Informazione
È banale ricordare che i nostri bisnonni vivevano nel vuoto di informazioni, ignorando persino quello che accadeva nel paese vicino, mentre noi viviamo avviluppati in una matassa di informazioni planetarie, costretti quotidianamente a dipanarla, semplificarla, decodificarla. Comunichiamo con le parole, con le immagini, con il silenzio, con i mugugni, con i gesti, con gli occhi, con gli abiti, con gli odori, con i media.
Anche la vita delle api è basata su un continuo scambio di messaggi fatti di vibrazioni, profumi e danze. Tutta la complessa attività di un alveare è un capolavoro di informazioni con cui un’ape indica all’altra quanto nettare occorre alla regina, dove trovare il polline migliore, come difendersi dalle avversarie. Le api ci insegnano che dare e ricevere informazioni precise contribuisce all’armonia collettiva e alla felicità individuale.
Quanto a noi umani, il cammino della nostra civiltà coincide con il progressivo allargamento del nostro raggio di informazioni. La stampa con blocchi di legno risale alla Cina della Dinastia Tang (618-907) e il primo libro stampato è la traduzione in cinese dell’opera buddhista Sutra del Diamante (848 d.C.), tanto che i cinesi vantano la stampa come una delle loro quattro grandi invenzioni insieme alla carta, alla polvere da sparo e alla bussola. Bisognerà attendere il 1455 perché Gutenberg completi a Magonza la stampa a caratteri mobili della «Bibbia a 42 lettere». Ognuna di queste tappe provocò un salto epocale al nostro progresso consentendo una più rapida diffusione della cultura. Appena cinquant’anni dopo l’impresa di Gutenberg erano stati già stampati 50.000 titoli per un complesso di 12 milioni di copie. Nel Cinquecento la sola Venezia contava 417 stampatori.
Oggi il telefono, la radio, la televisione, internet hanno conquistato un ruolo così determinante che molti connotano la nostra come «società dell’informazione». Per la prima volta nella storia, l’abbondanza e la velocità dei messaggi ci pone di fronte a un problema inedito: in passato soffrivamo per carenza, oggi soffriamo per eccesso di messaggi. Nella confusione determinata dall’esuberanza informativa, si salva dallo squilibrio solo chi è dotato di una solida cultura, che gli consente di selezionare le informazioni giuste, di metabolizzare e valorizzare solo quelle utili.
Di qui l’ascesa di una figura professionale – il giornalista – che non esisteva fino al Settecento e che in due secoli si è guadagnata una posizione preminente nel mondo moderno: ha creato un livello culturale intermedio tra l’accademico e il lettore. Mentre l’accademico dedica tutta la sua vita allo studio approfondito di un tema, e ne informa i suoi lettori, interessati allo stesso tema, con volumi ponderosi e teorie approfondite ed esaustive, il giornalista, anche quando è specializzato in determinati campi come l’economia o i fatti giudiziari o la politica estera, tratta ogni giorno temi diversi e traduce in un articolo le informazioni e le impressioni del momento. L’accademico trivella la realtà, il giornalista la sorvola. Ma poiché tutti leggono assiduamente gli articoli dei giornalisti e pochissimi leggono i saggi degli accademici, uno strato di conoscenza approssimativa, spesso più pericolosa dell’ignoranza, si è adagiato sul tessuto sociale conferendogli una patina traslucida di presunta informazione che, all’assenza di cultura, ha aggiunto la pretesa di essere colti.
Accanto al ceto dei giornalisti si è formata una nuova élite costituita dagli opinion leaders, che guidano le masse con il loro carisma, indicando quali informazioni accogliere e quali rigettare. In un Paese a forte esposizione mediatica, un reality show come Grande fratello può evocare dall’anonimato nuovi soggetti e nuove categorie sociali; una buona campagna elettorale può determinare le sorti di un partito; una campagna scandalistica può rovinare la reputazione e la carriera di un malcapitato. Il presidente del Consiglio Giulio Andreotti arrivò a definire il sempiterno talk show italiano Porta a porta come «terzo ramo del Parlamento».
Nel Settecento Montesquieu dimostrò con il suo capolavoro Lo spirito delle leggi che la democrazia si salva separando nettamente il potere legislativo da quello esecutivo e da quello giudiziario. Se vivesse oggi, il grande pensatore francese raccomanderebbe di separare il potere mediatico da quello economico e da quello politico per non cadere in una dittatura postmoderna, tanto morbida quanto implacabile e capillare.
D’altra parte, la manipolazione delle notizie non è nata oggi. Quando, nel marzo 1815, Napoleone fuggì dall’isola d’Elba, il più famoso dei giornali francesi, «Le Moniteur», riferì gli eventi con questi titoli:
9 marzo Il mostro è fuggito dal luogo dell’esilio.
10 marzo L’orco di Corsica è sbarcato a Capo Juan.
11 marzo La tigre si è mostrata a Gap. Le truppe stanno avanzando da tutte le parti per arrestare il suo cammino. Egli concluderà la sua miserevole avventura tra le montagne.
12 marzo Il mostro è realmente avanzato fino a Grenoble.
13 marzo Il tiranno è ora a Lione. Il terrore sconvolge tutti alla sua comparsa.
18 marzo L’usurpatore ha osato avvicinarsi fino a 60 ore di marcia dalla capitale.
19 marzo Bonaparte avanza a tappe forzate, ma è impossibile che raggiunga Parigi.
20 marzo Napoleone arriverà domani sotto le mura di Parigi.
21 marzo L’Imperatore Napoleone è a Fontainebleau.
22 marzo Ieri sera Sua Maestà l’Imperatore ha fatto il suo ingresso pubblico ed è arrivato alle Tuileries. Niente può superare la gioia universale.
Solo un’informazione esauriente, fluida e corretta riesce a potenziare le energie di una società mettendole in relazione tra loro. Senza informazione nessun essere vivente può svilupparsi e nessun sistema sociale può funzionare. Ma quando, come oggi, l’informazione diventa un bombardamento eccessivo, l’equilibrio personale e quello sociale corrono seri pericoli. Ai cittadini occorre cultura ed esperienza per scegliere i messaggi giusti e scartare quelli superflui. Alla società occorre separare il potere mediatico da quello economico e da quello politico per salvare la democrazia.