Entertainment

Dopo avere visitato gli Stati Uniti, Alexis de Tocqueville scrisse nel suo famoso reportage La democrazia in America: «Se cerco di immaginarmi il nuovo aspetto che il dispotismo potrà avere nel mondo, vedo una folla innumerevole di uomini eguali, intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari, con i quali soddisfare i loro desideri. Ognuno di essi, tenendosi da parte, è quasi estraneo al destino di tutti gli altri: i suoi figli e i suoi amici formano per lui tutta la specie umana; quanto al rimanente dei suoi concittadini, egli è vicino ad essi, ma non li vede; li tocca ma non li sente affatto; vive in se stesso e per se stesso e, se gli resta ancora una famiglia, si può dire che non ha più patria.

«Al di sopra di essi si eleva un potere immenso e tutelare, che solo si incarica di assicurare i loro beni e di vegliare sulla loro sorte. È assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite. Rassomiglierebbe all’autorità paterna se, come essa, avesse lo scopo di preparare gli uomini alla virilità, mentre cerca invece di fissarli irrevocabilmente nell’infanzia, ama che i cittadini si divertano, purché non pensino che a divertirsi».

Sono passati quasi duecento anni ma oggi più di allora – complice la maggiore disponibilità di tempo, lo stress della società consumista e gli esperti di marketing – una folla innumerevole di uomini intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari non pensa che a divertirsi dopo essersi ubriacata di lavoro o depressa per il vuoto in cui nuota.

«Dovunque mi giri, vedo svilupparsi l’economia dell’entertainment» scrisse nel 1999 Michael J. Wolf, un guru della materia, in forza alla Booz-Allen & Hamilton. Già allora l’industria dell’intrattenimento e dei media negli Stati Uniti era la più sviluppata al mondo e l’incidenza di questo business sulla spesa delle famiglie (5,4 per cento) superava quella dell’abbigliamento e dell’assistenza sanitaria (5,2 per cento). I baby boomers (nati tra il 1946 e il 1964) superavano i 76 milioni, erano pari al 28 per cento della popolazione americana ma controllavano il 51 per cento della ricchezza nazionale. «Dopo quindici, venti o trent’anni di ubriacatura da lavoro, questa generazione sta finalmente tornando alle sue radici edonistiche, alla ricerca del divertimento.» E il divertimento, che è il contenuto dell’entertainment, si può sintetizzare nel vecchio slogan «sesso, droga and rock and roll». Dopo essersi intasati di frigoriferi, divani e automobili, ora i baby boomers vogliono sentirsi meno stressati, vogliono più tempo libero, più cd, più videocassette, più videogame, più sesso, più canali televisivi, più parchi tematici, più feste di Halloween, più sale cinematografiche, più giochi d’azzardo. Tutto obbligatorio, tutto dovuto, tutto a pagamento. «L’entertainment – non l’auto, non l’acciaio, non i servizi finanziari – sta diventando rapidamente il motore della nuova economia mondiale.» E così è stato.

L’entertainment non è divertimento né ozio. Il divertimento è rigenerazione; l’ozio è arte. Oggi la maggioranza dei lavoratori svolge mansioni di tipo intellettuale che non fiaccano il corpo ma stressano il cervello. Perciò, sempre più spesso, l’intrattenimento è preferito al divertimento e all’ozio. Che differenza c’è tra questi termini? Dell’ozio abbiamo già parlato e parleremo ancora più avanti. L’etimologia della parola divertimento è «divertere», cioè «cambiare strada», interrompere la routine facendo qualcosa di più leggero o di parimenti impegnativo purché diverso rispetto a ciò che si fa usualmente. La lettura di un libro diverso, l’ascolto di un disco diverso, una passeggiata o un viaggio per fuggire dal tran tran abitudinario sono altrettante forme di divertimento. In esse vi è intenzionalità e partecipazione attiva anche se non vi è un modus vivendi o un progetto di crescita intellettuale.

Invece, per sua natura, l’intrattenimento appartiene piuttosto al genere dello svago e del passatempo, non presuppone professionalità e progetto neppure nei casi in cui – come per un videogame – richiede impegno. Il divertimento aiuta a pensare; l’intrattenimento aiuta a dimenticare. Il divertimento sa di sano, di genuino, di spontaneo, di musicale, di goliardico, di gratuito, di artigianale; l’intrattenimento sa di organizzato, di orchestrato, di industriale, di affaristico, di commerciale, di sterile, di astuto. Le incursioni di Benigni durante il festival di Sanremo sono altrettanti esempi di autentico divertimento in una trasmissione di semplice intrattenimento.

A volte, ma raramente, ciò che ci appariva come intrattenimento spensierato, a una più meditata riflessione, finisce per rivelare un suo spessore intellettuale. Ad esempio, quando Totò era in vita, i suoi film venivano considerati come banalità insensate e pecorecce; dopo la sua morte si sono imposti per la loro genialità leggera e sono diventati oggetto di culto anche tra gli intellettuali più esigenti. Osservato dall’esterno e con sottile intelligenza, anche l’intrattenimento può diventare fonte di ironica o di triste riflessione. Mi vengono in mente ad esempio i pensieri di Umberto Eco a proposito della fenomenologia di Mike Bongiorno o i commenti alla cuisine d’Elle di Roland Barthes.

A favore dell’intrattenimento si adduce il motivo che la nostra vita sotto stress ha bisogno di boccate d’aria, di pause riposanti capaci di strapparci un sorriso senza pretendere sforzi mentali. Contro l’intrattenimento vi è la constatazione che, cogliendoci stanchi e indifesi, esso si insinua indisturbato nel nostro cervello, condizionandolo a nostra insaputa e facendo da viatico dell’alienazione e della manipolazione.

La tv italiana, ad esempio, durante gli anni Sessanta e Settanta ha sostituito la scuola, unificando il nostro linguaggio; durante gli anni Ottanta e Novanta ha sostituito lo psicologo omologando i nostri bisogni; oggi sostituisce il tribunale e il Parlamento, addomesticando il nostro consenso. I fini sono cambiati nel tempo ma lo strumento subdolamente adoperato per insinuare nella nostra vita sociale queste riforme del costume e del diritto è rimasto identico in tutte e tre le fasi: sempre e soprattutto l’intrattenimento. Sappiamo, dunque, che nonostante la sua apparenza innocua, o proprio grazie a essa, l’intrattenimento, a differenza del divertimento, ci lascia quasi sempre peggiori di come ci ha trovati.

Una semplice rivoluzione
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