Ondate

«Siamo in una fase di transizione. Come sempre» constatava con la sua arguta saggezza Ennio Flaiano. Infatti la storia umana è caratterizzata da un mutamento continuo ma non uniforme perché, in alcuni casi, che non senza motivo vengono definiti «epocali», cambiano drasticamente e simultaneamente sia le fonti energetiche, sia le sedi del potere, sia i paradigmi culturali. Un mutamento di questo genere (una prima grande ondata, come direbbe Alvin Toffler) si è avuto quando, nella Mesopotamia di 5500 anni fa, l’uomo passò dalla caccia e dalla raccolta all’allevamento e all’agricoltura, dalla vita nomade alla vita stanziale, dalla capanna alla città, dal trasferimento di sapere tramite la tradizione orale all’organizzazione scolastica e alla scrittura, dal baratto alla compravendita tramite moneta, dal trasporto da soma al trasporto su ruota. I Sumeri e gli Accadi, i Babilonesi e gli Ittiti, gli Hurriti e i Cassiti, che a quei tempi abitavano la mezzaluna fertile, ci regalarono quella società rurale centrata sull’agricoltura e sull’artigianato che avrebbe accompagnato l’umanità fino alla metà del Settecento.

La rivoluzione industriale ha rappresentato una seconda tappa, una seconda ondata, in cui la scoperta di nuove energie come il vapore, l’elettricità e il petrolio, l’accumulazione primaria di grandi ricchezze estorte ai Paesi colonizzati, l’emergere dei nuovi valori distillati dall’Illuminismo si sono intrecciati con una nuova organizzazione del lavoro, con la formazione degli Stati nazionali e con l’ascesa della borghesia al potere.

La società industriale, centrata sulla produzione in grandi serie di beni materiali come le automobili e i frigoriferi, ha coperto l’arco temporale che va dalla metà del Settecento alla metà del Novecento. Secondo Toffler, il codice sotteso allo sviluppo industriale era composto da sei princìpi: la razionalizzazione dei processi produttivi, la standardizzazione dei metodi, dei prodotti e dei prezzi, la parcellizzazione dei compiti, l’assetto piramidale e gerarchico del potere, l’efficienza intesa come impiego di mezzi minimi in vista di risultati massimi, l’economia di scala.

Come vedremo meglio in seguito, la rivoluzione industriale ha modificato tutti i termini del sistema sociale. Ha sostituito la prevalenza del lavoro contadino con la prevalenza del lavoro operaio; ha imposto i ritmi dell’efficienza e della produttività; ha trasformato la fabbrica e la città in immense catene di montaggio; ha basato l’economia sulla presunzione di un’infinita disponibilità di risorse e di una possibile crescita altrettanto infinita; ha determinato l’urbanesimo e ha indotto il consumo di massa; ha diffuso la democrazia parlamentare; ha esteso la durata della vita media e ha decuplicato la popolazione mondiale; ha inventato il welfare.

Se la società rurale è durata 5500 anni, quella industriale è durata appena due secoli, dalla metà del Settecento alla metà del Novecento, perché ha rapidamente prodotto dal suo stesso seno i fattori del suo superamento: progresso tecnologico, sviluppo organizzativo, globalizzazione, due guerre mondiali, rivoluzione sovietica, guerra fredda, scolarizzazione diffusa e mass media.

Così, per la dirompente azione congiunta di tutti questi fattori, a partire dalla Seconda guerra mondiale e dallo strappo lacerante di Hiroshima, è iniziata una terza ondata, una nuova civiltà, «talmente rivoluzionaria che mette in discussione tutte le nostre vecchie convinzioni. I vecchi modi di pensare, le vecchie formule, i vecchi dogmi e ideologie, non importa quanto apprezzati o utili in passato, non tengono più il passo con la realtà» scriveva Alvin Toffler nel 1987, quando pubblicò il suo fortunato La terza ondata.

Questa terza ondata, dopo quella rurale e quella industriale, è la nostra attuale società, che io chiamo convenzionalmente «postindustriale» e che ha colto in contropiede governanti, imprenditori, manager, genitori, insegnanti, sacerdoti, tutti disorientati, privi come sono di modelli cui appigliarsi, e tuttavia costretti a prendere decisioni navigando a vista o applicando alla realtà nuova i criteri elaborati nella vecchia società e finendo fatalmente per incappare in tutti gli errori indotti dal fuorviante cultural gap.

Dunque, a partire dalla Seconda guerra mondiale si è verificata una nuova discontinuità epocale con l’affermazione di un nuovo modello socioeconomico, centrato sulla produzione di beni immateriali: informazioni, servizi, simboli, valori, estetica. Ciò non significa che faremo a meno dei prodotti industriali. Come, passando dalla vecchia società rurale a quella industriale, le nuove generazioni non fecero a meno dei prodotti agricoli ma dei contadini, rimpiazzandoli con trattori automatici e concimi chimici, così noi oggi, passando dalla società industriale a quella postindustriale, non faremo a meno dei prodotti industriali ma degli operai e degli impiegati, rimpiazzandoli con i computer e con i robot.

Questa grande mutazione, di cui abbiamo il privilegio di essere testimoni e protagonisti, era stata annunziata da segni premonitori e precursori geniali sin dall’Ottocento, quando il fuoco di questa rivoluzione epocale già covava sotto la cenere. Tra il 1870 e il 1890 Lobačevskij aveva dimostrato l’imperfezione del postulato della retta, scardinando le basi di tutta la geometria euclidea. Nel 1872 Nietzsche aveva pubblicato La nascita della tragedia dallo spirito della musica per contrapporre il carattere dionisiaco al carattere apollineo e mettere mano a quella distruzione dei valori che proseguirà con Così parlo Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, del 1885 e terminerà con La volontà di potenza, pubblicato postumo nel 1901.

Nel 1899 Freud aveva pubblicato L’interpretazione dei sogni, datandolo 1900 per imprimergli il carisma di una svolta secolare. In realtà, con questo saggio, Freud affrancava la psicologia dalla filosofia e la rinnovava dalle fondamenta. Proprio nel 1900, con il saggio Sui quanti elementari della materia e dell’elettricità, Max Planck aveva reso nota la sua teoria della meccanica quantistica che, insieme alla teoria della relatività di Einstein, avrebbe rappresentato uno dei due pilastri della fisica moderna. Nel 1902 Marie Curie aveva scoperto il radio e la radioattività, contribuendo a un altro balzo in avanti della fisica, della chimica e della medicina. Nello stesso 1905 in cui Klimt dipingeva Le tre età, Ernst Mach districava la filosofia dal positivismo con Conoscenza ed errore, mentre Albert Einstein sbaragliava la fisica classica con la teoria della relatività ristretta, presentata nell’articolo Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento. Poco dopo, nel 1907, Picasso inaugurerà a Parigi l’era nuova della pittura con Les demoiselles d’Avignon che frantumavano l’equilibrio della composizione pittorica e, con esso, l’unità percettiva della simmetria. Intanto, in architettura, il ferro, l’acciaio e il cemento davano rappresentazione plastica allo strutturalismo nato nel 1916, insieme alla linguistica e alla semiotica moderne, con la pubblicazione postuma del Corso di linguistica generale di Ferdinand de Saussure. In letteratura l’erotismo provocatorio e anticonvenzionale di Frank Wedekind incoraggiava il risveglio della primavera che l’Art Nouveau, lo Jugendstil e il Liberty avrebbero colorato di curve armoniose e indolenti. Nel 1918 Le Corbusier concepirà il Modello Domino con cui avrebbe superato di colpo i criteri costruttivi dell’architettura tradizionale. Nel 1922 Joyce darà alle stampe l’Ulisse con cui l’opera aperta avrebbe insidiato l’egemonia del romanzo concluso. Nel 1923 Schönberg pubblicherà l’articolo Komposition mit 12 Tönen, composizione con 12 note, che, teorizzando la dodecafonia, avrebbe scompaginato la tonalità tradizionale con le dissonanze della musica pantonale. Nel 1934 Enrico Fermi provocherà la fissione dell’atomo dell’uranio, inaugurando l’era nucleare. Nel 1953 Crick e Watson scopriranno la struttura del Dna e apriranno la strada alla biologia molecolare. Il 6 agosto 1945 Little Boy, la prima bomba all’uranio, distrusse Hiroshima e, con essa, mise fine all’era industriale.

Durante la fase di transizione dalla società rurale a quella industriale, per molti anni, nonostante l’avvio dell’industrializzazione, gli autori più attenti si rendevano conto che l’epoca rurale stava volgendo al termine ma non riuscivano a capire quale fosse l’elemento caratterizzante della nuova società. Più che «industriale», essa gli appariva «postrurale», e la varietà delle denominazioni adottate dai primi studiosi testimonia la loro incertezza nell’individuare quale fosse la caratteristica distintiva di ciò che stava accadendo sotto i loro occhi.

Qualcosa di analogo capita oggi: siamo consapevoli che la nuova società non si identifica più per il modo di produzione industriale, ma non è ancora possibile afferrare quale fattore o quale processo occuperà quella posizione determinante che l’industria ha mantenuto nei duecento anni appena trascorsi. Secondo alcuni sarà l’informazione, secondo altri la struttura della personalità, secondo altri ancora l’incidenza della programmazione, secondo altri, infine, l’elemento basilare della nuova società sarà proprio quello di non avere un unico fattore determinante ma di essere fondata su un reticolo di fattori tra cui i servizi, l’informazione, la creatività, la globalizzazione e così via.

Però non si può negare che, a partire dalla Seconda guerra mondiale, e in maniera accentuata nel passaggio dal XX al XXI secolo, la nuova società ha rivelato più chiaramente alcune sue caratteristiche. A livello internazionale i Paesi del Primo Mondo monopolizzano la produzione di idee e spostano nei Paesi emergenti la produzione di beni materiali; il nuovo punto di forza del sistema sociale e dei singoli sottosistemi consiste nella capacità di progettare il proprio futuro. Nelle economie avanzate prevalgono nettamente gli addetti al terziario rispetto ai lavoratori dell’industria e dell’agricoltura. Cadono di giorno in giorno i modelli di vita improntati alla fabbrica e alla grande industria e il tempo libero prevale quantitativamente sul tempo di lavoro, acquistando una posizione sempre più centrale. La conoscenza teorica, la programmazione sociale, la ricerca scientifica, la produzione di idee e l’istruzione svolgono un ruolo sempre più determinante nello sviluppo della società. La ricchezza, il lavoro, il potere, il sapere, le opportunità e le tutele si concentrano progressivamente in poche mani. Declina la lotta di classe polarizzata tra borghesia e proletariato mentre si inasprisce una lotta di classe asimmetrica dei ricchi contro i poveri e pullula una pluralità di conflitti e di movimenti.

Nella struttura delle personalità individuali prevalgono gli attributi caratteriali di tipo narcisista che soppiantano o integrano quelli edipici mentre i bisogni «deboli» e voluttuari sostituiscono sempre più i bisogni «forti» e primari. L’economia prevale sulla politica e la finanza prevale sull’economia; la velocità prevale sulla lentezza, l’omologazione prevale sull’identità, la virtualità prevale sulla tangibilità, l’intellettualità prevale sulla fisicità; il binomio fornitore-cliente prevale sul binomio compratore-venditore, l’ibridazione prevale sulla separazione. La mercificazione si estende dai beni materiali ai beni immateriali, dai rapporti interpersonali alla cultura.

Prevalgono nuovi valori connessi all’intellettualizzazione, all’etica, all’estetica, alla soggettività, all’emotività, alla femminilizzazione, alla destrutturazione del tempo e dello spazio, alla qualità della vita.

Si affermano nuovi lussi connessi alla disponibilità di tempo, spazio, autonomia, bellezza e convivialità. La generazione dei nativi digitali, sempre più numerosi, soppianta quella degli analogici, in via d’estinzione.

Altrettanto profondi sono i cambiamenti prodotti dall’avvento postindustriale sulla sfera culturale: il passaggio dalla cultura moderna alla cultura postmoderna, dalla dimensione internazionale alla dimensione globale, da una epistemologia della semplicità a una epistemologia della complessità e della discontinuità; l’ibridazione tra nomadismo e stanzialità; il disorientamento.

Profonde sono pure le conseguenze sul lavoro: lo slittamento dell’occupazione dall’agricoltura all’industria, dall’industria ai servizi, dai servizi alla cultura e al benessere; il passaggio dalle tecnologie meccaniche a quelle elettroniche, informatiche e biologiche; il passaggio dall’energia e dai materiali tradizionali al nucleare, all’elettronica, alle nanotecnologie, ai nuovi materiali; le promesse minacciose ed esaltanti dell’intelligenza artificiale; lo sviluppo senza lavoro (jobless growth); la diffusione dell’imprenditorialità; la diffusione del lavoro intellettuale, flessibile e creativo; la sostituzione del controllo con la motivazione nella gestione del personale; la meritocrazia; l’ibridazione tra studio, lavoro e tempo libero (ozio creativo); l’emergere di nuovi significati del lavoro; il telelavoro; la femminilizzazione di molti settori; la dicotomia tra disoccupati e superoccupati; la microconflittualità e la disaffezione tra i dipendenti; l’ampliarsi della fascia costituita dai Neet (Not engaged in Education, Employment or Training).

Oltre ai tanti e profondi cambiamenti intervenuti a partire dalla Seconda guerra mondiale, altri, altrettanto rivoluzionari, si possono prevedere per un futuro a medio termine. Crescerà l’attrito internazionale tra i molti poveri sempre più poveri e i pochi ricchi sempre più ricchi. Sarà sempre più rapida l’omologazione culturale, l’unificazione linguistica, l’omogeneizzazione delle esperienze, la secolarizzazione dell’etica. Le nuove tecnologie permetteranno di produrre beni e servizi sempre più diversificati, che risponderanno alle esigenze soggettive di singoli individui o di piccoli gruppi piuttosto che a mode massificanti imposte dall’alto come quando occorreva far combaciare la produzione in serie con la domanda di massa. I problemi diventeranno sempre più complessi, ma anche gli strumenti per risolverli saranno sempre più sofisticati e potenti. La tecnologia sarà sempre più in grado di portare le informazioni là dove sono gli uomini anziché ammassare gli uomini là dove sono le informazioni, permettendo così un crescente allontanamento fisico delle persone e la loro dispersione spaziale. Le macchine e l’intelligenza artificiale saranno in grado di rispondere a un numero di interrogativi assai più vasto di quanto noi siamo normalmente in grado di porre. Questi strumenti ci permetteranno un ulteriore affrancamento dal vincolo della concretezza, costituendo un supporto prezioso per l’elaborazione di scenari e di modelli su cui impostare il nostro futuro. La dialettica sociale, i conflitti verticali e orizzontali assumeranno sempre più spesso la tipologia di movimenti effimeri e interclassisti, piuttosto che di istituzioni tradizionali di tipo partitico e sindacale. Il tempo libero spiazzerà il tempo di lavoro dalla posizione centrale occupata per millenni nell’esistenza umana, e dunque la chiave di lettura per comprendere il sistema sociale non sarà più il lavoro ma il non-lavoro.

I cicli delle ulteriori evoluzioni e degli ulteriori progressi – al contrario di quanto è avvenuto finora nella storia – saranno sempre più brevi della durata media di una vita umana. Tutti i tempi di riferimento saranno assai più brevi di quelli cui ci eravamo abituati nell’epoca industriale. Entro qualche decennio il lavoro manuale scomparirà quasi del tutto, tranne che in certe attività artistiche come la scultura e nei servizi alle persone. Assai presto si potrà delegare alle macchine non solo la fatica fisica e quella intellettuale di tipo ripetitivo, ma anche il lavoro intelligente, riservando all’uomo la sola attività creativa. La spinta alla flessibilità e alla riduzione dell’orario del lavoro esecutivo proseguirà in tutti i Paesi iperindustrializzati. Proseguirà pure la terziarizzazione, dentro e fuori le aziende manifatturiere. Le tecniche produttive diventeranno sempre più flessibili, permettendo la diversificazione dei prodotti e l’offerta di beni non massificati e massificanti.

Si potranno progettare nuovi manufatti prescindendo sempre più dai materiali disponibili in natura e inventando materiali nuovi, funzionali a quei manufatti. Lo spazio economico di ogni attività, i suoi input e i suoi output tenderanno ad avere dimensioni globali. Le aziende, fatte di persone sempre più colte e di tecnologie sempre più potenti, dovranno rivoluzionare dalle fondamenta la loro attuale organizzazione, pensata da Taylor per lavoratori semianalfabeti e per arcaici reparti manifatturieri. Nella selezione operata dal mercato globale, sopravviveranno le società, i gruppi, i partiti, i sindacati, le imprese capaci di riorganizzarsi rapidamente, in funzione dei valori globali e delle tecnologie emergenti nella società postindustriale.

Le uniche attività in cui l’uomo e la donna non potranno essere sostituiti da robot e nanotecnologie saranno quelle che richiedono creatività, estetica e affettività. Lo aveva già capito nel lontano 1786 il presidente John Adams quando previde genialmente la successione delle tre ondate e profeticamente scrisse: «Devo studiare la politica e la guerra in modo che i miei figli abbiano la possibilità di studiare la matematica e la filosofia, la navigazione, il commercio e l’agricoltura, per poter fornire ai loro figli la possibilità di studiare la pittura, la poesia, la musica e… le porcellane».

Una semplice rivoluzione
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