorni per trasferirli sul computer e ideare un indovinello complesso. Sembravano anche abbastanza autentici, perché erano stati incisi col laser e perfezionati con una finitura irregolare realizzata da un suo amico che lavorava alla Caltech.
Come nel caso degli originali, si potevano formare centinaia e centinaia di parole se si ruotavano le tavole, ma c’era un’unica soluzione corretta. Sarah era stata attenta a nasconderla, così che occorresse molto tempo per trovarla.
Come ho detto prima, penso che abbiano impiegato otto mesi in tutto.
Era stato più facile di quanto potesse sembrare, disse Sarah, perché, una volta che si aveva la soluzione, era sufficiente occultarla nel testo e poi lavorare a ritroso, spingendola sempre di più nei meandri dell’enigma a ogni rotazione.
Tuttavia, benché Grier e i suoi due complici pensassero di avere tra le mani i reperti autentici, sbarazzarsi di me e di Sarah era ancora una loro priorità. Doveva esserlo. Nel grande schema delle cose, avevamo visto troppo. Anzi, avevamo visto quasi tutto, e non potevano permetterci di vivere ancora a lungo.
Ma come ci avrebbero tolti di mezzo? Forse l’avevano deciso in anticipo, o forse era stato uno di quei lampi di genio estemporanei. A ogni modo, era stato un colpo da maestro. Sono disposto ad ammetterlo persino io.
Avevano piazzato una bomba nella scatola.
Una bomba progettata per esplodere non appena qualcuno avesse sollevato il coperchio. Avevano risigillato il pacco e sfruttato i loro contatti per reimmetterlo nel sistema, spedendolo alla destinazione originale. Così avrebbero ottenuto uno dei risultati desiderati – il recupero delle tavole – e poi, quando fossimo andati a ritirare la scatola e l’avessimo aperta da qualche parte – non importava dove – avrebbero raggiunto il secondo.
Sarah, io e chiunque altro nel raggio di trenta metri saremmo stati ridotti a brandelli.
Due piccioni con una fava, molto esplosiva.
Davvero intelligente.
Ma lo era anche Sarah, tanto che forse aveva previsto ogni cosa. In realtà, era quello il motivo per cui aveva scelto una scatola col coperchio dotato di serratura a scatto, in modo da semplificare loro le cose. Aveva valutato le opzioni ed era stata lungimirante. Ciò spiegava perché quei tizi pensassero, anzi, dessero per scontato, che fossimo morti e perché non ci avessero seguiti nel bel mezzo del nulla.
Preferivano girare alla larga da noi. Di sicuro a più di trenta metri.
«Allora perché seppellire la bomba? E perché usare coordinate così precise?» chiesi.
«La fede della nonna», fece lei, con un sorriso.
Ragionai, guardando verso il punto in cui avevamo sotterrato il pacco. «Credi che qualcuno verrà a dissotterrarlo?»
«Ne sono più che certa.»
«Quando?»
Tacque. «Tra molto tempo.» Si sedette sul bagagliaio allungato della Taurus con le gambe incrociate e la birra in mano. «Ricordi Josef Klein? L’uomo sulla foto con Grier?»
«Quello calvo?»
«Sì. Quando aveva ventotto anni, il governo ha fondato un’azienda per lui: la KleinWork Research Technology. Hanno dovuto farlo, perché ormai Klein lavorava quasi esclusivamente per loro, ma era il genere di progetti da cui avrebbero potuto avere bisogno di prendere le distanze, se mai fossero saltati fuori.»
«Ad esempio?»
«Fidati, è meglio che tu non ne sappia nulla. Comunque, il governo ha aperto alcuni conti correnti, gli ha concesso i finanziamenti, ed è diventato uno dei suoi principali clienti. Ma erano loro a tenere i cordoni della borsa. Klein ha sempre gestito la società come una realtà esterna, oltre che un’azienda lucrativa indipendente, e riceveva buona parte dei profitti.
«Poi, un giorno, l’hanno mandato a studiare un pezzo di metallo. Nulla di speciale, né per lui né per loro, soltanto una cosa che avevano trovato sepolta nel terreno, da qualche parte. Però non era un posto qualunque: era la Siberia. Non troppo lontano dal punto in cui nel 1907 era caduto un meteorite. Così, Josef Klein si è ritrovato tra le mani un frammento di metallo che, in mancanza di un’espressione migliore, si può definire fuori del mondo.»
«Roccia spaziale?»
Rise. «Non proprio. D’accordo, era diverso da qualunque materiale conosciuto, ma nel senso che aveva una composizione atomica molto densa, più di qualsiasi altra cosa sulla terra. Per molto tempo non è emerso nient’altro. Non era altamente esplosivo, né un superconduttore e non aveva superpoteri o roba simile. Anzi, sembrava non avere nessuna utilità. È stata una grossa delusione.»
«Dunque, era soltanto un banale pezzo di roccia?»
«Per molto tempo, sì. Banale roccia metallica, come il minerale di ferro o la bauxite. L’hanno chiamato ’siberio’, dal luogo in cui l’avevano trovato, e gli hanno assegnato il numero atomico 120. Al momento, abbiamo una tavola periodica che arriva soltanto al 104, ma il nuovo elemento era così fuori del comune che hanno dovuto lasciare spazio per altri. Il materiale aveva un peso atomico di 603,498, due volte e mezzo quello dell’attuale elemento più pesante: l’uranio. Era così denso, che nel suo piccolo esercitava una forza di gravità tutta sua.»
«Una forza di gravità?»
«Leggerissima, ma si riusciva a sentirla a mano nuda. Se ne sono accorti durante l’analisi in laboratorio.»
«E poi?»
«Niente. Per anni. Hanno fatto tutte le cose che si fanno in laboratorio: l’hanno super riscaldato, super raffreddato, bombardato di protoni e magnetizzato, ma ha continuato a sembrare inutile. Finché non hanno deciso d’immergerlo in un ambiente di vuoto perfetto e di lanciargli addosso immense quantità di elettricità. È stato allora che è arrivato il bello, perché per la prima volta non hanno gradito ciò che hanno visto.»
«E cioè?»
«Hanno visto piegarsi le pareti del laboratorio, Nick. Rivestimento di titanio massiccio, spesso sette centimetri e mezzo e ricoperto da oltre un centimetro di ceramica, curvato verso l’interno mentre veniva applicata la carica. Come gomma. Poi, quando la carica è stata rilasciata, è tornato come prima. All’istante.»
«E questo perché il siberio esercita una forza di gravità?»
«Lascia perdere la gravità, è un aspetto secondario. La gravità non piegherebbe le pareti, Nick, le spaccherebbe; imploderebbero, e la ceramica si sbriciolerebbe dall’interno.»
Avevo bisogno di una sigaretta. Ne pescai una dalla tasca e l’accesi, con la fiammella che tremolava nella brezza. «Allora cos’è stato?»
Sorrise come una bambina che abbia appena scartato un regalo. «Il tempo, Nick. È stato il tempo.»
Tossii e gettai via la sigaretta. «Ha piegato il tempo?»
«No, Nick, ha piegato le pareti. Ha cambiato il tempo. Cerca di seguirmi. Ti ho parlato dei buchi neri, giusto? Be’, quella roccia era il nucleo di un buco nero. Spostato da un evento che probabilmente ha avuto luogo migliaia e migliaia di anni luce fa, forse addirittura prima della comparsa della terra. Certo, aveva già un’attrazione gravitazionale, ma, quando l’elettricità è stata applicata al suo ambiente naturale, ossia il vuoto, l’attrazione ha raggiunto livelli incredibili. Il tipo di attrazione che potrebbe dirigere la luce verso di sé, come un buco nero.»
Rimpiansi di non aver ascoltato con più atenzione le sue teorie sui buchi neri. Qualcosa riguardo a un’attrazione gravitazionale così forte che nemmeno la luce sarebbe riuscita a sfuggire e un’altra che aveva a che fare con Einstein, secondo cui il tempo restava fermo alla velocità della luce.
Roba del genere.
«Klein ha creato un team per vederci più chiaro. Hanno eseguito alcuni test controllati – con la massima attenzione, è ovvio – e i risultati sono stati inoltrati ai teorici, le persone incaricate di prendere i dati, analizzarli e stabilire cosa sia e non sia teoricamente possibile. Prima di suicidarsi per sbaglio o cose simili, intendo», proseguì Sarah.
«E cos’hanno detto i teorici?»
«Che il team di Klein aveva scoperto qualcosa di molto potente: la capacità teorica di mettere il tessuto vivo in un vuoto, assieme al siberio, di aumentare la carica elettrica circostante e di mandare il tessuto indietro nel tempo.»
«Perché soltanto il tessuto vivo?»
«Perché in questo mondo sequenziale, quello che Tina riesce a vedere e con cui interagisce, solo il tessuto vivo o le cose racchiuse al suo interno possono essere influenzati dal tempo. Anche se non se ne rendono conto. Di conseguenza, è impossibile rimandare indietro qualcosa se, come nel caso di un mattone, non capisce cosa gli è successo. Deve avere una certa comprensione della sequenza, per poterne subire gli effetti.»
«E questi sono… i viaggi nel tempo?»
«Più o meno.»
Scoppiai a ridere. «Peccato che non sia possibile.»
«Perché no? Hai visto Tina riorganizzare i numeri. Ha ordinato allo Snickers di spostarsi da una serie di coordinate all’altra, in un periodo di tempo. Come ho detto, il tempo è la quarta dimensione.» Bevve un sorso di birra e si pulì la bocca col dorso della mano. «Secondo i teorici, il team di Klein sarebbe in grado di tornare soltanto indietro. Il che è ragionevole, se ricordi la nostra breve discussione su come il tempo sia un tappeto che si srotola. Dobbiamo ipotizzare di essere subito dietro il rotolo, impegnati a guardare la sequenza che si dipana davanti a noi. E questo significa che le cose a venire non sono ancora successe.» Inarcò le sopracciglia. «Ma il passato è un altro paio di maniche, vero? Sappiamo che è successo… Riusciamo a vederlo. E, se lo vediamo, possiamo accedervi.»
«Ma non cambiarlo?»
«No, questo no. Perciò il team di Klein era riuscito in un’impresa magnifica. Tuttavia, anche se avessero rimandato un essere umano indietro nel tempo, avrebbero scoperto il numero da circo più sorprendente e più inutile che la specie umana avrebbe potuto eseguire.»
«Ma si potrebbe cambiare il futuro, le cose che accadranno dopo la propria partenza?»
Mi diede una spallata scherzosa. «Allora stavi ascoltando, dopotutto.»
Ascoltando, sì. Capendo, no. «La storia della fede nuziale?»
Scivolò giù dall’auto, fece qualche passo tra la boscaglia e trovò uno spiazzo libero. «Sì, ma invece di un anello immagina un altro scenario. Voglio il corpo di Cristo; al momento non ce l’ho quindi, se mai capiterà, deve essere nel futuro. Fin qui, tutto okay. Così ti metto nel vuoto, aumento la carica e bang… ti mando nel 32 d.C. Quando arrivi, rubi il corpo e lo sotterri dove solo io potrei trovarlo. Qui.» Col piede, disegnò una X sul terreno. «Poi, dopo la tua partenza, scavo in quest’area et voilà, eccolo qui.»
«Che ne è di me a questo punto?»
«Sei fottuto, Nick. Perché non potrai più tornare. Non hai la tecnologia necessaria.»
«Sono bloccato nel passato?»
«Temo di sì, ma non è questo il vero problema. Il vero problema è che ti mando indietro nel tempo e poi scavo in questo punto e il tesoro non c’è.»
«Allora ho fallito?»
«Sì, e io questo fatto non lo posso cambiare. Ma posso diventarne la ragione, perché posso far viaggiare nel tempo qualcun altro e affidargli un nuovo compito. Cioè rubare il corpo prima di te, oppure a te. Andranno bene entrambe le cose. Naturalmente, non gli dico nulla del tuo incarico, perché sono paranoica.»
«Ovvio.» Non aveva nessun senso.
«Così, poiché ho già scavato qui, ordino al secondo uomo di sotterrare il corpo in questo punto.» Segnò un altro punto col piede. «Se, quando scavo, non trovo nulla, continuo a provare.»
«Ma cosa c’entrano le tavole? E perché erano nascoste?»
«C’entrano eccome. Tuttavia, anche se Davies ha portato a termine la missione, ha combinato un casino.»
«Aspetta un attimo. Chi diavolo è Davies?»
«Uno svitato con cui è meglio non avere a che fare. Niente famiglia e pochissimi amici. È anche stato arrestato per numerosi stupri e omicidi e condannato a morte mediante un’iniezione letale.» Sorrise. «A meno che non volesse vivere il resto della vita libero come un uccello. In cambio di un favore.»
«Quale favore? Vivere nel passato e rubare qualcosa quando fosse arrivato? Sei ridicola.»
«Ah, sì? Okay, se non mi credi, prova a immaginarlo.»
Cedetti, promettendo che avrei fatto del mio meglio.
«Allora, l’idea è che, una volta compiuta la missione, possa riprendere il controllo della sua vita, ma Klein e gli altri lo informano che, se si rifiuta, la sua esecuzione potrebbe prolungarsi più del necessario. Insomma, le dosi potrebbero essere sbagliate o cose simili. Sarebbe un errore accidentale, è ovvio, ma il detenuto morirebbe di una morte molto lenta e molto dolorosa. Se invece accetta l’incarico, non deve trascurarlo né mandarlo a monte quando arriva nel passato, perché altrimenti qualcun altro verrà spedito indietro nel tempo per scegliere un nuovo punto e aggiustare le cose. Però, la prima parte del suo compito sarà senza dubbio togliere a Davies tutti gli anni extra che si è guadagnato.»
«Ma – e sto parlando metaforicamente – hai detto che Davies ha combinato un casino.»
«Già. Devo dargli atto che ha rubato le tavole e le ha nascoste dove gli avevano detto. Missione compiuta? Si direbbe di sì, ma purtroppo sembra che abbia spifferato tutto. Non importa a chi. La storia diventa leggenda e viene tramandata nei secoli finché un giorno, centinaia di anni dopo la sua morte, qualcuno incappa nelle tavole. Non ha idea di cosa farne, così le rimette a posto, ma solo dopo aver lasciato alcuni indizi. Ha chiesto a Teniers di dipingere il quadro e le tavole sono state trovate, dunque Klein ha dovuto mandare qualcuno indietro nel tempo per risolvere il problema.»
«E ha funzionato?»
«Non lo so ancora.»
«Se tutto questo fosse vero – e vale la pena sottolineare che non lo è –, tu come faresti a saperlo?»
«Perché non sono un’archeologa, Nick. Sono una scienziata. Anzi, una scienziata maledettamente brava. In realtà, sono parte del team che ha fatto questa scoperta.»
Mi tolsi gli occhiali. «Ma questo significherebbe che lavoravi per Klein.»
«Sì, Nick.» Guardò il lago. «E sai una cosa? Lavoro ancora per lui.»
Klein stava setacciando la Francia in cerca delle tavole, ma Sarah aveva agito di nascosto e l’aveva preceduto. Gli scagnozzi del vecchio stavano tentando di rubarcele e di ucciderci. Dunque Sarah aveva fatto tutto da sola, aveva provato a impossessarsi delle tavole.
«Così hai fatto incazzare il tuo capo?»
«Più o meno.»
«E che mi dici del pacco? Della bomba, se è davvero quello il suo contenuto? Ipotizzando che tu abbia creato dei falsi, come faccio a sapere che gli originali non sono sepolti laggiù?» Indicai un punto lontano.
«Perché gli originali sono qui, Nick.» Estrasse dallo zaino un grosso rotolo di carta velina. Lo aprì per rivelare le tavole, con le superfici nere e lustre che scintillavano sotto il sole.
«Allora perché seppellire la bomba, a quale scopo? Perché Klein la dissotterri?»
Annuì.
«Perché?»
«Perché credo che voglia essere ucciso.»
«Come mai lo trovo molto difficile da credere?»
«Perché non hai vissuto le cose che ho vissuto io, ecco perché.» Riavvolse le tavole e le rimise nello zaino.
«Okay. Allora spiegami cos’hai vissuto, raccontami tutto.»
«Lo farò, ma prima devo andare da Tina.» Si spostò verso la portiera. «Saresti così gentile da accompagnarmi?»
«Non prima di aver ricevuto qualche risposta.»
Mi guardò intensamente. «Non hai bisogno di risposte, Nick. Non ancora. Ciò che ti serve è andare a casa e dormire un po’, perché – senza offesa – hai un aspetto di merda. Ma ti prometto che, se mi riporti all’Oakdene, entro domani avrai tutte le risposte che desideri.»
«Come faccio a sapere che posso fidarmi di te?»
«Non puoi. La domanda è: ’Vuoi fidarti?’»