39
Tra 5th Street e Alameda Street, Los Angeles,
domenica, 16 agosto 2043
Klein dimostrava quindici anni in più mentre fissava il moderno profilo di Los Angeles.
Tutti i progressi scientifici del mondo non gli sarebbero serviti a nulla, non si sarebbe ripreso dall’ultima ricaduta e lo sapeva bene. Addirittura lo percepiva, eppure il mondo continuava a badare ai fatti propri, del tutto ignaro della verità sul proprio funzionamento, mentre i tirapiedi sfruttavano le scarse capacità che avevano per decidere cosa mangiare a cena quella sera o dove trascorrere le due settimane in cui i datori di lavoro erano costretti a pagarli per non andare in ufficio.
Aveva gli occhi vitrei e il respiro profondo, mentre pensava a quanto fosse andato vicino a realizzare la sua massima ambizione. Aveva letteralmente sgobbato per tutta la vita per un giorno che era già finito, e non stava meglio di prima. Non si era mai sposato e anche da giovane aveva flirtato di rado, preferendo immergersi nel lavoro. Quelle cose non avevano mai avuto importanza fino ad allora.
Fino a quel giorno.
Aveva sempre creduto che ciò di cui, secondo gli altri, si era privato sarebbe stato ampiamente compensato quando fosse arrivato il suo giorno, quando fosse stato riconosciuto in tutto il mondo come il più grande scienziato che avesse mai messo piede sulla terra. Aveva sempre pensato che sarebbe accaduto mentre era in vita, non con qualche stronzata postuma di cui non sarebbe mai venuto a conoscenza.
Newton, Einstein, Hawking, Crick e Watson sarebbero caduti nel dimenticatoio quando Klein si fosse impossessato del tesoro che stava cercando. I loro spiriti si sarebbero inchinati al suo cospetto e l’avrebbero applaudito per aver risolto tutti i dilemmi scientifici, definitivamente e per l’eternità.
Non più. Ormai era andato tutto a monte e Klein sapeva che, a differenza dei fallimenti collezionati nella prima parte del secolo, se quello era un singhiozzo, nemmeno lo sgomento che sentiva in quell’istante sarebbe riuscito a farlo cessare. Non ci sarebbe stata un’altra possibilità. Il suo giorno era arrivato ed era volato via, col peso dei suoi pensieri come unica prova della sua esistenza. Si domandò se le cose sarebbero andate in modo diverso, qualora non avesse deciso di uccidere subito Mason. In quel caso, il prigioniero non sarebbe fuggito. E le tavole, forse, avrebbero potuto essere salvate.
La risposta era un «no» categorico. Come Sherman si era sforzato di spiegargli sul volo di ritorno dalla Francia, le tavole erano andate perdute molto prima che lui, Klein e Kerr entrassero nella cappella a Serres. Era accaduto verso la metà del 2011, dato il numero che in qualche modo Mason era riuscito a digitare nel Sequence.
Era proprio quello il peggiore tormento di Klein.
Da qualche parte, per qualche motivo, c’era stato un tradimento e, tanto per cominciare, non aveva idea di chi fosse stato né del perché. All’inizio i sospetti erano caduti sulle guardie ma, se avessero avuto qualcosa da dire, le tecniche che erano state utilizzate per farle parlare avrebbero senza dubbio dato dei risultati. Invece, niente.
Da altre indagini era emerso un solo possibile colpevole: la persona che di lì a qualche minuto sarebbe entrata nel suo ufficio, dove lui e Sherman la stavano aspettando.
L’idea non le era piaciuta sin dall’inizio. Qual era stato il suo commento? L’idea peggiore in una lunga sfilza di pessime idee. Così, poiché non aveva nessun controllo sull’esecuzione del piano, si era morsicata la lingua e aveva atteso il momento opportuno. Era una ragazza intelligente, dopotutto. Quando si era presentata l’occasione giusta e gli altri erano partiti per la Francia, aveva deciso di sabotare il progetto. Quel mattino aveva fatto visita a Mason senza autorizzazione e aveva portato con sé nel settore delle celle il suo detonatore e quello di Stubbs.
Mentre parlava con Mason, aveva scambiato i dispositivi, dando al prigioniero la possibilità di evadere e facendo saltare in aria le estremità di Stubbs. Quando Mason era fuggito, le guardie gli avevano sparato ed erano sicure di averlo colpito. Tuttavia, non l’avevano ucciso, come dimostrava la riproduzione approssimativa del tatuaggio tracciata col pennarello nero.
Come aveva potuto Alison tradirlo in quel modo? Se non poteva fidarsi di lei, allora di chi? La conosceva sin da bambina, Cristo santo.
Pur avendo avuto un’infanzia atroce, aveva ricevuto tutto ciò di cui aveva bisogno. Ed era così che lo ripagava? Stronza.
«Cosa intendi fare?» Sherman, seduto davanti alla scrivania, beveva un denso caffè nero.
«Ucciderla», rispose Klein, distratto.
Pescò dalla tasca un piccolo astuccio rosso grande la metà di un portaocchiali e l’aprì. Dentro c’erano compresse di vari colori: azzurre, rosse, verdi, gialle e rosa. Su un lato, bloccata da un fermaglio, spiccava una capsula nera lunga il doppio delle altre. Quasi tutti che quelli che lo conoscevano erano addestrati a ficcargliela in gola, se mai avesse perso i sensi. Era l’unica possibilità che avrebbe potuto avere di prolungare la propria vita. Scelse una pillola gialla simile a un’aspirina, una mesalazina che forse avrebbe alleviato il bruciore delle sue viscere, e chiuse l’astuccio.
«E le tavole?» Come Klein, anche Sherman era interessato soltanto a quelle.
L’altro succhiò la compressa e, poi, deglutì. All’inizio aveva odiato il sapore di gran parte dei farmaci e aveva fatto il possibile per inghiottirli senza sentirne il gusto. Ora, invece, poiché ne prendeva otto al giorno, comprese tre di quelle pasticche gialle, gli pareva che sapessero di aria stantia, nient’altro.
Il vecchio inspirò a fondo e poi, riluttante, ammise: «Svanite».
La spia sulla scrivania si accese. Klein premette il quadrato rosso, senza neppure aspettare la voce dall’altra parte. «Falla entrare.»
La porta si aprì e comparve Alison. Sapeva esattamente perché era stata convocata. Aveva seminato indizi a profusione. Non sarebbero stati necessari i cani da fiuto, ma soltanto un occhio vigile e una sana dose di buonsenso. Tuttavia, in quell’istante stava entrando nella fase successiva, il cui esito favorevole dipendeva dall’accurata scelta di ogni singola parola che avesse pronunciato. Sarebbe uscita da quella stanza morta o molto, molto viva. Quello era il suo momento della verità, come l’apertura dell’altare lo era stata per Klein. L’occasione che aveva aspettato per tutta la vita.
«Lieto di vederla, Miss Bond», la salutò Klein, guardando fuori della finestra.
L’avevano beccata. Il vecchio aveva ricominciato a chiamarla «Miss Bond». Alison provò a convincersi che fosse buon segno, che indicasse il completamento della fase uno, ma quel pensiero non la fece stare meglio. Dentro era a pezzi.
Percorse metà della distanza coi tacchi alti che picchiettavano sul parquet e si fermò al centro di un elaborato tappeto giapponese. Aveva i capelli raccolti e il camice bianco infilato sopra una mise casual, e Klein si voltò appena in tempo per scorgere qualcosa dietro i suoi minuscoli occhiali: paura. Aveva ogni diritto di essere spaventata, pensò il vecchio. Ogni diritto di temere per la vita agiata che le aveva offerto, quella che lui, e lui soltanto, avrebbe potuto portarle via in un attimo.
«Cosa sai dirmi del piccolo disastro di venerdì?» Si sforzò di restare calmo.
Alison rimase imperturbabile e, seppur a fatica, lo guardò dritto negli occhi. «Mason è fuggito.»
«E perché è fuggito?» intervenne Sherman.
Senza traccia di rimorso nella voce, come se stesse riferendo l’avvenimento più naturale del mondo, Alison rispose: «Perché l’ho aiutato».
Klein era palesemente offeso. «L’hai aiutato?» Era incredulo come un figlio scapestrato che scopre di essere stato denunciato dalla madre. Tradimento.
«Sì.»
«Cristo santo, Alison, perché diavolo hai fatto una cosa simile?»
«Avevo le mie ragioni.»
Sherman la guardò in cagnesco. Cercò di apparire distaccato e indifferente, ma non riuscì a nascondere la soddisfazione. «Allora, dato che sei nella merda fino al collo, ti consiglio di spiegarcele.»
Anche Klein pareva impaziente di sentire una risposta che attenuasse la delusione. «Continua.»
«Ho proseguito le ricerche, dopo la vostra partenza, e ho scoperto perché, anni fa, sei stato a Cardou.»
«Facevo da consulente per uno scavo, non è un segreto», si giustificò Klein, confuso.
«Stavi cercando le tavole. Anzi, il sito era stato creato unicamente per ritrovarle, vero, Josef?»
«Sì, e nemmeno questo è un segreto. Ma cosa c’entra con Mason?»
«Quando sei andato laggiù?»
Klein si strinse nelle spalle. La sua memoria iniziava a perdere colpi. «Non ne sono sicuro. Nel 2010, forse? 2011?»
«Nel 2011. E perché hai abbandonato lo scavo?»
Lui ripensò agli eventi dell’epoca. Era accaduto mentre era in Siberia a occuparsi della scoperta del siberio. Aveva ricevuto un’e-mail da Grier, che a Cardou gestiva la sicurezza.
«Perché pensavamo che le tavole fossero state trovate. Così sono tornato dalla Russia e abbiamo iniziato a decodificarle.»
«Ma non erano le tavole, vero, Josef?»
«No.»
«Aspettate un momento. Tu scavi in Francia nel 2011 per cercare le tavole. Sempre nel 2011 pensi di averle trovate, e ora salta fuori non soltanto che Mason le ha rubate, ma pure che le ha rubate nello stesso anno. Sono l’unico a vederci qualcosa che non quadra?» intervenne Sherman.
Alison sorrise compiaciuta. Ormai li teneva per le palle.
«Cosa stai tentando di dirci, Alison?» chiese Klein.
«Che possiamo far filare tutto liscio, se siamo molto, molto intelligenti.»
«Intendi dire che tu puoi riuscire dove noi abbiamo fallito?» fece Sherman, sprezzante.
«Ricorda, Sherman, che il genio non è escogitare piani sconsiderati, bensì farli funzionare.»
«Non vedo come tu possa…»
«Continua, Alison», lo interruppe Klein.
«Dopo la vostra partenza, ho scoperto che Mason aveva raggiunto le tavole per primo, come dimostra il disegno del tatuaggio, e ho capito che, anche se avessimo voluto, non avremmo potuto cambiare quel fatto. Come le abbia trovate è irrilevante in questo momento, ma ci è riuscito. L’importante è ciò che è avvenuto dopo. Perciò possiamo fare quello che hai suggerito durante la prima riunione del Sequence: essere la ragione per cui Mason ha fallito.»
«Ma non ha fallito. Si è impossessato delle tavole», obiettò Sherman.
«Nel qual caso, dove sono ora?»
I due uomini si scambiarono un’occhiata.
Non ne avevano idea.
Klein rifletté in silenzio. L’altro si guardò intorno come un animale intrappolato in un’inondazione, rassegnato ad affogare. Era stato lui a scoprire quella scienza, Cristo santo, e ne conosceva il funzionamento meglio di chiunque altro. Allora perché Alison aveva risposte di cui lui era all’oscuro? Perché non era ancora in grado di comprenderle?
Il vecchio alzò gli occhi e sorrise. «Dunque, stai dicendo che dovremmo incaricare qualcuno di rubarle a Mason?»
Alison annuì. «Esatto. O, meglio ancora, di batterlo sul tempo. Sappiamo che è stato lui a prenderle e sappiamo dove. Ci basterà rubarle ancora, una mossa che con ogni probabilità non è abbastanza intelligente da prevedere. Poi scegliamo un nuovo sito e, ovunque sia, è il luogo in cui si trovano ora.»
«E il disegno? Il messaggio?»
«La mia ipotesi è che li abbia scritti quando ha scoperto che le tavole non c’erano.»
Klein sembrò preoccupato. «E che mi dici dei falsi? Esistevano. E si presume che questo fatto non si possa cambiare.»
«No, ma possiamo occuparci anche di loro. Sappiamo che è stato Grier a rinvenirli. A quanto ho capito, erano troppo grandi perché si possano rimandare indietro. Perciò dobbiamo chiedere alla persona che spediremo nel passato di creare dei falsi, affinché Grier li trovi. Così recuperi delle tavole false nel 2011, passi sette mesi a cercare di decifrarle e capisci che non sono autentiche. Non è cambiato nulla.»
Sherman era sbalordito. «Vediamo se mi è tutto chiaro. Stai dicendo che Josef deve far creare delle tavole false per poi dedicare più di sei mesi a tentare di decodificarle e, infine, scoprire che sono falsi che lui stesso, anni dopo, ha fabbricato. E deve fare tutto questo senza neppure accorgersene?»
«Sei stato tu a decidere che tutto questo sarebbe stato possibile, solo che all’epoca non te ne sei reso conto.»
Klein ci pensò su, ma non sembrava entusiasta. Anzi, aveva ancora l’aria preoccupata. Alison aveva ragione, rifletté. Mason aveva rubato le tavole e, a quanto si sapeva, le aveva sostituite coi falsi che un tempo erano stati l’incubo di Klein. Se qualcuno fosse tornato nel passato per rubargliele, lasciando che creasse delle imitazioni, o se le avessero fabbricate loro con le proprie mani, sarebbe stato verosimile che gli originali fossero nascosti in un nuovo posto. Come aveva osservato Alison, potevano essere là in quel momento, in attesa di essere scoperti.
Tuttavia, rimaneva un grosso problema. Si poteva riassumere nell’unica parola che mancava nel vocabolario di Klein ancora prima che la ragazza entrasse nel suo ufficio meno di dieci minuti addietro: fiducia.
«Non saprei. È complicato, più complicato degli altri casi. Stubbs è morto e non ci resta che Edison, che rimarrà in ospedale almeno per qualche altra settimana. A ogni modo, ormai ha intuito che non lo considero all’altezza del compito. È molto ingegnoso, Alison, ma, in tutta franchezza, non credo ci sia qualcuno in grado di farcela.»
Klein aveva ragione. Stubbs era morto dissanguato in cella, poiché le guardie avevano mostrato molto più interesse per il destino di Mason che per il suo, e Edison era praticamente un ritardato già quando aveva la gola intatta. Per Klein, dunque, le opzioni erano esaurite. Forse, avrebbe potuto prelevare qualcun altro dalla Polunsky e addestrarlo, ma ci sarebbe voluto un po’ di tempo e Alison dubitava che fosse disposto ad aspettare ancora.
Non gliene restava molto, di tempo. Non in quella vita.
«Quanto ci vorrà per riparare le piastrelle danneggiate?» domandò la giovane.
«Potrebbe essere tutto pronto entro domani, se necessario, ma è inutile se non c’è nessuno disposto ad andare.»
«Invece c’è qualcuno.»
«Chi?»
«Io.»
A Sherman andò di traverso il caffè. «Vuoi scherzare?»
«Conosco barzellette più divertenti, David.»
«È colpa tua se siamo in questo casino. Hai lasciato scappare Mason e pensi di essere degna di fiducia? Neanche per sogno.»
«No. Mason doveva fuggire. Secondo le leggi di questo meccanismo schifoso, doveva farlo prima che voi apriste l’altare. Perciò non avevo altra scelta se non aiutarlo. Ha trovato le tavole anni fa e nulla avrebbe cambiato questo fatto. È andata male perché doveva andare così, e io dovevo fare in modo che succedesse, per il bene di tutti.»
Klein l’appoggiò: «Non ha tutti i torti, Dave. Senza il suo aiuto saremmo in un casino molto più grande». Pur rivolgendosi a Sherman, guardò Alison mentre parlava: « Se non altro, abbiamo qualche prova concreta della partenza di Mason e sappiamo dov’è finito. Se fosse evaso nel cuore della notte con l’aiuto di qualcun altro, i computer avrebbero potuto essere resettati e il prigioniero sarebbe anche potuto andare nel 1850. In più, non dimentichiamo che sono state le ricerche di Alison a ricostruire la sequenza degli eventi del 2011, fino alla partenza di Mason. E tutto prima che l’altare venisse aperto».
La guardò sorridendo dolcemente; l’amarezza del tradimento fu sostituita da un orgoglio quasi paterno. Era una ragazza in gamba. Klein ci aveva visto giusto quando aveva approvato la sua ammissione alla NorthStar Foundation.
Tuttavia, c’era ancora una cosa che non convinceva Sherman. «Perché tu, Alison?»
Sapevano tutti e tre che l’incarico avrebbe avuto gravi ripercussioni sulla sua vita. Non sarebbe mai più potuta tornare indietro.
«Vorrei parlare con Josef. A quattr’occhi, se possibile.»
«Neanche per…» protestò Sherman.
«David, perché non ci porti un altro caffè?» tagliò corto Klein.
«Ma…»
Il vecchio lo zittì con un gesto della mano. Non avrebbe cambiato idea.
Lo scienziato lasciò la stanza suo malgrado, e scoccò un’occhiata torva a Alison, quando la superò. Uscì sbattendo la massiccia porta di quercia.
«È perché…» cominciò la ragazza.
Klein alzò la mano per la seconda volta. «Non preoccuparti. Credo di saperlo già.»