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Perpignan, Francia,

sabato, 11 giugno 2011

«Il desiderio del primo uomo era stato la morte, e fu esaudito.»

Dopo che avemmo superato Limoux, la strada si divise in due corsie e il traffico continuò via via ad aumentare. D’un tratto, Sarah fece una cosa che mi ero stupito di non averle visto fare molto prima: aprì lo zaino per dare un’occhiata alle tavole.

In chiesa, le aveva riposte in una cassettina di legno che aveva portato a quello scopo. Di un colore tenue, essenziale e dalle linee tradizionali, era il genere di scatola in cui si potrebbero chiudere dei ricordi prima di nasconderla in fondo all’armadio. Dubitavo che avesse avuto un’idea esatta delle dimensioni necessarie, ma il contenitore era capiente quanto bastava, perché il diametro delle tavole superava di poco i quindici centimetri. All’interno aveva aggiunto un po’ di ovatta e, benché la cassetta fosse troppo grande di almeno tre centimetri e mezzo su entrambi i lati, e molto più rettangolare, pareva che il tesoro fosse intatto.

Erano state ricavate da una pietra nero lucido, il nero più scuro e più autentico che ricordi di aver mai visto, ma, nei punti in cui si rifletteva la luce, la leggera brillantezza della superficie conferiva loro un’intensa sfumatura viola.

Sostanzialmente rotonde, a vari intervalli lungo la circonferenza avevano curiose forme mancanti, forse una cinquantina in tutto, che davano l’idea di una specie di antico ingranaggio. Tuttavia, anziché essere semplici rientranze, si curvavano come una S in una sorta di simbolo yin e yang. Staccando di tanto in tanto gli occhi dalla strada, notai che erano perfettamente simmetriche e che con ogni probabilità le tavole si sarebbero incastrate tra loro in qualsiasi punto.

La superficie era lavorata in modo molto elaborato, incisa e sbalzata con una serie di motivi che non avevo mai visto. Non erano molto diversi dai geroglifici delle tombe egizie, ma avevano anche l’aspetto di lettere rudimentali, simili a caratteri aramaici.

O, forse, una combinazione delle due cose. Che diavolo potevo saperne io?

I simboli erano disposti in una serie di anelli irregolari che creavano onde concatenate, ed erano così minuscoli da sembrare incisi col laser. È presumibile che, ruotando i dischi e incastrandoli con varie angolazioni, si sarebbero ottenute diverse sequenze di simboli e, quindi, risultati diversi. Forse questi ultimi erano autonomi, o forse conducevano a un ulteriore risultato nascosto.

E poi a un altro e a un altro ancora.

Ma, di nuovo, che diavolo potevo saperne?

«Come funzionano?» Mi concentrai su un minivan blu che aveva messo la freccia davanti a noi.

«Non ne ho la più pallida idea.» Sarah se le rigirò tra le mani, provando a far coincidere le scanalature. Pareva un’adolescente alle prese col suo primo cubo di Rubik. «Ho contato quarantanove ganci e quattro lati planari, perciò le combinazioni sono quarantanove elevato alla quarta. Ossia…» In meno di un minuto eseguì un calcolo che io non avrei saputo risolvere in una settimana. «Quasi sei milioni. E, questo, prima di arrivare agli anelli interni.»

«Occorrerebbe un computer superpotente per decodificarle.»

«Può darsi. Ma non permetterò a nessuno di provarci.»

«Non è questo lo scopo? Decifrarle?»

«Nick, queste sono le risposte ai quesiti sul funzionamento del mondo. Ho una teoria molto chiara su cosa succederebbe se qualcuno le scoprisse, e diciamo soltanto che non è una prospettiva rosea.»

«Cioè?»

Tenne i dischi verso il parabrezza, li capovolse, li ruotò e guardò la luce mentre i simboli la rifrangevano in una miriade di puntini minuscoli.

«Hai detto che, se qualcuno riuscisse a controllare i numeri, potrebbe giocare a fare Dio, giusto?»

Annuii.

«Io la penso in modo diverso. Credo che andrebbe molto vicino a essere Dio, e questo è un altro paio di maniche. Se qualunque cosa ci stia governando ora non è più necessaria e se, peggio ancora, viene sostituita da quello che ha sempre cercato di controllare, il mondo come lo conosciamo smetterà di esistere. Siamo dei dilettanti, non capiamo nulla. Non dovremmo riuscire in questa impresa. È come essere un politico: chiunque voglia diventarlo dovrebbe essere escluso in automatico dalla rosa dei candidati.»

Imboccammo un sottopassaggio che ci condusse sotto l’equivalente francese di un’autostrada e che sbucava a sinistra sull’N-161.

«Allora ritieni che chiunque sia interessato a decifrare questi cosi voglia essere… Dio

Pensosa, riportò l’attenzione sulle tavole e le fissò come se stesse guardando una vecchia fotografia. «Forse non proprio Dio, ma puoi star certo che vogliono diventare qualcuno che non dovrebbero essere, questo è sicuro.» Si girò verso di me. «Ciò che abbiamo qui, Nick, è una zampa di scimmia.»

«Come sarebbe a dire? Che diavolo è una zampa di scimmia?»

«W.W. Jacobs. Era uno scrittore horror, anche se, come molti suoi colleghi dell’epoca, era più che altro un filosofo. Usava l’elemento horror soltanto per mettere in evidenza quelli che considerava problemi spaventosamente reali.»

«E trovava spaventosa una zampa di scimmia?»

«Sì. Il racconto parla della famiglia White: madre, padre e l’amato figlio Herbert. Un giorno, un vecchio amico di Mr. White fa loro visita dopo un viaggio in India e porta con sé una zampa di scimmia mummificata. Dice che, grazie a un incantesimo, l’amuleto ha il potere di realizzare tre desideri per tre uomini diversi. Come un suo conoscente, lui ha già esaurito i propri, anche se non sembra soddisfatto e non ne rivela il contenuto. Si lascia convincere a regalare la zampa a Mr. White, pur ammettendo che preferirebbe vederla bruciare.»

«Così l’altro esprime tre desideri?»

«Ne esprime uno: chiede duecento sterline. Per tutta la notte non succede nulla, ma il mattino successivo Mr. e Mrs. White ricevono la visita di un uomo che arriva dalla fabbrica dove lavora il figlio. Herbert è morto incastrato in una macchina e l’uomo è stato incaricato di offrire loro un risarcimento economico.»

«Duecento sterline?»

«Esatto. Allora Mrs. White suggerisce al marito di usare il secondo desiderio per far sì che il figlio torni in vita. Funziona. Herbert risorge e bussa alla porta.»

«Ma?»

«Ma, prima che Mrs. White possa aprire, il marito rinsavisce e consuma il terzo desiderio per rispedire nella tomba l’essere in cui Herbert si è trasformato.»

Risi. «Quale sarebbe la morale? Non fidarsi mai di una zampa di scimmia?»

«Niente affatto. La zampa non è la cattiva della storia e non viene mai definita tale. È semplicemente il veicolo dei desideri di qualcun altro. Dei desideri umani. Come il denaro non è la causa di tutti i mali.»

«Ma l’avidità sì?»

«Bravissimo. Il problema non è cosa possano o non possano fare queste tavole, ma cosa possano o non possano fare le persone una volta che ne entrino in possesso. Per ogni individuo che desidera la pace nel mondo e che spera che i suoi abitanti siano liberi come uccelli, potrai trovarne almeno due o tre ansiosi di uccidere qualche uccello e di governare il pollaio.»

«Cos’hai intenzione di farne?» Mi sembrava la domanda più logica, dato che ho sempre diffidato di chi si tiene stretto le cose perché le considera troppo pericolose per cederle ad altri. «Magari sei stata incaricata da qualcuno e devi consegnarle per ricevere il tuo compenso? Oppure ci siamo fatti il culo e abbiamo rischiato la pelle per un bel niente?»

Sorrise. «Sono stata incaricata da qualcuno ma, come ti ho spiegato, il compenso che ricevo non è sempre quello che ci si potrebbe aspettare. Perciò lui non ci metterà le mani sopra. L’unico compenso che voglio è la certezza che non saranno mai trovate. Mai.»

«Allora cosa vuoi farne?»

Le rimise nella scatola, come se all’improvviso avesse avuto la sensazione di camminare su un terreno troppo sacro per le suole delle sue scarpe, e chiuse il coperchio. «Se c’è una cosa di cui sono sicura, è che questo mondo è come è perché gli sono capitate due serie di cose ben distinte.»

«Sarebbe a dire?»

«Primo, ci sono cose che sappiamo. Secondo, ci sono cose che non sappiamo. Il semplice fatto che ignoriamo una cosa non significa che non abbia avuto un’influenza molto più profonda di quanto possiamo immaginare.»

Trasse un respiro e si guardò intorno. «Chissà, forse da qualche parte esiste la tecnologia necessaria a costruire un dispositivo così potente da distruggere in un lampo l’intero pianeta. Forse è già stato costruito e sta solo aspettando. Se qualcuno ne è a conoscenza, credo che la cosa migliore che possa fare per tutti noi sia tenere la bocca chiusa, non sei d’accordo?»

«E pensi che il contenuto di quella scatola sia un lampo?»

«Non so cosa ci sia in questa scatola e, in tutta sincerità, non voglio nemmeno saperlo.»

«E se la cosa che hai lì dentro non avesse il potere di annientare il mondo? Se avessi tra le mani la cura per ogni malattia conosciuta?»

Mentre entravamo nel parcheggio riservato alla Europcar, Sarah fece un sorriso rassegnato e rimise la cassetta nello zaino, al sicuro. «Anche se queste fossero il non plus ultra della prevenzione e della cura delle malattie, il mondo sarebbe fottuto, credimi.»

«Non ti seguo.»

«Milioni di morti premature in meno? Una sovrappopolazione che raggiunge dimensioni epidemiche? Non pensi che i nostri ’fantastici’ progressi tecnologici ci rendano già troppi, senza dover aggravare il problema? La perdita della selezione naturale sfocerebbe niente meno che in un collasso economico globale. Inizierebbero a scarseggiare i posti di lavoro, il cibo, gli alloggi, e l’industria farmaceutica, che, nonostante le sue pecche, contribuisce a sostenere l’economia, finirebbe in ginocchio. Che mi dici della religione? Le persone avrebbero ancora bisogno di qualcosa cui rivolgersi, in assenza di dolore e sofferenza? Cos’è Dio senza la preghiera, e cos’è la preghiera se ci sono meno cose per cui pregare?» Guardò fuori del finestrino e osservò il mondo che stava cercando di proteggere. «Non illuderti, Nick, non è tutto oro quello che luccica.»

«Allora perché non distruggere le tavole e farla finita? Ovunque tu le metta, prima o poi qualcuno le troverà, anche se ci vorranno altri trecento anni. È la legge delle medie.»

«L’uomo non separi quello che Dio ha unito», dichiarò in tono provocatorio.

Il suo ragionamento era semplice: con la possibile eccezione degli attacchi quasi incessanti al pianeta terra, come avrebbe potuto l’uomo distruggere ciò che Dio aveva creato?

«Te l’avevo già detto e te lo ripeto: non si può dire che tu non conosca la Bibbia.»

«Deformazione professionale.»

«Cosa vuoi fare, nasconderle?»

Rifletté, passando in rassegna le opzioni. Quando parlò, fu come se non avesse ancora trovato una risposta, come se quella che aveva scelto di darmi fosse soltanto un ripiego: «No, non credo che le nasconderò».

Ero confuso. «No?»

«No.» Slacciò la cintura di sicurezza, scese dall’auto e si girò, piegandosi per guardarmi dalla portiera aperta, come aveva fatto la prima volta che eravamo andati a casa sua. «Penso che sarai tu a farlo.»

La Teoria Dell'eternità
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