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KleinWork European Livestock Research Centre, monte Cardou, Francia,

venerdì, 14 agosto 2043

Il piano era semplice, se mai una cosa simile poteva esserlo. D’Almas aveva fatto il suo dovere, scoprendo dove e quando era stato rubato il tesoro di Klein, e ormai era un uomo libero. O almeno lo era stato. A differenza di Castle, non aveva più dato sue notizie. Stava per arrivare il turno di Davies, sorvegliato dalle cinque guardie rimaste e munito delle informazioni che Klein e Sherman avevano appena ricevuto.

L’avrebbero spedito in un’epoca ancora più remota.

La data sarebbe stata approssimativa, ma era indispensabile che arrivasse almeno due anni prima del 1132. Qualunque altra cosa avesse combinato in quel lasso di tempo, alla fine sarebbe dovuto andare a Narbonne, trovare alloggio e aspettare. Se necessario, sarebbe rimasto nella città portuale per ogni singolo secondo del 1132.

Un giorno, alcuni soldati sarebbero entrati in città, di ritorno dalle vittoriose conquiste in Terra santa; sarebbero sbarcati da una bagnarola reduce dal difficile viaggio dalla Palestina, avrebbero avuto larghi sorrisi stampati sulla faccia e croci rosso brillante cucite sulle tuniche. Credendosi invincibili, o forse protetti da Dio, probabilmente avrebbero iniziato a vantarsi dei tesori che avevano portato con sé, e Davies, dopo aver imparato alla bell’e meglio il francese medievale, sarebbe stato in grado di comprenderne i discorsi.

Esausti, avrebbero deciso, soltanto per una notte, di approfittare della prima sistemazione confortevole che fosse offerta loro dopo mesi, prima di riprendere il viaggio attraverso il Sud della Francia.

Davies li avrebbe guardati bere, festeggiare e, in generale, rendersi ridicoli per tutta la sera. Se si fosse sentito all’altezza, avrebbe persino potuto provare a fare amicizia, quindi li avrebbe visti ritirarsi per la notte. Ovunque custodissero i loro tesori, il prigioniero avrebbe lasciato sul tavolo mezzo boccale di birra con qualcosa di simile a un verme morto sul fondo.

Con una lunghezza di quattro centimetri e un diametro inferiore a uno, quel coso, fatto di un materiale che gli avrebbe permesso di restare immerso nel liquido per quasi dieci minuti prima di sciogliersi del tutto, avrebbe contenuto una dose di agente nervino VX228 sufficiente per mettere al tappeto qualunque cosa respirasse nel raggio di ottocento metri. Protetta da un guscio esterno di gomma indurita finché era rimasta nel corpo di Davies, la capsula avrebbe iniziato a dissolversi, lasciando che l’agente incolore e inodore formasse alcune bolle e si diffondesse nell’atmosfera senza preavviso.

Alcune persone, quelle più vicine al boccale quando il gas avesse cominciato a spandersi, sarebbero morte. Non che simili inezie potessero fermare Klein o David. La maggior parte del gruppo, tuttavia, sarebbe rimasta svenuta fino a otto ore e sarebbe stata molto male per le settimane successive. Dopo mezz’ora di attesa paziente, l’aria sarebbe tornata respirabile e Davies sarebbe potuto rientrare. Avrebbe dovuto evitare i superstiti e agire col favore delle tenebre.

Avrebbe trovato le tavole e le avrebbe rubate di nuovo, assieme a tutti gli altri oggetti vendibili che fosse riuscito a portare con sé.

Quando chi non era morto si fosse svegliato, non avrebbe avuto idea di cosa né di come fosse successo e di chi fosse il responsabile. Ormai le tavole sarebbero state irreperibili, nascoste nell’altare della chiesa catara a Serres, dove sarebbero rimaste per secoli. In quel periodo, l’edificio avrebbe subito varie ristrutturazioni, ma l’altare, come confermato da D’Almas, sarebbe rimasto intatto. Gli unici a rivedere le tavole sarebbero stati Klein, Sherman e Kerr.

Circa ventotto minuti dopo la partenza di Davies.

La costruzione era stata frettolosa, perciò era impossibile sbirciare nel laboratorio ermetico di Cardou, ma non aveva importanza. Davies sarebbe stato là quando le porte si fossero chiuse e, quando si fossero riaperte, sarebbe già stato nel passato. Non avrebbe trovato una via d’uscita nemmeno se avesse voluto e, date le opzioni, era probabile che non lo volesse nemmeno. Avrebbe soltanto dovuto rubare un oggetto e nasconderlo, poi sarebbe stato libero di vivere il resto della vita in un ambiente in cui di certo avrebbe primeggiato, perché la sua conoscenza del mondo sarebbe stata assai più vasta di quella degli altri. Avrebbe potuto essere un re tra gli uomini.

D’accordo, non ci sarebbero stati i lussi cui era abituato, ma ci sarebbero state le due cose principali cui aveva dovuto rinunciare per ben quattro anni: l’alcol e le donne. Chissà, forse avrebbe persino potuto finire le cose che aveva lasciato a metà. La polizia del Texas l’aveva acciuffato dopo soli dodici stupri e omicidi, nove dei quali commessi nel Tennessee, ma il detenuto aveva sempre sperato di raggiungere quota cinquanta.

Gli si stava spalancando davanti un nuovo mondo pieno di opportunità allettanti.

L’urlo riempì il piccolo edificio ed echeggiò nei campi deserti. Nei paraggi non c’era nessuno che potesse udirlo e, anche se ci fosse stato, non avrebbe immaginato di cosa si trattasse. Il display digitale, maneggiato da Sherman, visualizzò il valore 527, quasi il massimo che il sistema potesse gestire, e il terreno si mosse di poco ma con forza, come per effetto di un terremoto lontano. Con ogni probabilità ci fu un lampo accecante all’interno della stanza, ma fu coperto dalle pareti di titanio, che dall’esterno parvero restare perfettamente piatte. Soltanto le facce interne furono influenzate e distorte dalla breve fluttuazione temporale.

Sherman aspettò che la polvere si fosse depositata, in senso metaforico, quindi entrò. Tornò di lì a poco con la tuta sgualcita di Davies, tenendola lontana da sé. Il tipo duro, quello che aveva violentato un sacco di donne e che durante l’arresto aveva dichiarato di non avere paura di nulla e di nessuno, si era pisciato addosso prima di partire, e forse stava ancora pisciando quando era arrivato. Nudo, infreddolito e catapultato in un mondo che non avrebbe mai capito, avrebbe letteralmente pisciato controvento.

Klein sorrise. «È andato, dunque?»

L’altro annuì.

Il vecchio girò la sedia a rotelle. «Allora portiamole a casa.»

«Forse faresti meglio ad aspettare qui.» Sherman si augurò che Klein cogliesse solo preoccupazione nel suo tono. «Incontro Kerr in chiesa e te le porto.»

Pregò che Klein accettasse, ma il vecchio scosse energicamente la testa. «Neanche per sogno, ci facciamo accompagnare dalle guardie. Le ho cercate per tutta la vita, Sherman, e voglio esserci quando saranno ritrovate.»

All’apparenza, era andato tutto secondo i piani.

Sembrava che gli unici errori di Davies fossero stati sbraitare quando aveva alzato il gomito, raccontare il genere di storie inverosimili che per secoli sarebbero state oggetto del folclore e trascorrere una notte a Montpellier con Emerie, una prostituta africana. Tre mesi dopo aver nascosto le tavole, l’aveva violentata brutalmente per più di un’ora, prima di girarsi dall’altra parte con un sorriso crudele. Lei, in cambio, lo aveva ucciso colpendolo con una lastra di pietra mentre dormiva. Poi, aveva preso gli altri tesori rubati ai Templari ed era salita su una barca diretta in Egitto.

Il folclore era sfociato nella diffidenza, e la diffidenza nella curiosità. All’inizio del 1631, Pierre de Montfort, cattolico devoto e proprietario di gran parte delle terre a Perpignan, aveva sentito parlare di un grande tesoro sottratto niente meno che ai Templari e sepolto nei suoi terreni. Convinto che il bottino comprendesse oro e pietre preziose, li aveva setacciati per otto anni, ma invano.

In seguito, nel 1640, de Montfort e «ogni abitante dei suoi possedimenti capace di maneggiare una spada» erano stati chiamati nel principato di Aragona perché aiutassero i catalani nella guerra civile contro la Spagna. De Montfort era andato subito nella sua cappella privata a Serres, dove aveva pregato davanti all’altare che Dio proteggesse lui e i suoi uomini, che gli consentisse di restituirli, incolumi e vittoriosi, alle loro famiglie.

La pietra fredda era liscia e ben conservata nonostante gli anni, e le aste dorate, simbolo degli originali di acacia che erano stati ricoperti d’oro per ordine di Dio, erano ancora infilate nei luccicanti anelli di ottone, come era giusto che fosse. Tuttavia, quando de Montfort si era inginocchiato per supplicare di tornare vivo dai conflitti a venire, lo sguardo gli era caduto sul lato inferiore dell’altare.

In quel momento aveva notato che una delle pietre che lo costituivano non combaciava alla perfezione.

Venticinque minuti dopo che la partenza di Davies era stata confermata, la quattro per quattro inchiodò davanti alla chiesa, dove Kerr e la guardia erano già arrivati.

Kerr, che stava fumando una sigaretta, la gettò contro il muro, producendo una pioggia di scintille sulle pietre. Sherman uscì dal posto del guidatore e aprì il pannello scorrevole sul lato, abbassando la rampa per far scendere Klein; lanciò all’altro un mazzo di chiavi e lo guardò mentre apriva il lucchetto della catena che, trattenuta da due anelli anneriti, bloccava i battenti. L’avevano messa là il giorno precedente, quando avevano scelto la chiesa come sito e avevano indicato il posto a Davies.

La chiesa era in disuso da vent’anni, perché i pochi residenti di Serres preferivano assistere alle funzioni ad Arques. All’inizio del secolo si era deciso di chiudere le porte per l’ultima volta e di lasciare che la malta rimasta all’interno si sgretolasse liberamente.

Klein non ne sapeva nulla e non aveva nessuna curiosità di scoprirlo. L’unica cosa di cui gli importava era la certezza che l’altare fosse stato intatto nel 1132 e che, perlopiù, lo fosse ancora al suo arrivo.

La porta cigolò e dense nuvole di polvere caddero dall’alto e offuscarono l’aria. In fondo alla navata, la luce fioca che filtrava dalle finestre sporche e crepate tingeva l’ambiente di un cupo marrone giallognolo, conferendogli l’aspetto di una fotografia color seppia, di una reliquia del passato. Kerr si spostò per far passare Sherman, che spingeva la sedia a rotelle. La guardia si fermò sulla soglia.

«Guardate questo posto.» Kerr accese una potente torcia.

Il sole era sul lato più lontano e l’interno, privo d’illuminazione, era ancora più buio che durante la visita precedente. Le panche non c’erano più; erano state prese dall’ultimo custode e usate come legna da ardere nel suo ultimo inverno; la malta delle pareti era quasi scomparsa, ed era sopravvissuta soltanto una lastra di vetro colorato: quella con Gesù Bambino che fissava i visitatori quando entravano.

«Cos’è successo qui dentro?» Kerr studiò una macchia rosso cupo, all’apparenza molto vecchia, che, a causa della manutenzione carente, era ancora visibile sulle pietre all’ingresso.

Klein la guardò, poi si girò dall’altra parte. «Chissà.»

«Chi se ne frega.» Sherman non diede nemmeno una sbirciata.

I suoi occhi, come quelli del vecchio, erano puntati sul tesoro che stava loro davanti.

La Teoria Dell'eternità
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