Stupidità

L’economista cileno Manfred Max-Neef si è chiesto per anni cosa distingua gli uomini dagli altri esseri viventi. In un primo momento ha pensato che solo noi siamo capaci di cooperare in modo solidale per raggiungere uno scopo comune; poi ha provato a credere che solo noi siamo in grado di sfruttare le risorse naturali e servirci di utensili; poi ha ipotizzato che solo noi sappiamo modificare l’ambiente che ci circonda per adattarlo ai nostri fini; poi ancora si è illuso che solo a noi è data la possibilità di provare sentimenti come l’amore o lo stupore. Ognuna di queste ipotesi è caduta di fronte al comportamento inequivocabile di alcune specie animali che dimostrano altrettante capacità e altrettante sensibilità. Max-Neef è arrivato allora a ipotizzare che solo gli esseri umani hanno il dono dell’umorismo, ma poi ha scoperto che alcuni uccelli giapponesi sono soliti farsi scherzi molto divertenti. Dopo tante riflessioni, il nostro economista cileno ha dovuto concludere che l’unico particolare che ci distingue dagli animali è la stupidità.

Solo noi, ad esempio, accettiamo dai cosiddetti «esperti» pareri che qualsiasi persona dotata di buon senso è in grado di smentire. Quando Bush e Tony Blair cercavano pretesti per scatenare la guerra contro Saddam, con la scusa di esportare la democrazia in Iraq, i grandi esperti del Pentagono sostenevano che gli americani e gli inglesi avrebbero sottomesso in poche settimane il «Paese canaglia» che occultava armi di distruzione di massa. I miei studenti, benché privi di conoscenze approfondite in materia di armi e di strategie belliche, scesero in piazza insieme a milioni di altri studenti nel mondo, per protestare contro questa guerra che, a loro parere, oltre a essere infondata e ingiusta, era anche persa in partenza. Come sappiamo bene, gli eventi hanno smentito i cervelloni del Pentagono e dato ragione ai miei studenti.

Nel marzo 2003 ben 150.000 soldati al comando del generale Tommy Franks attraversarono la frontiera con il Kuwait e marciarono su Baghdad; dopo otto anni e mezzo, il 15 dicembre 2011, gli ultimi soldati americani hanno abbandonato l’Iraq ponendo fine a quella che Vittorio Zucconi su «Repubblica» ha definito «la più dolorosa, costosa, sanguinosa avventura militare americana dopo il Vietnam». Tra gli americani, 4500 militari uccisi e 150.000 feriti; tra gli iracheni, un massacro non ancora precisato con centinaia di migliaia di morti. Mille miliardi di dollari gettati.

Secondo esempio di umana stupidità. Per nostra fortuna, la natura ha accompagnato la funzione nutritiva del cibo, grazie al quale noi sopravviviamo, con il piacere della gola, e infatti un piatto ben cucinato e ben mangiato ci procura gioia. Ebbene, in nome dell’efficienza e del Pil, ci siamo ridotti a mangiare fast, per cui ingozziamo frettolosamente alimenti che, oltre a essere repellenti, fanno anche male alla salute. «Siamo riusciti» scrive Carlo Petrini «in questa folle corsa frenetica verso una crescita continua, irrispettosa di ogni limite, persino a corrompere l’elemento irrinunciabile che ci permette di vivere, a trasformare ciò che è anche un piacere fisiologico e culturale, personale e comunicativo, in qualcosa di sempre più anonimo e omologato, addirittura potenzialmente pericoloso per noi e per il pianeta che abitiamo.»

Terzo esempio. Per fare fronte alla recente crisi economica e finanziaria, molti governi, tra cui quello italiano, hanno protratto l’età pensionabile. Ma, così facendo, hanno ridotto drasticamente i posti di lavoro da offrire ai giovani, che hanno subìto una disoccupazione vicina al 40 per cento.

Contemporaneamente, in Italia è stato introdotto il numero chiuso nelle università, per cui molti giovani restano esclusi sia dal lavoro che dalla possibilità di proseguire gli studi. La cosa è tanto più demenziale in Italia, dove la percentuale di giovani in età universitaria iscritti a una facoltà è pari appena al 36 per cento contro il 98 per cento della Corea del Sud, il 94 per cento degli Stati Uniti, l’86 per cento dell’Australia, l’80 per cento della Danimarca.

Qualunque cittadino di normale intelligenza è in grado di cogliere questa contraddizione e, infatti, la questione è stata posta in più sedi ai ministri «competenti» e agli economisti che disinvoltamente li supportano nelle loro politiche. Ministri ed economisti hanno riconosciuto che il prolungamento dell’età pensionabile toglie indubbiamente lavoro ai giovani, ma hanno assicurato che le economie occidentali, dopo i lunghi anni di crisi, sono ormai vicine alla ripresa della crescita che consentirà la creazione di nuovi posti di lavoro per tutti i giovani. Abbiamo messo in evidenza questa bugia in un precedente capitolo. I fatti, d’altro canto, smentiscono questa previsione. Oggi il Pil pro capite del Principato di Monaco è di 173.000 dollari, quello del Lussemburgo di 111.000 dollari, quello degli Stati Uniti di 53.000 dollari, quello della Francia di 43.000 dollari, quello della Germania di 46.000 dollari, quello dell’Italia di 36.000 dollari, mentre quello del Brasile è di 11.000 dollari, quello della Cina di 7000 dollari e quello dell’India di 1500 dollari. Perché mai le economie occidentali dovrebbero riprendere a crescere? A scapito di quali altre economie ancora disposte a farsi rapinare? E anche ammesso e non concesso che ci sarà questa ripresa tanto millantata quanto improbabile, l’esperienza insegna che se nell’ex società industriale, quando un’impresa diventava più ricca, si espandeva assumendo più lavoratori, nell’attuale società postindustriale, quando un’impresa diventa più ricca, si espande comprando macchine automatiche, computer e robot. È il fenomeno del jobless growth, che abbiamo già analizzato, doloroso in questa fase di transizione, liberatorio per le prossime generazioni, quando sarà finalmente attuale il proverbio spagnolo che scorre sul mio screensaver: «Hombre que trabaja pierde tiempo precioso».

Una semplice rivoluzione
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