Chip

Certamente sapete che Gordon Moore è uno dei fondatori della Intel. E certamente sapete che la Intel è la più grande casa produttrice di microprocessori, di chip. Anzi, è l’azienda dove, nel 1971, Marcian Hoff, Federico Faggin, Stanley Mazor e Masatoshi Shima costruirono il primo chip monolitico, il 4004, annunziato come «a new era of integrated electronics». A maggior ragione sapete cosa è un chip: quella piastrina di silicio, di pochi millimetri quadrati, che all’inizio conteneva 2300 transistor e poteva compiere 60.000 operazioni al secondo. Roba da capogiro mezzo secolo fa; bazzecole oggigiorno.

Bazzecole perché, nel frattempo, gli scienziati sono riusciti a mettere in quei pochi millimetri quadrati un numero sempre maggiore di transistor. Oggi marciamo sull’ordine del miliardo. Un miliardo di transistor significa un miliardo di operazioni al secondo. Se pensate che il cuore umano, per battere un miliardo di volte, impiega trent’anni, capite bene dove è arrivato questo chip.

E qui entra in gioco il nostro Gordon Moore. Visto dove siamo arrivati, dove stiamo andando? Lui ha scoperto una regoletta con la quale è possibile rispondere a questa domanda. Infatti il signor Moore si accorse che la potenza dei chip raddoppiava mediamente ogni diciotto mesi. Lo scrisse su una rivista e, da quel momento, tutti dicono che la potenza dei chip «raddoppia secondo la legge di Moore».

Raddoppiare la potenza ogni diciotto mesi è un’impresa fantascientifica grazie alla quale l’infinitamente piccolo può fare cose infinitamente grandi e l’infinitamente stupido può arrivare a compiere azioni infinitamente intelligenti. Si pensi che alcuni potenti computer sono stati capaci di dimostrare complessi teoremi di matematica ma neppure i migliori matematici sono poi riusciti a capire quelle dimostrazioni.

Se questo accade oggi che un chip è circa 70 miliardi di volte più potente di quello degli anni Settanta, cosa accadrà quando, nel 2030, sarà centinaia di miliardi di volte superiore a quello attuale e avremo a nostra disposizione i microcircuiti flessibili su supporti elastici e i multicore chip per il calcolo parallelo nei personal computer?

Mentre ciascuna delle macchine industriali (telaio automatico, frigorifero, macchina per cucire, lavastoviglie) era in grado di rispondere a una sola domanda e a risolvere un solo bisogno (tessere stoffe, raffreddare cibi, cucire abiti, lavare biancheria) anche se l’operatore aveva molte altre domande e molti altri bisogni insoddisfatti, oggi il computer postindustriale è in grado di rispondere a domande numerose quasi all’infinito. Siamo noi che dobbiamo sapergli porre queste infinite domande. Gli strumenti a nostra disposizione per conoscere saranno presto onnipotenti ma noi potremmo presto scoprire la nostra incapacità di elaborare domande alla loro altezza e poi la nostra incapacità di capirne le risposte. Già oggi ognuno di noi usa il proprio cellulare o il proprio portatile per compiere solo un’infinitesima parte delle operazioni che quel cellulare o quel pc saprebbero compiere se noi le conoscessimo e gliele sapessimo chiedere.

Questo anche perché gli strumenti informatici a nostra disposizione sono recentissimi e molti di noi li considerano ancora con ostilità o sospetto. Ma fra quindici anni gli attuali portatori della cultura analogica saranno tutti morti e la cultura digitale dominerà incontrastata sul pianeta. Intanto il chip avrà moltiplicato per altri miliardi di volte la sua potenza attuale e magari, invece di evaporare, sarà addirittura cresciuto il gap culturale tra chi lo considera friendly e chi teme le sue nuove strapotenze.

Ciò che del chip risulta più inquietante è la sua attitudine pervasiva. Col passare del tempo, profittando della sua piccolezza, esso si è infilato dappertutto: nei telecomandi, nelle carte d’identità, nelle tessere bancarie e in quelle sanitarie, nei frullatori, nei giocattoli, nelle armi, nelle buste-paga, nelle radio, nei cellulari e persino sotto la pelle.

Ogni chip raccoglie notizie e fornisce informazioni in misura sbalorditiva. In una singola tessera possono essere condensate notizie riguardanti la nostra nascita, le nostre malattie passate e probabili in futuro, il colore dei nostri occhi, i nostri gusti gastronomici e sessuali, i movimenti del nostro conto bancario, i film che abbiamo visto o che vorremo vedere, i libri che abbiamo acquistato negli ultimi dieci anni e quelli che acquisteremo in seguito.

E non basta. Come i computer si sono messi a dialogare tra loro tramite internet, così anche le varie tessere e le varie banche di informazione si vanno via via collegando tra loro con la complicità delle nanotecnologie. Ciò tra l’altro consente di sommare e comparare tutti i dati in modo che ogni persona resti sotto controllo totale ventiquattro ore su ventiquattro: si può sapere dove si trova in qualsiasi momento, dove sta andando, cosa sta per fare, con chi parla o con chi fa l’amore, quali posizioni del Kamasutra preferisce, che conoscenze possiede e quali intenzioni ha.

Negli Stati Uniti le compagnie di assicurazione contro le malattie tendono ad assicurare soltanto coloro che offrono alte garanzie di sanità. Ebbene, con i nuovi strumenti sarà loro possibile conoscere in anticipo la storia sanitaria e le probabilità di malattia di ogni cittadino, a sua insaputa.

Un investigatore può tenere sotto controllo l’intera gamma di acquisti di un numero altissimo di persone. In tal modo può scoprire, ad esempio, che un marito compra preservativi in una farmacia mentre la moglie compra pillole antifecondative in un’altra farmacia: cioè che entrambi hanno un amante.

Così pure, un microfono e un rilevatore di calore su ogni tetto possono indicare, casa per casa, chi sta dormendo e chi sta lavorando, chi sta facendo l’amore, in che piano dell’edificio e con quante persone.

Le telecamere piazzate agli angoli delle strade, collegate tra loro e con le banche dati centrali, possono combinare informazioni in modo da tenere sotto controllo ciascun passante, prevederne gli spostamenti, bloccarli, arrestarli. Insomma, siamo sull’orlo di una crisi della nostra privacy. Per chi ha ancora segreti da mantenere o notizie riservate da custodire, resta poco tempo: milioni di piccoli Mandrake, di piccoli Uomini mascherati, di Maigret e di Sherlock Holmes sono in agguato dentro i nostri portafogli, le nostre scrivanie, le nostre camere da letto, le nostre cucine, le nostre piazze per intrufolarsi nei nostri segreti e sottrarci il rassicurante piacere dell’intimità.

I big data, grazie alla strapotenza dei chip, consentono di mettere insieme, elaborare, comparare, distinguere miliardi di miliardi di informazioni. Ciò permette a chi le detiene, soprattutto a Google, di sapere in anticipo il futuro prossimo e remoto della gente e del mondo: con quali probabilità si propagherà un’epidemia, fallirà un’impresa, scoppierà una rivolta. Ma permette pure di sapere se una ragazza è incinta prima che lo sappiano lei stessa, il suo fidanzato, i suoi genitori. Così la ditta produttrice di biberon o di pannolini potrà mandare a quella ragazza la pubblicità dei suoi prodotti prima ancora che lei sappia di averne bisogno.

Tutto questo produce l’accentramento di poteri immensi in una sola regione del mondo, la Silicon Valley, e in pochissime mani: i Bill Gates, i Mark Zuckerberg di Facebook, i Larry Page e i Sergey Brin di Google, e negli eredi di quello Steve Jobs di Apple che il sociologo Evgeny Morozov ha definito «vegetariano sanguinario, buddhista combattivo». Oggi, tra i primi 62 uomini più ricchi del mondo – quelli della classifica «Forbes» che detengono, da soli, la ricchezza di tre miliardi e mezzo di poveracci – almeno una ventina si occupa di business direttamente o indirettamente collegati al chip.

Archiviata definitivamente la privacy, il chip ha ingaggiato la sua battaglia per l’eliminazione progressiva di altre funzioni alle quali l’essere umano si era dedicato da millenni, perfezionandole fino a farne il nocciolo della propria personalità. I calendari e le agende inclusi nel nostro cellulare ci avvertono in anticipo, come fedeli maggiordomi, degli appuntamenti che abbiamo o delle medicine che dobbiamo prendere o delle tasse che dobbiamo pagare. Impossibile, dunque, dimenticare. Dimenticare non è più una scusa alla quale aggrapparci, un alibi sotto cui nasconderci, un rammarico per le occasioni perse. Semplicemente è una impossibilità.

Le mappe e i navigatori, inclusi anch’essi nel nostro cellulare, ci indicano con precisione dove siamo, dove si trovano in questo momento i nostri amici e i nostri nemici, che strada dobbiamo percorrere per andare dove intendiamo andare. Impossibile, ormai, perdersi. Omero dovrebbe riscrivere l’Odissea, Joyce dovrebbe riscrivere l’Ulisse e Wagner dovrebbe riscrivere il Parsifal.

Altrettanto difficile è diventato fingere di sapere. L’amico saputello e ciarliero che si faceva bello sciorinando nomi, dati e fatti fasulli con sfacciata disinvoltura, ora può essere messo immediatamente di fronte alla sua baldanzosa ignoranza, ricavando da Google, in tempo reale, le informazioni esatte per sbugiardarlo. Impossibile, dunque, bluffare. Stefan Zweig dovrebbe riscrivere la sua Novella degli scacchi concepita nel 1941, quando il chip era ancora di là da venire e George Roy Hill dovrebbe girare una versione completamente diversa della Stangata, un film del 1973, concepito quando il chip era appena neonato.

«Non sapevo che…», «Nessuno mi aveva informato che…» Anche queste ammissioni o queste scuse sono ormai azzerate. Su Wikipedia, sui siti, su Facebook, su LinkedIn c’è tutto. Ogni cosa può essere condivisa con WhatsApp, che consente di inviare e ricevere a costo zero sia le immagini che le musiche, sia il parlato che lo scritto. Sempre a costo zero, Skype permette di vedere chiunque e ovunque, senza possibilità di fingere altri tempi e altri luoghi. I ricchi non possono più illudersi di restare invisibili agli occhi dei poveri; le primavere arabe, turche, brasiliane sono nate dalla offensiva visibilità delle ingiustizie e dalla insperata facilità di agglomerare masse attraverso internet; le truffe, le tangenti, le mafie prima o poi cadono sotto i colpi delle intercettazioni rese possibili dalle tecnologie informatiche.

Oggi la battaglia di Waterloo avrebbe preso una piega diversa se Napoleone, fornito di smartphone, si fosse messo in contatto diretto con il suo maresciallo Grouchy e fosse stato tempestivamente informato delle manovre compiute dalle truppe inglesi del generale Maitland. Shakespeare, a sua volta, dovrebbe rivedere la trama di Romeo e Giulietta se i due sprovveduti amanti, con un semplice cellulare, avessero potuto avvertirsi vicendevolmente e tempestivamente circa lo stato reale dei fatti.

Sbrecciato il fortilizio della privacy, divenuto impossibile isolarsi, perdersi, ignorare e dimenticare, cadono, con questo, tutte le azioni che ne conseguivano, che ci rendevano fragili, dubbiosi, indecisi, e perciò umani. Cade, ad esempio, o viene decisamente scoraggiato l’adulterio, dal momento che, sempre a causa del chip, la possibilità di essere scoperti e di patirne il danno prevale sulla tentazione di un incontro fortuito con la persona desiderata, per il quale, alla fine dei conti, la fatica è tanta, il godimento è fugace e la posizione è ridicola, come saggiamente faceva notare Lord Chesterfield.

Una semplice rivoluzione
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