Semplicità

Attraverso una serie di oblò ho cercato di spiare la società postindustriale nella quale siamo appena entrati, di cogliere le differenze con la società industriale, dalla quale siamo appena usciti, di spingere uno sguardo minimo al futuro che probabilmente ci attende. Allo stato delle riflessioni sociologiche non è ancora possibile offrire una visione globale e una spiegazione esauriente della nuova società così come fecero Smith, Marx, Montesquieu, Tocqueville, Compte, Weber con la vecchia.

Quando iniziai a riflettere sull’avvento postindustriale (il mio primo libro su questo tema è del 1985) avevo la sensazione e la speranza che la nuova società sarebbe stata più ricca, più bella, più felice di quella precedente. Sono ancora convinto che potrebbe esserlo ma ho dovuto constatare che, almeno in questa fase più o meno lunga di assestamento, essa ci coglie impreparati e maldestri, non riuscendo noi a cavare dalle novità scientifiche e tecnologiche tutto l’aiuto immenso che esse sarebbero in grado di fornirci.

Come abbiamo visto, la complessità di qualunque problema è data dal rapporto tra le sue difficoltà reali e gli strumenti di cui si dispone per risolverle. Abbiamo visto quali e quanti elementi rendono più complessa la società postindustriale creando al tempo stesso vincoli e opportunità. Proviamo ora a capire quali e quanti elementi potrebbero renderne più semplice la comprensione e la gestione.

Nel 2025 la popolazione mondiale sarà di 8 miliardi. Per passare da 6 a 7 miliardi ci sono voluti quattordici anni; per passare da 7 a 8 miliardi ci vorranno diciassette anni. Dunque, la crescita demografica avrà cominciato a rallentare, facilitando la soluzione dei grandi problemi organizzativi.

Potremo vivere fino a 750.000 ore, rispetto alle attuali 700.000. Vivranno più a lungo le persone più scolarizzate e con relazioni sociali più intense. Gli anziani con più di 65 anni saranno 910 milioni rispetto agli attuali 420 milioni. Ciò significa che fruiremo di maggiore esperienza accumulata e che una popolazione più esperta e più anziana sarà più saggia, più amante della vita e della pacifica convivenza.

Cinque miliardi, pari al 63 per cento della popolazione mondiale, vivranno in città. Ciò migliorerà notevolmente la qualità della formazione, dei consumi e della vita per una percentuale di umanità che non era mai stata così alta.

Nella metà del Settecento, quando Diderot e D’Alembert redigevano l’Encyclopédie, tutta l’umanità era composta da 791 milioni di persone, oggi siamo 7 miliardi e tra qualche anno saremo 8 miliardi. Di fronte all’imponenza di queste cifre viene subito da pensare – e con spavento – a 7 o 8 miliardi di bocche da sfamare. Ma poi, a ben rifletterci, si prende atto che sopra ogni bocca c’è un cervello, che ogni cervello contiene circa 100 miliardi di neuroni e che mai, nel corso della storia umana, il nostro pianeta aveva accumulato tanti miliardi di miliardi di neuroni, potenziati dalla scolarizzazione e dall’interconnessione. Mai prima d’ora l’umanità aveva avuto a disposizione la capacità analitica e la creatività di tanti cervelli che ogni mattina si svegliano e cominciano a pensare, ogni sera si addormentano e cominciano a sognare. Questa immensa intelligenza collettiva ha in sé il potenziale per creare problemi più complessi ma anche per dare un contributo risolutivo alla semplificazione della complessità.

Il XXI secolo sarà segnato dall’ingegneria genetica con cui vinceremo molte malattie, dall’intelligenza artificiale con cui sostituiremo molto lavoro intellettuale, dalle nanotecnologie con cui gli oggetti si relazioneranno tra loro e con noi, dalle stampanti 3D con cui costruiremo in casa molti oggetti. Grazie all’informatica affettiva, i robot saranno dotati di empatia. Grazie a questo, ci sarà sempre più difficile dimenticare, perderci, annoiarci e restare isolati. Tutto questo rappresenta un immenso supporto di cui possiamo finalmente godere per semplificare la nostra vita e per arricchirla di significato.

La parità dei generi nella formazione, nei ruoli familiari e professionali, nello status sociale rappresenta una conquista della società postindustriale per cui i valori «femminili» (estetica, soggettività, emotività, flessibilità) ormai colonizzano anche gli uomini, così come i valori «maschili» (professionalità, razionalità, meritocrazia, emulazione) ormai colonizzano anche le donne, migliorando la qualità complessiva della convivenza.

Man mano che si ottengono nuove conoscenze tramite scoperte, cresce la possibilità di creare nuovi strumenti, nuovi materiali, nuove opportunità, nuovi campi del sapere tramite l’invenzione.

Oltre a insistere nel porsi le vecchie domande per ottenere risposte sempre più approfondite, la scienza e la tecnologia possono porsi tipi di quesiti del tutto nuovi per ottenere risposte inedite. La stessa cosa vale anche per le scienze umane (sociologia, filosofia, psicologia sociale, psicologia, economia) che, pur evolvendo più lentamente delle scienze esatte, fanno tuttavia progressi e sono in grado di risolvere con strumenti più potenti (ad esempio, i big data) problemi sociali sempre più complicati.

Le scoperte teoriche precedono sempre più le loro applicazioni pratiche e quindi offrono margini di tempo sempre maggiori per prevederne e metabolizzarne gli effetti.

Il progressivo meticciato che si afferma in ogni Paese del mondo con le grandi migrazioni e la mescolanza delle razze abbattono le barriere razziali e consentono una cross fertilization tra le culture che vengono a sempre più stretto contatto.

Nella società industriale ogni strumento tecnico (frigorifero, aereo eccetera) era in grado di rispondere a un unico bisogno dell’utente (tenere freddi i cibi, volare eccetera). Invece le potenti e flessibili tecnologie della società postindustriale (computer, televisione, cloud eccetera) sono in grado di rispondere a molti più quesiti di quanti i loro utenti sappiano porgli. Anzi, sono in grado di anticiparli, al punto tale che è quasi più difficile porre nuove questioni che ricorrere a vecchie soluzioni.

Nella società postindustriale la vita media si allunga sempre di più e le tecnologie sono sempre più capaci di farci risparmiare, stoccare, arricchire e programmare il tempo. Riusciamo dunque a produrre sempre più beni e servizi con meno lavoro umano e le ore di lavoro si riducono per tutti coloro che svolgono attività esecutive. Ne risulta liberata una massa crescente di tempo destinabile a svago, formazione, prosuming, autorealizzazione e socialità.

Oltre a sostituire sempre più il lavoro umano faticoso e ripetitivo nella produzione di beni e servizi, le nuove tecnologie e soprattutto l’intelligenza artificiale offrono supporti sempre più efficaci all’attività decisionale (facilitando la raccolta e l’elaborazione dei dati, la proiezione dei trend eccetera) alle funzioni tecnico-specialistiche (design, analisi cliniche, progettazione tecnica eccetera) e persino alle attività creative (management, arte, scienza). Ciò permette all’uomo di dedicarsi principalmente alle funzioni espressive, affettive e creative: intelligenza emotiva, estetica, etica, convivialità, pensiero critico e problem solving.

Le possibilità tecniche di decentrare le attività nel tempo e nello spazio offrono i vantaggi dell’ubiquità, consentono di telelavorare, teledivertirsi, telecurarsi, teleapprendere, teleamare; permettono agli operatori di sostituire il tempo assegnato con il tempo scelto, di ridurre i tempi morti, il traffico urbano, gli incidenti e gli ingorghi stradali, la micro-conflittualità, la subordinazione, la burocratizzazione.

La maggiore flessibilità dei processi produttivi riduce la necessità di produrre in serie, manipolare i bisogni, massificare i consumi.

L’omologazione dei linguaggi e delle conoscenze, la facilitazione degli spostamenti, la rapidità e la ricchezza delle informazioni, l’aumento della scolarità diffusa consentono una migliore comprensione reciproca, un migliore approvvigionamento e una migliore allocazione delle risorse, una tendenza a spostare i conflitti dal piano materiale a quello simbolico.

Gli strumenti tecnici sono sempre più in grado di superare gli standard pretesi dagli utenti. Dunque il valore dei beni e dei servizi prodotti non deriva solo dalla loro funzionalità pratica ma dall’estetica del design e dalla raffinatezza dei servizi. L’uomo politecnico gareggia con l’uomo specializzato e alla centralità dei tecnologi va affiancandosi e persino sostituendosi quella degli artisti, degli stilisti, dei designer, dei gastronomi.

Grazie ai nuovi materiali è sempre più possibile ottenere grandi prestazioni da strumenti costruiti con materie prime povere (come la plastica o il silicio). Il limite, quindi, non è più quello rigido, determinato in passato dalle materie prime disponibili in natura, ma è quello ben più elastico determinato dalla capacità umana di ideare e creare.

Come si vede, la società postindustriale è certamente più complessa di quella industriale ma anche gli strumenti che abbiamo per dominarla sono più potenti di quelli disponibili nelle epoche precedenti. Dopo la scorribanda di questo libro mi pongo nuovamente le domande già fatte in Mappa Mundi: in quale epoca sarebbe stato preferibile vivere? Nell’Atene di Pericle, nella Roma di Augusto, nella Firenze dei Medici, nella Vienna di Freud e di Mahler, o quando altro ancora?

In ognuna di queste epoche, per godersi la vita occorreva essere degli aristocratici in buona salute. La borghesia e la plebe menavano una vita grama, in balia dei signori. Ma anche l’aristocrazia, in assenza di analgesici e anestesie, piombava nella tragedia più nera al primo mal di denti. Solo nel Novecento abbiamo cominciato a constatare che la realtà complessa può essere semplificata con l’aiuto della tecnologia e dell’organizzazione. Più che apprendere queste verità da altri, le abbiamo vissute in prima persona perché i mutamenti sono avvenuti in tempi così rapidi da essere sottomultipli di una vita umana.

Oggi, per salire in cima a un grattacielo, ci basta premere il bottone dell’ascensore; per liberarci di un’ernia, ci basta sottoporci a un’operazione chirurgica di pochi minuti; per vedere cosa accade su Marte ci basta spingere il pulsante del telecomando; per ascoltare una sinfonia ci basta scegliere sul cellulare che portiamo in tasca una delle infinite esecuzioni offerte da Spotify attraverso il cloud che ci attende docilmente nell’etere. La progressiva semplificazione dei problemi pratici, grazie alle nostre infinite protesi meccaniche, ci consente di dedicare maggiore tempo e impegno alla soluzione di problemi scientifici, filosofici, politici, estetici, sociologici, a livello personale, familiare, nazionale, mondiale.

Il mio nipotino digitale, nato in questo mondo semplificato e globale, non si accorge della sua fortuna e pensa che sia stato sempre così. Ma io analogico, nato in un villaggio rurale dove non c’erano ancora la luce elettrica e l’acqua corrente, godo ancora del privilegio di stupirmi.

Per quanto inquinate siano le nostre città, per quanto ruvidi siano i nostri rapporti umani, per quanto squallide siano le nostre periferie urbane, tuttavia il nostro ambiente naturale e sociale è di gran lunga più sano, pacifico e bello di quello descritto nell’Amleto, nel Don Chisciotte o nei Promessi sposi. Ma anche più felice, se non altro perché viviamo il doppio di quei nostri antenati e perché oggi qualsiasi impiegato statale come me può scegliere a suo piacimento cibi e oggetti più vari, abbondanti, utili e belli di quanti ne potesse avere il Re Sole.

Non si tratta di ingenuo ottimismo ma di semplice realismo, anche se riferibile solo a un settimo della popolazione mondiale. Nel suo più bel racconto, intitolato La rosa di Paracelso, l’ineffabile Borges ci ricorda che il paradiso esiste, ed è questa Terra. Poi ci ricorda che esiste anche l’inferno e che consiste nel vivere su questa Terra senza accorgersi che è un paradiso.

Una semplice rivoluzione
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