Geni

Esiste un’esigua minoranza di persone che noi chiamiamo geni, ne abbiamo già parlato. Quali sono le caratteristiche della loro personalità? Sono necessari o inutili? Pericolosi o preziosi? Il loro ruolo è mutato nel tempo?

Il genio provoca in chi genio non è sentimenti di soggezione, ammirazione, curiosità, invidia, emulazione, dissacrazione, aggressività persino. È più facile considerarli mostri diabolici che capolavori angelici. Insomma, nei confronti dei geni non si riesce ad avere un atteggiamento di equilibrato distacco. Questo vale per la maggioranza delle persone, che geni non sono, ma che si arrovellano intorno al mistero della genialità, dalla quale si sentono sovrastati e schiacciati.

Molti psicologi hanno cercato di sondare questo mistero attraverso ricerche comparative per scoprire se esistono tratti distintivi della personalità intellettualmente superdotata. Alcuni hanno distinto tra intelligenza e genialità; altri hanno negato l’esistenza stessa dei geni; altri ancora hanno concluso constatando che molti geni lo sono solo in rapporto a uno specifico campo, mentre nel resto della vita si comportano come persone normali o addirittura come ipodotati. Newton, ad esempio, nella porta della sua casa di campagna aveva praticato un foro grande per fare uscire il cane e un foro piccolo per fare uscire il gatto!

Tra gli studiosi di questi problemi, Henle sostiene che le caratteristiche del genio creativo sono cinque; Hirsh e Guilford arrivano a sei; Barron a dodici; Taylor a una ventina; Torrance a ottantaquattro: dalla curiosità all’invadenza, dalla versatilità alla vitalità, dal menefreghismo alla passione per il gioco, dall’orgoglio alla superbia, dalla tenacia alla stravaganza. Anne Roe, dopo avere scandagliato a fondo la personalità di artisti, biologi, fisici, psicologi e antropologi eminenti, è giunta alla conclusione che queste liste sono frottole e che l’unica caratteristica presente in tutte le personalità geniali è «la persistenza e l’intensità della loro dedizione al lavoro». Darwin parlava di «accidente», di evento raro, quasi miracoloso, grazie al quale, in un certo momento storico e in un determinato Paese, si manifesta una personalità creativa. Come abbiamo già visto, un addensamento eccezionale di geni si ebbe nell’Atene di Pericle, nella Firenze dei Medici, nella Vienna di Francesco Giuseppe.

Se gli psicologi non riescono ancora a stabilire quali sono, e se ci sono, i tratti peculiari della personalità geniale, l’opinione pubblica ha provveduto per suo conto a creare alcuni stereotipi entro i quali cerca di costringere le biografie dei geni in modo da farle combaciare col pregiudizio di eccezionalità, astrusità, incomprensibilità, pazzia, stranezza, che accompagna le vite delle persone eccezionali.

Nel loro eruditissimo studio La leggenda dell’artista, Ernst Kris e Otto Kurz elencano le leggende metropolitane ricorrenti nei confronti degli artisti geniali. Un primo stereotipo vuole che il genio sia un precoce enfant prodige, di umili origini come Giotto, aiutato dalla casuale scoperta per opera di un generoso mecenate o di un famoso maestro.

Una seconda leggenda vuole che il genio sia sprezzante come Borromini. Una terza leggenda vuole che sia un essere divino, un puro folle come Mozart o come santa Teresa, che solo nelle loro estasi sovrumane riescono ad attingere la sapienza e la bellezza infinita. Una quarta leggenda vuole che il genio sia quasi un mago, capace, come Apelle o come Tiziano, di imitare la natura fino a gareggiare con essa e superarla, penetrandone i segreti e dominandone i processi. Una quinta leggenda vuole che il genio sia dotato di un’abilità sorprendente come Canova. Una sesta leggenda vuole che il genio sia persona particolarmente baciata dalla fortuna come Wagner o come Mendelssohn. Una settima leggenda vuole che il genio sia una personalità litigiosa, sempre in lizza perenne con i propri colleghi, come Bernini con Borromini o Bramante con Michelangelo. Un’ottava leggenda vuole che il genio sia infaticabile come Picasso. Un’ultima leggenda vuole che il genio sia particolarmente avido e avaro come Michelangelo o totalmente disinteressato come Oscar Niemeyer.

Di sicuro, sappiamo che oggi il genio solitario è in ribasso e che il progresso è sempre più affidato a team capaci di sostituire la creatività individuale con quella collettiva. I Leonardo e i Newton cedono il passo ai laboratori del Cern, della Ferrari, di Google.

Una semplice rivoluzione
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