DE ORIGINE ET SITU GERMANORUM LIBER. LA GERMANIA
1 Si intende la Germania magna (o transrhenana o barbara) contrapposta alla Germania romana, divisa nelle due province Germania superiore e Germania inferiore, a Ovest del Reno. Ora (vedi nota seguente) Tacito procede per rapide annotazioni, quasi mostrando fastidio per una descrizione troppo accurata. La Rezia non comprende solo Svizzera e Tirolo, ma anche i Vindelici della Baviera e il Norico. Alcune indicazioni utili a capire. La Pannonia era delimitata da Danubio e Sava. Col termine Sarmati, Tacito vuole indicare i popoli che si muovevano tra Vistola, Baltico, Volga e Ponto Eusino. I Daci erano stanziati nell’odierna Transilvania. I monti cui qui si allude sono la catena dei Carpazi. Il termine Oceano indica complessivamente l’Oceanus Germanicus (mare del Nord) e il Mare Suebicum (mar Baltico). Le guerre ricordate sono le campagne militari condotte tra il a.C. e il 16 d.C. da Druso, Tiberio e Germanico. Il Reno, a dire il vero, nasce dal gruppo del San Gottardo (Alpi Leponzie). Il giogo del gruppo dell’Abnoba è situato nella parte meridionale della Selva Nera.
2 Straordinario esordio della monografia tacitiana dedicata alla Germania e alle sue genti. Tacito con l’espressione Germania omnis dice subito di volersi ricollegare alla letteratura etnografica latina: si pensi al famoso incipit del De bello Gallico, ma anche a Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, IV, 105). Subito però fa intendere l’impasto e la grana del suo discorso. Vuole isolare nella mente del lettore una sorta di terra mitica (anche se ben presente e reale): i due grandi fiumi (la cui descrizione, sommaria ma efficacissima, gioca tutta sulla contrapposizione dei luoghi della loro origine); l’audace unione di un dato psicologico e di un rilievo geografico (mutuo metu aut montibus: la sottolinea una allitterazione che sta a suggerire come dati fisici e dati morali si mescoleranno spesso in quanto il lettore sta per apprendere); il forte richiamo alla storia di Roma tutta affidata a un verbo descrittivo e quasi pittorico (quos bellum aperuit).
3 Tuistonem è da collegarsi al numerale zwei (con allusione alla sua natura androgina). Mannus è invece collegato a Mann (uomo).
4 Gli Ingevoni erano le popolazioni (tra loro i Cimbri e i Teutoni) stanziate tra Jutland e costa baltica. Gli Erminoni stavano tra Elba e Reno: sono gli Svevi, i Cherusci, i Catti. Gli Istevoni erano forse i popoli della Renania di cui parla anche Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, IV, 100).
5 I Marsi erano stanziati tra i fiumi Rura (oggi Rhur) e Lupia (oggi Lippe); i Gambrivii erano forse i Sigambri; i Vandali stavano tra Oder e Vistola.
6 Il termine compare in Roma, a dire il vero, ai tempi di Silla e dunque molto più di un secolo prima di quando Tacito scrive. Quello che segue è un brano controverso e tormentato. Eccone il senso generale: col nome di Germani si indicavano in principio solo i Tungri. Quando costoro invasero la Gallia, i Galli (indotti dalla paura: ob metum) diedero alle popolazioni germaniche il nome dei loro vincitori. Poi gli stessi Germani si appropriarono di quel nome.
7 Il soggetto di memorant è il quidam del capitolo precedente, a dire il vero.
8 Qui è forse da ravvisare qualcosa di più della consueta tendenza a dare nomi di divinità classiche a divinità locali (Ercole potrebbe essere il dio Donar): Ercole è anche l’eroe più celebrato e ogni parte del mondo ha ospitato una sua qualche impresa.
9 barditum: è tramandata anche la forma barritum/baritum. Convince poco l’accostamento al termine celtico che indica il cantore, vale a dire bardo.
10 Oggi Burgfeld (presso Mòrs in Renania) o forse Asberg.
11 Forse appartengono invece a quell’alfabeto etrusco che Mommsen chiama etrusco settentrionale.
12 serratos bigatosque: sono le monete con l’orlo dentellato a mo’ di sega (serra) e quelle che recavano impressa una biga montata dalla Vittoria.
13 La civitas era divisa in pagi e ogni pagus era a sua volta diviso in vici.
14 Tacito vuole dire che questi gruppi di giovani erano chiamati i cento, e quindi il numero, da fatto puramente tecnico, diventa appellativo onorifico (e titolo di vanto per chi vi appartiene).
15 Si tratta dunque di cariche, in qualche misura, elettive: e i capi non erano dotati di potere assoluto o ereditario.
16 Effigiesque et signa: il primo termine indica le immagini di animali, forse consacrati a qualche dio; il secondo indica le insegne e i simboli connessi col culto di qualche divinità (confronta Historiae, IV, 22).
17 Apparteneva alla stirpe dei Bructeri ed era al centro di un vero e proprio culto. Altissimo era il suo potere: Tacito ce ne parla nel IV e V libro delle Historiae (rispettivamente 61, 65 e 22, 24). Nel 70 fu condotta prigioniera a Roma ed è probabile che in quell’occasione Tacito l’abbia vista personalmente (anche se il vidimus qui usato non è decisivo visto che Velleda dopo la sua deportazione a Roma aveva perso qualsiasi aura di divinità cui qui si allude esplicitamente).
18 I Germani, dunque, non si comportavano come i Romani che per volgarissima piaggeria deificavano molte donne della famiglia imperiale (ad esempio Drusilla, sorella di Caligola, e Poppea, moglie di Nerone).
19 Molti elementi conducono a identificare Mercurio col germanico Wodan. Non solo infatti le due divinità recano elementi iconografici molto simili (il petaso e il caduceo), ma si annettono loro anche l’invenzione della scrittura e il patrocinio del commercio.
20 concessis animalibus: potrebbero essere animali prescritti per i riti sacri ma probabilmente (e più semplicemente) si vuole dire che Ercole e Marte non ricevono sacrifici umani. Ercole è naturalmente Donar e Marte è da identificarsi col dio germanico Tiu.
21 Difficile l’identificazione. Forse si tratta di Frigg/Freyr, moglie di Wodan. Potrebbe però essere anche la Nerto di cui si parla al capitolo 40 o Nehalennia, venerata nell’isola di Walcheren (nell’odierna Olanda).
22 La chiusura del capitolo si collega a quella del capitolo precedente e in qualche modo la completa e la precisa. In contrapposizione sono due diverse visioni del divino e del metafisico: strumentale, dominata dall’adulazione, puramente esteriore quella romana; improntata a fede e devozione quella pagana (anche se, come abbiamo visto, non mancano i sacrifici umani). Si consideri come Tacito, per conferire tensione al confronto, indichi le divinità germaniche unicamente con il loro nome latino.
23 Cioè: il responso favorevole delle sortes deve trovare conferma in quello degli auspicia, come Tacito si appresta a raccontare.
24 Tacito spiega subito dopo il perché di iniecta insuper crate: la scomparsa fisica del reo è funzionale a tutto il quadro.
25 Si ripropone qui la distinzione tra scelus eflagitium: il primo termine indica i delitti contro le leggi, il secondo i delitti contro la morale comune (corpore infames). Delictum (confronta il successivo levioribus delictis) è invece termine generico e onnicomprensivo.
26 Mi pare evidente che non si tratta di una scorta di cento persone che questi principes si portano dietro, ma di una sorta di senato locale, magari designato dallo stesso princeps. Traduco di conseguenza. Quanto ai principes essi sono sicuramente cosa tutta diversa dai principes capi politici e militari di cui si parla nei due capitoli seguenti.
27 Si noti l’insistenza di Tacito. Ormai il lettore è avvisato: ogni volta che, implicito o evidente, si pone un paragone con la realtà romana, questa risulta perdente, attestata su posizioni di puro formalismo, coagulata attorno a riti ormai privi di ogni significato (come l’imposizione della toga virile).
28 Passo controverso. Con Koestermann accetto non tra parentesi quadre per sanare il contrasto tra quanto afferma qui Tacito e quanto afferma Cesare a proposito della centralità della caccia nella vita dei Germani (De bello Gallico, VI, 21).
29 Le rive sono quelle di Reno e Danubio. Tacito dice che chi abita fuori dalle rotte commerciali dei mercanti romani deve curare l’eleganza di quello che possiede, rinunciando a quegli abbellimenti che invece i popoli rivieraschi possono facilmente acquisire.
30 L’espressione indica complessivamente il mare del Nord e il mare Baltico. Per il resto non è chiaro se Tacito voglia alludere a mostri marini veri e propri o ad animali provenienti da isole. (E serve ricordare che la Scandinavia era nota come isola alla geografia del tempo.)
31 Cioè: nonostante le nudità appena descritte.
32 Tacito qui fraintende. La donna, col matrimonio, passava dalla tutela o potestà del padre a quella del marito. Costui acquistava tale diritto pagandolo mediante il mundio.
È il mundio che Tacito chiama impropriamente dote.
33 E dunque le vedove non si risposano. Per capire, il lettore deve collocare il discorso di Tacito nell’ambito del continuo paragone tra la società germanica dominata da una rigorosa morale e quella romana in cui tutto era ormai ridotto a commercio: il matrimonio non faceva eccezione.
34 È lo stesso rilievo fatto nei riguardi dei Giudei; ma lì il contesto e il senso generali sono affatto diversi (Historiae, V, 5).
35 Solo i nati liberi prestano infatti servizio militare; in questo senso aetas separet ingenuos. Ma Tacito aggiunge subito una forte e incisiva annotazione morale, quasi a dire: «Non esistono davvero uomini liberi se non è segnato dalla nobiltà anche il loro mondo morale».
36 Vale la pena di ricordare che il diritto germanico fa prevalere il diritto della famiglia secondo la gradualità nel subentrare all’eredità di cui parla qui Tacito. Per il diritto romano, che privilegiava su ogni altra cosa il volere del defunto, valeva esattamente l’opposto.
37 Il capitolo (conclusivo rispetto ai precedenti) dispiega più di un motivo polemico. Momento culminante è dato dall’epifonema nec ulla orbitatis pretia grazie al quale tornano alla mente le mille situazioni in cui allignano e prosperano i cacciatori di testamenti e di moribondi senza eredi (memorabile la quinta satira del secondo libro oraziano). E inoltre: le madri non affidano i figli all’allattamento altrui, le fanciulle non vengono sospinte innanzi tempo al matrimonio, la virilità è splendida, inesausta e non consunta e minata da una prematura attività sessuale. In filigrana è tutto il desolato panorama dello scaduto e snervato mondo morale romano.
38 Cioè: dove vige un tipo di rapporto dominato dalle iniziative dei singoli o dei gruppi e l’autorità dello Stato è lontana o inesistente. Quanto all’istituto di cui si parla in questo passo, si tratta del Wergeld, il guidrigildo che estingue la faida.
39 Cioè: non si mette a fare calcoli su ciò che Ha dato e non mette conto di poter accampare dei diritti e ricavare degli utili in futuro.
40 Non astuta nec callida: solo apparentemente due sinonimi. Il primo termine si riferisce all’astuzia naturale, il secondo a quella che si forma con l’esperienza: la distinzione ha, come spesso in Tacito, anche una valenza morale sottolineata da adhuc che fornisce un segnale preciso: «Non eravamo ancora giunti noi Romani ad insegnare a celare i veri pensieri».
41 È la birra, naturalmente. Da notare che questa bevanda ha in latino un suo nome specifico usato già da Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, XXII, 164), vale a dire cervisia, termine che ha avuto fortuna in area spagnola (cerveza).
42 È la danza delle spade, fortemente connessa all’intrepido spirito guerriero dei Germani.
43 Dalla vergogna di essere entrato in possesso di uno schiavo in questo modo, e non mediante un atto di valore militare. Il taglio dell’esame tacitiano è ancora una volta morale: anche se reca un qualche fastidio il fatto che il gioco sia preso tanto seriamente da onorare : debiti pagando con la propria persona, Tacito non può fare a meno di notare il nobile e fiero imbarazzo di chi vince.
44 Sono i servi casati, sorta di servi della gleba, dotati di una qualche libertà ma obbligati a prestazioni in natura e lavoro.
45 È questo uno dei passi che meglio caratterizzano l’opera. I liberti non hanno presso i Germani l’influenza che hanno nel mondo romano. Vale la pena di ricordare che lo strapotere dei liberti fornisce persino una chiave di lettura non secon daria di Annales e Historia e in cui l’analisi politica e la tensione etica di Tacito connettono esplicitamente la decadenza della res publica al ruolo preponderante dei liberti. Tacito insiste, in questo passo: è nell’ambito di una monocrazia che trova spiegazione l’ascesa dei liberti. Il vibrante epifonema impares libertini libertatis argumentum sunt (tutto giocato sull’allitterazione centrale) riassumeamaramente ogni cosa.
46 Sembra dunque che non esista proprietà privata per il fatto che c’è grande disponibilità di terreno e perché, soprattutto i nobili, non sono particolarmente inclini a faticare sui campi. Del resto si dichiara subitp di che tipo di coltivazione si tratta: né estensiva, né intensiva, né specializzata. È una agricoltura primitiva, di pura sussistenza.
47 Continua, naturalmente, il paragone implicito con l’inutile sfarzo romano; ma qui il lettore colga anche la poetica coerenza con quanto ha detto Tacito al capitolo 9 sul fatto che i Germani non costruiscono templi perché non si possono costringere gli dèi entro quattro mura.
48 Tacito marca in questo modo (si tratta praticamente anche della metà fisica dell’opera) il passaggio dalla prima alla seconda parte: dopo l’ampia introduzione generale (capitoli 1-27), una trattazione popolo per popolo (capitoli 28-46).
49 Hercyniam silvam: è la regione compresa tra il Reno e i Carpazi. La perifrasi tacitiana restringe questo ampio territorio alla sua parte occidentale (a grandi linee l’attuale Baden).
50 Gli Elvezi sono di origine celtica. Ai tempi di Cesare erano stanziati tra l’alto Reno, il Giura, il lago di Ginevra e l’alto Rodano. I Boi stanno al di là (ulteriora) della zona appena indicata (odierne Baviera e Boemia). Sono pure di origine celtica; parte di loro andò ad occupare la zona cui lasciarono il loro nome (1 odierna Boemia, appunto), parte si stanziò nella pianura padana lasciando in Bononia (Bologna) un toponimo altrettanto trasparente.
51 Gli Aravisci sono una popolazione illirica stanziata sulla riva destra del medio Danubio; gli Osi sono stanziati su quella sinistra, a Nord-est dei primi.
52 Ecco i popoli germanici immigrati nelle Gallie. I Treviri avevano la loro sede sulle due rive della Mosella (corso medio e inferiore). La loro capitale era Augusta Treverorum (oggi Treviri). I Nervii erano stanziati tra Schelda e Mosa.
53 Ovviamente la riva sinistra.
54 I Vangioni abitavano attorno a Borbetomagus (Worms), i Nemeti attorno a Noviomagus (Spira/Speyer), i Triboci attorno a Breucomagus (Brumath) e Argentoratus (Strasburgo).
55 Gli Ubii, anticamente stanziati sulla riva destra del Reno, erano stati attaccati dagli Svevi. Aiutati da Cesare, erano rimasti sempre fedeli a Roma. Sotto Augusto erano passati sulla riva sinistra ed erano divenuti difensori dell’impero. La loro capitale, Oppidum Ubiorum, divenne, nel 50 d.C., Colonia Agrippinensis (Colonia Claudia Augusta Agrippinensium e oggi Colonia/Köln), in onore di Agrippina, figlia di Germanico e moglie di Claudio.
56 I Batavi erano stanziati presso le foci della Mosa e del Reno. Il Reno si divide in due bracci, uno settentrionale e uno meridionale (Vacalus/Waal): il territorio compreso tra di essi e il mare si chiama appunto insula Batavorum. Passando dalla riva destra alla riva sinistra del Reno, si erano staccati dai Catti: l’evento accadde certamente prima dell’impresa di Cesare.
57 Sono gli appaltatori delle imposte pubbliche, famosi per i loro metodi spesso violenti e vessatori.
58 Anche i Mattiaci erano una tribù dei Catti. Erano stanziati vicino al monte Taunus con capitale Mattium (Maden).
59 La riva destra del Reno.
60 I campi decimati o decumati erano territori in cui gli abitanti erano assoggettati a pagare la decima parte dei raccolti con cui venivano mantenute le legioni stanziate a difesa del limes. Comprendevano il territorio tra Meno, Reno e Danubio che corrisponde agli odierni territori di Baden e Württemberg.
61 Si tratta del limes Germanicus e del limes Raeticus, lunghi circa 460 chilometri.
62 È la Germania superior.
63 I Catti, insomma, sanno organizzare e programmare intere campagne militari e non soltanto singole battaglie.
64 Gli Usipi abitavano sulla sponda destra del basso corso del Reno tra l’Yssel e la Rhur; una coorte di Usipi militava in Britannia tra le truppe ausiliarie di Agricola; più a Sud degli Usipi erano i Tencteri, fino al Lahn.
65 Erano stanziati a Nord dei Tencteri tra il corso superiore della Lippe e l’Ems. Parteciparono alla rivolta dei Batavi e Velleda, la profetessa più volte citata da Tacito nelle Historiae e nella Germania, era della loro stirpe.
66 Il passo ci restituisce, dopo il Tacito austero moralista, il Tacito politico animato da un grande pessimismo sulle sorti dell’imperium. Quando egli scrive, la pressione germanica sul limes desta grandissime preoccupazioni: la sua analisi degli eventi lo porta a dire che le speranze romane risiedono principalmente nelle discordie esistenti tra i nemici, inevitabilmente costretti a indebolirsi reciprocamente. Si notino i termini che ruotano attorno allo spectaculo (!) di nemici che si ammazzano tra loro: favore quodam... deorum... quod magnificentius est, oblectationi oculisque. E poi tutto il periodo finale che un po’ è auspicio, un po’ è preghiera. Camavi e Angrivari: i primi erano stanziati a occidente dell’Yssel proprio davanti all’insula Batavorum; poi si spostarono verso la Lippe e la Rhur. I secondi abitavano sulle rive del medio Visurgis (Weser): la disfatta di Varo avvenne sul loro territorio.
67 a tergo: in pratica a Est. I Dulgubini (o Dulgubnii) erano stanziati tra il Weser e il suo affluente Aller (Alara); sono nominati solo in questo luogo tacitiano. I Casuari erano a occidente dei Dulgubini, sulle rive dell’Hase, affluente dell’Ems.
68 La regione in cui abitavano, tra Oceano, mare del Nord, fiume Ems, si chiama ancor oggi Frisia. Popolo estremamente bellicoso e mai domo, fu sottomesso una prima volta da Druso nel 12 a.C. Quarantanni dopo si ribellarono e solo Corbulone, nel 47 d.C., seppe riportare su di loro dei successi che furono soltanto parziali perché nel 69 erano con Civile nella insurrezione antiromana (vedi Historiae, IV, 15). Sono distinti in maggiori e minori (maioribus mino ribus que), secondo Tacito, sulla base della loro forza politica e militare. I primi abitavano a Est dell’Yssel, i secondi a Ovest.
69 Il Flevo era il più esteso di questi laghi, collegati fra loro e col Reno dalla fossa drusiana, fatta costruire da Druso. Quanto alle flotte romane, bisogna ricordare le campagne militari di Druso (12 a.C.), Tiberio (5 d.C.), Germanico (15 d.C.). Non risponde dunque a verità quanto Tacito afferma subito dopo: mox nemo temptavit. Questi laghi furono nel 1287 cancellati da una irruzione del mare che formò l’attuale Zwider-See.
70 È Nero Claudius Drusus, figliastro di Augusto (38 a.C-9 d.C.). Era fratellastro di Tiberio ed era soprannominato Germanico. Non va confuso col figlio che ebbe lo stesso soprannome.
71 Erano stanziati tra mare del Nord, l’Ems e l’Elba. Il Weser li divideva in malore s e minores.
72 Si intenda: verso Sud-est.
73 Erano di stanza nel cuore della Germania tra il Weser e l’Elba, sotto il Melibocus mons (Harz). Erano stati protagonisti assoluti della vittoria su Varo nella selva di Teutoburgo (9 d.C.). In latere: l’espressione è generica e frettolosa: i Cherusci sono a Sud-est rispetto ai Cauci e a Nord-est rispetto ai Catti.
74 Appaiono solo in questa citazione tacitiana. Di stanza, forse, sulla Fuchse/Fuse, piccolo affluente dell’Aller.
75 in septentrionem ingenti flexu redit aveva detto Tacito descrivendo, in apertura del capitolo 35, la conformazione della Germania. Allude in questo modo alla penisola dello Jütland chiamata Chersonesus Cimbrica.
76 Si intende del Reno.
77 A dire il vero, il 641 (113 a.C.).
78 Il 98 d.C.
79 Arsace fu fondatore della dinastia che regnò sui Parti dal 256 a.C. al 226 d.C.: dunque mezzo millennio e dire regno Arsacis equivale ad indicare il popolo intero dei Parti.
80 M. Licinio Crasso fu sconfitto e ucciso a Carré nel 53 a.C. dal re dei Parti Orode I, che era destinato a perdere il proprio figlio Pacoro ad opera di Ventidio. L’accenno a costui suona spregiativo: P. Ventidio Basso, nonostante fosse di infima condizione, era stato innalzato da Cesare fino alle dignità consolare e senatoria. Insomma, tutto il discorso suona così: la resistenza alla conquista romana da parte dell’Oriente non è paragonabile a quella germanica. Infàtti i Parti hanno sì sconfitto Crasso, ma hanno pagato con la vita del figlio del loro re e soprattutto sono stati sconfitti da un villano rifatto.
81 Ecco dunque l’elenco delle sfortunate campagne militari romane: Gn. Papirio Carbone fu vinto dai Cimbri a Noreia (Neumarkt) nel Norico nel 113 a.C.; L. Cassio Longino fu sconfitto e ucciso nel 107 a.C. per opera dei Tigurini, alleati dei Cimbri; M. Aurelio Scauro fu vinto e ucciso dai Cimbri di Boiorige in Gallia nel 105 a.C.; lo stesso re Boiorige sconfisse in quel medesimo anno 105 G. Servilio Cepione e Gn. Mallio Massimo ad Aurasio (Orange). Da notare che Tacito avrebbe potuto allungare il suo elenco citando anche la sconfitta subita, sempre ad opera dei Cimbri, nel 109 da M. Giunio Silano. Infine ancora un’allusione alla sconfitta di Teutoburgo subita da Varo nel 9 d.C. Si noti la voluta contrapposizione tra i quinque consularis exercitus strappati al popolo romano e le tris legiones strappate a Cesare.
82 Si citano Druso Germanico, Tiberio (Tiberio Claudio Nerone) e Germanico figlio di Druso: fra l’altro, costui, in tre spedizioni, tra il 14 e il 16 d.C., vendicò Teutoburgo, sconfiggendo Arminio e seppellendo i resti dei soldati romani di Varo.
83 Allusione alla farsesca campagna di Caligola contro i Germani nel 39; Caligola osò celebrare il trionfo conducendo a Roma dei Galli e spacciandoli per Germani.
84 È la distruzione di Castra Vetera, durante la sollevazione di Claudio Civile (confronta Historiae, IV, 18), favorita dalla grave crisi politica dell’anno 69.
85 Nell’83 Domiziano celebrò un trionfo sui Germani, ma in realtà non era riuscito a sconfiggerli.
86 Incomincia con questo capitolo una sezione interamente dedicata agli Svevi e destinata concludersi al capitolo 46. Svevi è termine generico che designa le popolazioni stanziate tra Elba, Vistola, Danubio e Mar Baltico; sono genti affini ma non un unico popolo (non una ... gens).
87 Il testo latino è esplicito (ut ament amenturve) ma intraducibile. Uso una larga perifrasi.
88 Erano stanziati a Est dei Cherusci tra il medio corso dell’Elba (Albis) e l’Oder (Viadrus).
89 La Semana Silva tra i fiumi Schwarze Elster e Spree. Ma potrebbe trattarsi, secondo alcuni, di un riferimento generico secondo quanto affermato al capitolo 9, ma ciò appare in contrasto con ciò che si dice dopo (inde initia gentis...) e che sembra alludere a un luogo ben determinato.
90 Sono la popolazione che, dopo alterne vicende, invase, a partire dal 568, l’Italia. Al tempo della descrizione tacitiana erano stanziati tra il corso inferiore dell’Elba e l’Aller (odierno Lüneburger Heide).
91 Solo gli Anglii e i Varini (tra questi sette popoli tutti accomunati dal culto della dea Nerto) ci sono noti per altre testimonianze. Gli Anglii occupavano la regione che Beda chiama Angulus (Angeln) tra Schleswig e Flensburg; verso la metà del v secolo mossero con altre tribù alla conquista della Britannia. I Varini erano stanziati nella parte settentrionale dello Schleswig e in quella meridionale dello Jütland. I Reudigni abitavano forse la riva destra dell’Elba, i Suardoni forse alla foce dello stesso fiume. I Nuitoni erano a Nord-est dei Suardoni, a ridosso del mare. Gli Eudosi abitavano nello Jütland e gli Avioni nelle isole a Ovest dello Jütland.
92 Era una divinità che presiedeva alla fertilità della terra. Aveva due figli, Freyr e Freya, accostabili ad Apollo e Venere. Un po’ tutto giustifica l’avvicinamento di Nerto a Cibele.
93 Difficile l’identificazione anche perché il riferimento è genericissimo (Oceanus Germanicus o Mare Suebicuml): per qualcuno è l’isola di Rügen (Rugia), per altri l’isola di Alsen, rispettivamente a Est e a Ovest dello Jütland.
94 Il bosco o, forse, il carro medesimo.
95 Cioè al bosco stesso.
96 Sono il popolo noto, a partire dal v secolo, come Turingi. Erano stanziati nelle odierne Turingia e Baviera tra il Danubio e il medio corso dell’Elba.
97 Augusta Vindelicorum (Augsburg).
98 L’Elba nasce, in verità, molto più a oriente. L’apposizione (flumen inclutum...) allude alla decisione ormai consolidata di tenere il confine sul Reno dopo che l’Elba (e il suo bacino) aveva visto le campagne di Druso (9 a.C.), di L.Domizio Enobarbo (che nel 2 a.C. varcò il fiume), di Tiberio (5 d.C.).
99 I Naristi erano stanziati a Sud-est degli Ermunduri tra Danubio e Fichtelgebirge. I Marcomanni (il cui nome significa uomini del confine) abitavano la Boemia tra Danubio e alto corso del Meno. I Quadi erano stanziati nell’attuale Moravia a Sud-est dei Marcomanni.
100 Maroboduo è ampiamente citato da Tacito nel secondo libro degli Annales (capitoli 44 ss., 62 ss.): educato a Roma, aveva fondato una confederazione molto forte in Boemia. Morì a Ravenna nel 37 d.C., dopo essere stato sconfitto prima da Arminio e poi da Catualdo, re dei Gotoni. Di Trudo abbiamo solo questa citazione tacitiana.
101 I Marsigni, probabilmente stanziati nella Boemia settentrionale, sono ricordati solo qui. I Cotini/Gotini erano stanziati probabilmente nella Slesia superiore. Gli Osi, a Sud dei Cotini, erano probabilmente di ceppo non germanico. I Buri abitavano presso le sorgenti della Vistola; appartenevano al gruppo dei Lugi, nominato in questo stesso capitolo.
102 Uno dei lavori più spregiati dai Romani, il lavoro servile per eccellenza.
103 Gli attuali Riesengebirge e Sudeti.
104 Per i Lugi, in guerra contro i Quadi, confronta Annales, XII, 29 e 30. Tutti gli altri nomi hanno solo questa citazione tacitiana: si tratta di popoli probabilmente tutti disseminati lungo il corso della Vistola.
105 Sono i Goti. Stanziati lungo il corso inferiore della Vistola (dove erano arrivati dalle sedi originarie della Scandinavia), si divideranno dopo il il secolo in Ostrogoti e Visigoti.
106 I Rugi erano stanziati presso le foci dell’Oder, in Pomerania. I Lemovii sono ricordati solo qui.
107 Ricordiamo che la Scandinavia era ritenuta un’isola. Suioni è il nome antico degli Svedesi.
108 La ricchezza è indissolubilmente legata, nell’analisi tacitiana, alla stratificazione sociale e all’imporsi di un vertice assoluto.
109 È il nostro Oceano Glaciale Artico.
110 Il nome rimane nell’odierna Estonia. Gli Estii erano stanziati tra la foce della Vistola e la parte meridionale del golfo di Finlandia. Erano forse gli antenati dei Prussiani, dei Lituani e Lettoni. La lingua che parlano è, come dice subito dopo Tacito, una lingua celtica. In realtà quelle popolazioni parlavano il baltico conservato ancor oggi dal ramo letto-lituano (mentre l’altro ramo, l’antico prussiano, è estinto).
111 Il termine latino per indicare l’ambra (sucinum) viene connesso al lituano sàkas che vuol dire resina, ma anche a sucus. Invece glesum/glaesum viene collegato all’antico tedesco glas, vale a dire vetro.
112 Forse di origine finnica, sono nominati solo qui.
113 I Peucini traevano forse nome dall’isola di Peuce, situata alla foce del Danubio da cui si espansero fino al Dnjestr. I Veneti/Venedi erano un popolo slavo stanziato a Nord dei Peucini, sulla riva destra del medio corso della Vistola. I Fenni (corrispondenti ai Finni) erano stanziati a Nord-est della Germania sveva, a Nord dei Veneti sulle sponde orientali del mar Baltico.
114 Montagne che in questa zona non ci sono.
115 Forse Tacito avrebbe potuto concludere su questo fulminante epifonema che suggerisce chiave di lettura e registro dell’intera opera. Pur non riuscendo a celare il disprezzo per dei popoli miserabili (quasi a suggerire che lui per primo non riuscirebbe a vivere in simili condizioni), Tacito indica come esemplare uno stato di natura in cui si è conseguito l’alto obiettivo di non avere alcuna aspirazione. È la tragedia della rinuncia ad agire e della mancanza di ideali, è il lacerante e irrisolubile dissidio di chi vede la decadenza dei costumi e non sa indicare un ideale più ambizioso che la rinuncia a coltivare ideali.
116 Nominati solo qui.
DE VITA IULII AGRICOLAE LIBER. LA VITA DI GIULIO AGRICOLA
1 P. Rutilio Rufo di cui Cicerone (De natura deorum, III, 32) apprezza costumi e formazione culturale, scrisse la propria vita a Smirne, durante il suo esilio. Tacito lo cita anche in Annales, III, 66 e IV, 43.
2 M. Emilio Scauro, console per due volte (115 e 107 a.C.), scrisse una autobiografia citata da Cicerone (Brutus, 29). Da ricordare che egli di Rutilio Rufo (che lo aveva accusato di brogli elettorali) fu avversario: Tacito li accomuna nella citazione per sottolineare il sine grafia e ambinone di questo stesso capitolo.
3 Solenne, rigoroso esordio di Tacito. E dolente la sua parte: per formulare accuse non dovrebbe cercare indulgenza. Lo deve fare per citare un esempio di virtù. Virtus è parola chiave: ricorre, in questo primo capitolo, ben due volte al singolare (in accezione astratta: la virtù tout court) e una al plurale (in accezione concreta: gli atti virtuosi). La monografia su Agricola sarà il racconto della virtus nelle sue sfaccettature diverse. E in filigrana cogliamo il paragone (apud priores) con i tempi repubblicani in cui la virtù fioriva ed era logico, consequenziale raccontarla agli altri. Il capitolo che segue, straordinario e vibrante (e concluso da un epifonema – memoriam quoque ipsam cum voce perdidissemus... – che resta nella mente dei lettori della vita di Giulio Agricola) fornisce l’esemplificazione delle premesse generali tracciate dall’esordio; il tutto oggettivato da un legimus che consegna al lettore un austero senso del far storia.
4 Due episodi esemplari: Aruleno Rustico era tribuno della plebe quando, nel 66 d.C., si oppose alla condanna a morte pronunciata dal senato contro Peto Trasea. Domiziano, nel 94, lo mandò a morte quando scrisse un elogio di Trasea. La morte di Erennio Senecione è proposta in questa stessa monografia (capitolo 45).
5 Sono i triumviri capitales, magistrati di ordine inferiore. Il loro impiego è l’ultimo sfregio per i condannati: infatti avrebbero dovuto essere gli edili a distruggere le opere di Rustico e Senecione.
6 Accadde, nel 93, per ordine di Domiziano ai filosofi Epitteto e Artemidoro.
7 M. Cocceio Nerva, nativo di Nami in Umbria (32 d.C.), fu imperatore dal 18 settembre del 96 alla fine del gennaio 98. La breve durata del suo principato gli consentì delle riforme soltanto parziali, ma riuscì a inaugurare il sistema dell’adozione che portò al trono Traiano (vedasi nota seguente).
8 M. Ulpio Traiano succedette a Nerva da cui era stato adottato nel 97. Nel 91 era stato console. Esercitò il potere fino alla morte, nel 117.
9 Tanto era durato il principato di Domiziano: dall’81 al 96 d.C.
10 incondita ac rudi voce: certo meglio di una situazione che condanna gli intellettuali a vivere quindici anni per silentium.
11 Forum Iulii (Frejus), nella Gallia Narbonese. Era stata fondata nel 54 a. C. da Giulio Cesare.
12 Fu autore di due libri sulla cultura della vite, citati da Columella (I, 1, 14). Forse da questo amore per la vita agreste nasce il nome del figlio, Agricola.
13 M. Giunio Silano, console nel 19 d.C., nel 33 diede sposa la propria figlia Giunia Claudilla all’imperatore Caligola (Gaio Cesare appena citato): quando costei morì, Caligola cominciò ad avversare il suocero e lo costrinse a uccidersi.
14 G. Suetonio Paolino fu legato in Britannia dal 59 al 61, biennio durante il quale Agricola militò sotto di lui. È più volte citato da Tacito (ad esempio: Annales, XIV, 29, 34, 36, 37, 39; Historiae, I, 87, 90; n, 23, 25, 32, 44, 60; XVI, 14).
15 I veterani furono uccisi a Camulodunum (Colchester), unica colonia romana in Britannia, nel 61; gli eserciti tagliati fuori sono di fatto la legione IX che cercava di andare in aiuto alla colonia.
16 Era figlia di Tito Domizio Decidio, già pretore sotto Claudio. Il riferimento successivo ai vantaggi del matrimonio è da collegarsi non solo alla crescita del giro di relazioni, ma anche alle facilitazioni con cui la legge Papia Poppea favoriva gli ammogliati, soprattutto se si aggiungeva presto la figliolanza.
17 L’Asia gli toccò per sorteggio nel 63. Entrò dunque alle dipendenze di L. Salvio Otone Tiziano, fratello maggiore dell’Otone imperatore nel 69. La sua vicenda personale e pubblica è raccontata diffusamente da Tacito nei primi due libri delle Historiae.
18 Che sarà la moglie di Tacito.
19 Solo due dei pretori (che arrivarono anche ai numero di diciotto) cioè l’urbanus e il peregrinus avevano la iurisdictio, vale a dire amministravano la giustizia. Agli altri competevano funzioni amministrative anche di modesta rilevanza.
20 Albium Intimilium (Ventimiglia) era colonia marsigliese. La rappresaglia avvenne per punire Mario Maturo, procuratore delle Alpi Marittime, che si era opposto agli Otoniani.
21 Licinio Crasso Muciano fu tra i promotori massimi del principato di Vespasiano. Da lui inviato in Italia, resse il potere e il primo dei suoi problemi consistette nell’arginare il giovane ma intempestivo Domiziano.
22 Era la Valeria Victrix, una delle quattro di stanza in Britannia.
23 Aveva fatto esperienza qualche anno prima (nel 62) sotto Corbulone in Armenia; poi era stato console aggiunto e Vitellio lo aveva nominato governatore della Britannia. Con Vespasiano sarebbe diventato proconsole d’Asia.
24 Aveva già esperienza della Britannia essendovi stato come legato pretorio della IX legione durante la sconfitta subita a opera dei Briganti nel 61. Partigiano di Vespasiano, ebbe il comando della campagna contro la rivolta batava di Claudio Civile che occupa la parte finale dei libri da noi posseduti delle Historiae tacitiane.
25 Avvenne nel 73 d.C.
26 Dal 74 al 76.
27 Tacito aveva vent’anni, ma la sua futura sposa era appena tredicenne. Il matrimonio avvenne dopo pochi mesi in coincidenza con la partenza di Agricola per la Britannia tra il 77 e il 78.
28 Greci e romani: tra i primi Pitea, Timeo, Posidonio, Strabone, Diodoro Siculo; tra i secondi Cesare, Livio, Pomponio Mela, Fabio Rustico, Plinio il Vecchio.
29 Comincia qui una lunga digressione sulla Britannia che occuperà la narrazione fino al capitolo 17. Lunga e, anzi, eccessiva secondo qualcuno. Pare a me che la descrizione di questa isola e della sua gente (assieme all’excursus storico dei tentativi di assoggettamento) creino un preciso clima morale. Non solo, per certi aspetti, la descrizione della Britannia richiama quella della Germania (con le contrapposizioni tra realtà romana e realtà germanica), ma anche tutto appare funzionale all’apparizione su quello scacchiere politico di Giulio Agricola. La sua missione politica diventa una sorta di culminazione degli eventi, di svolta della storia. E la grandezza del personaggio ne risulta ulteriormente accresciuta.
30 Amico di Seneca, scrisse, al tempo di Vespasiano e Tito, una storia dell’età di Claudio e di Nerone con riferimenti alla Britannia.
31 Una delle Shetland, forse Mainland, forse Unst.
32 Abitavano la parte meridionale del Galles ed erano ferocemente ostili ai Romani.
33 Sono gli abitanti della Britannia meridionale assoggettati da Claudio nel 43 d.C.
34 Un concetto analogo (la divisione dei nemici è il miglior alleato dei Romani) Tacito lo aveva espresso nel capitolo 33 della Germania. Lì il contesto è anche più amaro e perfino sarcastico; qui prepara le corrosive considerazioni sulla ricchezza che caratterizzano la seconda parte del capitolo (aurum et argentum ... pretium victoriae;... naturam margaritìs deesse quam nobis avaritiam).
35 Passo di assoluta oscurità. Diverse le interpretazioni tentate, ma si può capire che qui Tacito, messo nella necessità di spiegare il sole visibile durante la notte, arzigogola una spiegazione fantastica e non convincente: queste tene sono molto basse e dunque non producono grandi ombre. Quando il sole vi transita le tenebre non si possono levare alte e rimangono rasenti al terreno senza arrivare a oscurare il cielo.
36 Le due spedizioni di Cesare in Britannia avvennero nel 55 e nel 54 a.C.
37 Tacito non menziona o non ricorda che Augusto tra il 27 e il 26 a.C. curò i preparativi per una campagna britannica (confronta Orazio, Carmina, I, 35, 29-30; III, 5, 3). Quanto al praeceptum ricevuto da Tiberio, è certo che egli ereditò la preoccupazione prioritaria della pressione germanica diventata assillante, per Augusto, dopo il 9 d.C., vale a dire dopo Teutoburgo.
38 Singolare il racconto che Suetonio, al capitolo 46 della vita di Caligola, ci fa del tentativo effettuato dall’imperatore nel 40. Caligola aveva riunito flotta ed esercito sulle coste della Gallia ma l’impresa produsse solo l’erezione di un faro e una ridicola raccolta di conchiglie ordinata dall’imperatore ed effettuata dai soldati lungo la spiaggia.
39 L’impresa avvenne nel 43. Claudio vi prese parte personalmente assieme al console Aulo Plauzio, assistendo anche alla battaglia del Tamigi e alla presa di Camulodunum (Colchester).
40 Fu console aggiunto nel 29 d.C., poi legato in Pannonia sotto Claudio dal 39 al 42. Fu poi legato consolare in Britannia dal 43 al 47.
41 Publio Ostorio Scapola fu il legato che vinse Carataco, principe dei Siluri e ne ebbe le insegne del trionfo. In Britannia morì nel 51.
42 Coloniae Castrum, poi divenuta Camulodunum (Colchester).
43 A. Didio Gallo vincitore, nel 46, di Mitridate, re del Bosforo e poi proconsole d’Asia.
44 Quinto Veranio, sodale di Germanico, fu tribuno della plebe nel 41 e console otto anni dopo. Fu legato consolare in Britannia fra il 58 e il 59.
45 Per Tacito e per Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, II, 75, 77) è Anglesey, centro del culto druidico e rifugio di ogni ribelle a Roma; ma per Cesare (De bello Gallico, V, 13) insula quae appellatur Mona è l’isola di Man.
46 Moglie del re degli Iceni, Prasutago, viene da Tacito presentata come un simbolo di coraggio e fermezza. Patì il supplizio e le sue figlie furono stuprate. Tacito racconta la sua morte negli Annales (XIV, 37).
47 Missus igitur: per sottolineare il rapporto di causa ed effetto voluto dall’igitur, bisogna ricordare che, come narra Tacito (Annales, XIV, 38) il procuratore Giulio Classiciano era in dissidio con Suetonio Paolino, il quale aveva prontamente interrotto la campagna nell’isola di Mona ed era andato a combattere, con la legione XIV, la battaglia di Londinium (Londra). Giulio Classiciano prima aveva sobillato i Britanni e poi aveva sollecitato Roma a mandare un legato meno arrogante. Così fu inviato Petronio Turpiliano che governò dal 61 al 63, ristabilendo l’ordine. Particolarmente in auge sotto Nerone che gli concesse le insegne trionfali pur non avendo riportato alcun significativo successo, fu messo a morte da Galba.
48 Trebellio Massimo fu legato consolare in Britannia dal 63 al 69. Inetto e avido, fu costretto dal legato della XX legione, Roscio Celio, a cercar scampo presso Vitellio.
49 Evidentemente nel 68 e nel 69 da Roma arrivavano pochi ordini e nessun controllo.
50 I Briganti avevano per capitale Eburacum (York) ed erano stanziati nella parte settentrionale della Britannia a Nord dell’Humber fino all’istmo Tyne-Solway. Tacito cita spesso la romanzesca vicenda della regina dei Briganti, Cartimandua (Annales, XII, 36 e 40; Historiae, III, 45).
51 Giulio Frontino governò la Britannia fino al 77. È autore di tre libri, a noi pervenuti, di Strategemata e anche di due libri De acquae ductu urbis Romae (pure pervenuti), frutto della sua esperienza di curator aquarum.
52 Stanziati dal centro del Galles fino alla costa settentrionale, avevano davanti l’isola di Mona che, come è noto, era il focolaio di ogni insurrezione.
53 mare: altri intendono l’alta marea, cioè la protezione che realizza una condizione di alta marea.
54 luere pretio: non è chiaro cosa voglia dire qui Tacito. Di solito si rende con un riscattarsi mediante il pagamento ai una somma. A me pare che tutto il contesto voglia descrivere la condizione di chi deve riacquistare il grano di cui è stato espropriato in modo comunque vessatorio ed è costretto a considerare ciò una sorta di privilegio, per cui deve mortificarsi e sborsare anche una mancia.
55 Perché evidentemente aumentavano i passaggi di mano, le pratiche, le possibilità di imboscamento, i ritardi negli approvvigionamenti: tutti elementi che favorivano gli speculatori.
56 Siamo nel 79.
57 Siamo al centro della vicenda di Agricola, uomo d’azione, ma anche capace di riflessione, perdono, lungimiranza politica. Qui il registro della narrazione si fa alto e si affida tutto a infiniti che non hanno solo una funzione descrittiva o ritmica: conferiscono anche al racconto una oggettività che altrimenti non avrebbe e accentuano il valore paradigmatico della personalità di Agricola.
58 Siamo nell’80.
59 Forse il Tyne, presso l’odierna Newcastle.
60 Siamo nell’81.
61 Sono i fiumi Clyde e Forth, i cui estuari formano una strozzatura: lì sorgerà, nel 144, il vallo di Antonino Pio e lì Agricola attesta i suoi eserciti respingendo oltre quel confine naturale i nemici come se si trattasse di un’altra isola, la Caledonia. Le acque dei due fiumi sono respinte indietro dalle alte maree del mare d’Irlanda e del mare del Nord.
62 Siamo nell’82. Agricola per la prima volta spinge una nave romana a Nord della foce della Clyde.
63 È l’Irlanda: Agricola intuisce le grandi possibilità strategiche che potrebbero derivare dal possesso stabile di quest’isola.
64 È l’estate dell’anno 83.
65 Agricola, sorprendendo gli avversari, li costringe a cambiare strategia e obiettivo e a cercare motivazioni ed entusiasmo in una facile vittoria. La IX legione è la Hispana: le sue file si erano assottigliate quando molti effettivi erano stati sottratti da Domiziano per la guerra contro i Catti. Agricola non la comandava personalmente e su di essa pesava la triste eredità morale della sconfitta del 61 presso Camulodunum.
66 Gli Usipi/Usipeti erano stanziati sulla riva destra del Reno, nel territorio del fiume Lippe. Al tempo di Vespasiano furono cacciati dalle loro sedi e andarono a stanziarsi a Ovest dei Catti; furono sottomessi sotto Domiziano. Si confronti soprattutto il iv libro delle Historiae (37).
67 Gli Svevi occupavano un vasto territorio tra Elba, Vistola e Danubio. Tacito dedica loro larghi squarci della Germania.
68 I Frisii erano stanziati sulla costa settentrionale del continente tra Reno ed Ems. Li aveva assoggettati Druso nel 12 a.C.
69 Siamo nell’anno 84. Comincia con questo capitolo la sezione forse più significativa e certamente più compatta dell’intera monografia. Tacito getta, in apertura di capitolo e quasi a marcare un trapasso nella narrazione, uno sguardo sulla vita privata di Agricola segnata da un drammatico lutto; annota brevemente la sua reazione, umanissima ma non eccessiva; aggiunge che la campagna militare gli era consolazione. Poi inaugura questa sezione che, in dieci capitoli, racconta la settima e ultima campagna, condotta nell’anno 84 contro la gente di Caledonia. Il centro morale del racconto è dato dal fiero, teso, dolente e disperato discorso di Calgaco ai suoi (capitoli 30, 31, 32).
70 Difficile identificare questa località. Esiste, in Scozia, una catena montuosa il cui nome richiama quello citato da Tacito: sono i Grampians Mountains ma non pare possibile l’identificazione.
71 Straordinario passaggio del discorso che Tacito pone tra le labbra di Calgaco. E nei discorsi che la capacità di straniamento di Tacito raggiunge vertici assoluti: Tacito guarda alla presenza romana con gli occhi di Calgaco e Calgaco conferisce voce e spessore alle rivendicazioni della sua gente. Usa una metafora che diviene centrale al suo dire, avvicinando la Caledonia ai penetrali di un tempio. Gli effetti di senso sono poderosi: i Caledoni, i più nobili perché autòctoni e dunque abitatori del cuore dell’isola, hanno custodito incorrotta la loro civiltà e il senso di indipendenza nella parte più segreta di quel tempio che è la Britannia stessa.
72 Qualcuno nota una contraddizione con quanto detto prima sulle miniere della Britannia. A me pare che qui il discorso di Calgaco abbia altra valenza e, per così dire, esamini una situazione astratta. Quasi dicesse che i Britanni sono ricercati solo per ucciderli e non esiste al mondo una miniera, un campo, un porto in cui loro potrebbero essere schiavi.
73 È l’episodio narrato da Tacito nel XIV libro degli Annales (31 e seguenti); i Britanni, sotto la guida di Boudicca, espugnarono la colonia di Camulodunum (ma in quel contesto i Briganti non sono affatto nominati).
74 Torna, nell’angolo di visuale dei Britanni, il concetto che Tacito più volte ha espresso: Roma ha imparato a dominare il mondo sfruttando le contrapposizioni interne dei nemici (vedi nota 34).
75 Quella di Camulodunum.
76 Sono quelli Londinium (Londra) e Verulamium (St. Albans, nell’odierna contea di Hertford) nella regione dei Catuvellauni.
77 Comincia qui il discorso di Agricola: più breve, di taglio diverso ma basato sugli stessi argomenti rispetto a quello di Calgaco. Nonostante il registro particolarmente alto, l’allocuzione di Agricola è di uno struggente realismo e molto pragmatico. In buona sostanza il comandante ricorda ai soldati che è in gioco la loro stessa sopravvivenza e, più in generale, il senso di quanto hanno fatto in quei sette anni. Nessuna retorica o indulgenza sulla missione di Roma. Anzi, va notato che dopo un breve cenno agli auspici dell’impero in questo capitolo (auspiciis imperii romani), Roma, in chiusura del capitolo seguente (e del discorso stesso di Agricola) viene vista quasi in chiave antagonistica. I soldati devono provare alla repubblica che, se in qualche occasione le cose non sono andate per il verso giusto, non sono loro ad averne la responsabilità (adprobate rei publicae numquam exercitui imputari potuisse aut moras belli aut causas rebellandi).
78 È l’episodio narrato al capitolo 26. A essere aggredita era stata l’indebolita legione Hispana.
79 covinnarius eques; è il cavaliere montato sopra il covinnus, nome di origine celtica con cui si indicava un particolare carro falcato secondo le testimonianze di Pomponio Mela (III, 6), Lucano (I, 426), Silio Italico (XVII, 422). Ma per Marziale (XII, 24, 1) il covinnus è un carro da viaggio.
80 Batavi e Tungri erano popoli germanici. I Batavi, già facenti parte dei Catti, sono uno dei popoli protagonisti delle vicende narrate nelle Historiae: si veda soprattutto il IV libro (a cominciare dal capitolo 14) in cui si racconta la loro rivolta; si confronti anche la Germania (29). Per i Tungri si consultino le Historiae (II, 14 e 15; IV 16, 55, 66, 79) e la Germania (2)
81 Popolazione sconosciuta e nominata solo in questo luogo tacitiano.
82 Località sconosciuta e nominata solo in questo luogo tacitiano.
83 Siamo nell’ultima parte della monografia e l’esordio del capitolo ne fornisce la chiave di lettura: la rettitudine e il senso di moderazione di Agricola contrapposti alla falsità e all’ipocrisia di Domiziano. Gli atteggiamenti imperiali diventano gelosia e causa prima del declinare della fortuna di Agricola. li lettore tenga conto non solo degli stilemi attraverso i quali viene raffigurato Domiziano, ma anche le vere e proprie mistificazioni cui lo storico si presta. Ad esempio la campagna contro i Catti dell’83 non fu certo un insuccesso, ma portò a un significativo allargamento dell’impero con l’acquisizione degli Agri Decumates. Quanto all’episodio degli schiavi camuffati, si deve dire che appare una sorta di topos letterario più che la registrazione di un evento reale: Suetonio racconta la stessa cosa di Caligola (Caligola, 47) con altrettanto scarsa credibilità.
84 Dal 14 a.C. solo l’imperatore poteva celebrare il trionfo. In compenso gli ornamenta triumphalia furono concessi anche a personaggi privi di aualsiasi gloria o successo militari. Erano dunque molto sviliti e consistevano nella corona d’alloro, nello scettro d’avorio, nella tunica palmata (cioè ricamata a palme), nella toga pietà (di porpora con ricami aurei), nella sella curule, nel cocchio trionfale.
85 Tito Atilio Rufo era stato legato in Pannonia e da lì era passato in Siria. La voce fatta circolare da Domiziano va connessa non solo con la ricchezza della Siria, ma anche con l’importanza strategica di quella provincia, a ridosso del territorio partico.
86 L’incontro avviene dunque sulla Manica. Ed ecco il gioco dei rumores: lo storico che ne parla non smentisce mai, ma, accogliendoli a qualsiasi titolo, li accredita. Si noti come Tacito, per così dire, fa il regista della vicenda: il liberto deve far uscire dalla Britannia Agricola perché a ciò è funzionale la nomina in Siria. Essendo Agricola già sulla via del ritorno, il liberto non apre nemmeno bocca. Poi si considerino tutti i particolari del racconto che ruotano attorno a quel bacio frettoloso (brevi osculo) e notturno. Il racconto, comunque lo si valuti, è di grande impatto e forte suggestione.
87 Non sappiamo chi sia.
88 Ora Tacito comprime in poche e perfino generiche parole il settennio che va dall’85 al 92: davvero un periodo difficile che non consentiva il silenzio attorno al nome di Agricola (sileri Agricolam non sinerent) il quale, dunque, qui viene proposto come un potenziale salvatore della patria. In estrema sintesi gli eventi di quel settennio: nell’inverno dell’ 85 Decebalo condusse i Daci a invadere la Mesia e fu indotto a chiedere la pace soltanto quattro anni dopo; nell’88 e nell’anno successivo L. Antonio Saturnino, legato della Germania superiore, si ribellò e inoltre nello stesso periodo le truppe imperiali vennero tenute a lungo in scacco da Quadi e Marcomanni; nel 92 i Sarmati invasero la Pannonia sterminando un’intera legione.
89 Si tratta di G. Vetuleno Civica Ceriale, console aggiunto nel 77, legato della Mesia inferiore, proconsole d’Asia nell’88 o nell’89: durante questo incarico fu condannato da Domiziano alla pena capitale su accusa di cospirazione. Quanto al sorteggio, i governi delle due province più importanti dovevano essere sorteggiati fra gli ex consoli, almeno a 14 anni di distanza dal loro consolato. Agricola, console nel 77, aveva diritto al proconsolato a partire dal 91.
90 Fin dal tempo di Augusto, al magistrato che rinunciava alla carica spettava un’indennità, invece dell’onorario che spettava ai governatori effettivamente insediati (le province d’Asia e d’Africa valevano, da questo punto di vista, un milione di sesterzi).
91 Tacito sembra, nel complesso, accreditare la voce pur nell’apparenza di una narrazione distaccata. Va detto che Cassio Dione (LXVI, 20, 3) afferma con sicurezza come Agricola sia morto per veleno. Suetonio, invece, non include il nome di Agricola nell’elenco (peraltro lungo) di consolari e senatori fatti morire da questo imperatore (Domit., 10).
92 È l’anno 40 d.C. Come sempre Gaio Cesare è Caligola.
93 Sesto Pompeo Collega e Quinto Peduceo Priscino, consoli nel 93.
94 Non si hanno notizie che sotto Domiziano sia accaduto un episodio di tale genere. Lo stesso Tacito ne registra uno analogo accaduto sotto Nerone durante il processo di Trasea Peto (Annales XVI, 27). Il senato si radunava nella curia Giulia, voluta da Cesare e restaurata da Domiziano.
95 La lista dei consolari e dei senatori fatti uccidere da Domiziano ci è tramandata da Suetonio (Domit., 10): Civica Ceriale, Salvidieno Orfito, Acilio Glabrione, Elio Lama, Salvio Cocceiano, Mezio Pomposiano, Sallustio Lucullo, Giunio Rustico, Flavio Sabino. Tra le donne, Plinio il Giovane (.Epist., III, II) ricorda Gratilla, moglie di Aruleno Rustico, Arria e Fannia, rispettivamente moglie e figlia di Trasea Peto (e moglie di Elvidio Prisco).
96 Le vittorie sono le delazioni andate a buon fine. Costui era stato l’accusatore di Erennio Senecione che, durante la questura in Spagna, aveva scritto l’elogio di Elvidio Prisco e ne era stato condannato a morte (come si ricorda nel secondo capitolo di questa monografia). Dopo la morte di Agricola, Caro Mettio si sarebbe dato stabilmente alla delazione finendone, peraltro, a sua volta, vittima nel 96.
97 L. Valerio Catullo Messalino, famoso delatore ai tempi di Domiziano, che, prima della morte di Agricola, faceva sentire la sua voce solo nella villa Albana, roccaforte della tirannide di Domiziano che in essa amava ritirarsi.
98 Ricordato da Tacito nelle Historiae(IV, 50), era personaggio che aveva costellato di reati e delitti la sua carriera politica. Ai tempi di Agricola aveva subito una condanna per concussione su accusa degli abitanti della Betica dove era stato procuratore. In quell’occasione suoi accusatori erano stati Plinio il Giovane ed Erennio Senecione.
99 È costui Elvidio il Minore, figlio di quello giustiziato sotto Vespasiano e console aggiunto nell’87. Fu condannato a morte su accusa di lesa maestà, per aver preso di mira in una tragedia il divorzio di Domiziano da Domizia Longina. A trascinarlo in carcere fu Publicio Certo, ma Tacito dice che la responsabilità fu un po’ di tutti coloro che poco o nulla si opposero (nostrae duxere ... manus).
100 Giunio Maurico, di cui Plinio il Giovane pronuncia parole di elogio (Epist., IV, 22), fu mandato in esilio da Domiziano (ma Nerva riparò, richiamandolo a Roma). Era fratello di Giunio Aruleno Rustico (biografo di Trasea Peto di cui era stato discepolo; confronta il capitolo 2 di questa monografia), condannato a morte nel 94 per aver scritto un elogio del suo maestro.
101 Erennio Senecione, biografo di Elvidio Prisco (confronta, in questo stesso capitolo, la nota 96 relativa a Caro Mettio che era stato il suo accusatore).
102 Tacito era stato lontano da Roma, assieme alla moglie, tra 1’89 e il 93, presumibilmente per un incarico di governo in una provincia pretoria, forse la Gallia Belgica.
103 Si chiude qui l’intensa narrazione della vita di Agricola. Gli ultimi due capi toli hanno una grandezza, quale, tra i latini moderni, solo i Sepolcri foscoliani hanno saputo raggiungere. Pare a me, che nel corso della monografia dedicata al suocero, si possa scorgere una maturazione del linguaggio tacitiano. Nelle ultime pagine, il disegno complessivo delle parole assurge a livelli di grande rarefazione: non una sbavatura, non un attimo di indulgenza alla retorica. Soprattutto nel penultimo capitolo il linguaggio si scarnifica in una essenzialità perfino inquietante: dal panorama tragico di una Roma attraversata dalle ambizioni personali, dalle delazioni, dal terrore al quadro severo e dolente di Tacito e sua moglie che perdono quattro anni prima il loro grande congiunto e vivranno per sempre privati dei suoi ultimi momenti. La carnalità del contatto (satiari vultu complexuquenon contigit) si miscela alla mancata oralità del trapasso di consegne (excepissemus certe mandata vocesque), alla contemplazione del moribondo che cerca la luce e i volti amati nel momento ultimo (novissima in luce desideravere aliquid oculitui). Rarefazione di linguaggio, si diceva: la parenesi, frenata dall’austerità del rimpianto e dalla memoria morale di Agricola, non scade mai in enfasi. La consapevolezza profonda è che le immagini fisiche sono caduche (quae marmore aut aere finguntur ... imbecilla ac mortalia sunt) ma che eterna è l’eredità morale (forma mentis aeterna). Da questo angolo di visuale, Tacito è in grado di affermare, con severa gentilezza, che egli può insegnare alla moglie e alla figlia il senso profondo della vita del marito e del padre (praeceperim sic patris sic mariti memoriam venerari): una sorta di ribaltamento di ruoli che sottolinea la grandezza di Agricola il quale ha saputo proporsi come definitivo esempio morale anche a un estraneo, al marito della figlia.
DIALOGUS DE ORATORIBUS. DIALOGO DEGLI ORATORI
1 Comincia qui la dedica del Dialogus de oratoribus il cui destinatario viene identificato con quel L. Fabio Giusto che fu console aggiunto nel 102 d.C. e amico di Plinio il Giovane. La dedica pone subito il problema centrale: i motivi della decadenza dell’arte oratoria. Tacito, in questa monografia, indagherà con metodo apparentemente imparziale: al retore e tragediografo Curiazio Materno (nella cui casa si svolge il dialogo) che esprime il pensiero di Tacito, rispondono Marco Apro e Vipstano Messalla. Il primo difende i contemporanei, il secondo l’oratoria ciceroniana. Giulio Secondo fa da arbitro, o, come si direbbe oggi, da moderatore. Imparzialità? Tacito lancia subito un segnale al suo lettore: diserti, causidici, advocati, patroni vengono definiti gli oratori moderni. E non c’è una definizione che vada interpretata in accezione positiva: nemmeno i termini advocati et patroni, che al tempo di Cicerone stavano a individuare e a definire, in chiave positiva, un rapporto di protezione, che andava molto più in là dell’assistenza ai un cliente in un giudizio, attingeva alla sfera squisitamente politica e aveva spesso profonda valenza etica.
2 Dopo la dedica, la rassegna dei personaggi (manca Vipstano Messalla di cui si racconta l’arrivo nell’esordio del capitolo 14). Di Curiazio Materno abbiamo solo le notizie del dialogo tacitiano: la sua produzione doveva comprendere almeno tre praetextae (una, di cui ignoriamo il titolo, attaccava Vatinio, favorito di Nerone; Domitius\Cato) e tre cothurnatae (Medea e Thyestes sono i due titoli qui riportati).
3 Sono i due più celebri avvocati dell’epoca flavia e, come qui si dice esplicitamente, maestri di Tacito. Dovevano essere coetanei (nati attorno al 35 d.C.) ed entrambi originari delle Gallie. Il primo aveva avuto un buon cursus honorum (fino alla questura) e il secondo ebbe incarichi di minore importanza alla corte imperiale. Fu amico di Quintiliano che ce ne riferisce la morte prematura.
4 Dunque, dopo Catone l’Uticense, campione del libero sentire repubblicano, L. Domizio Enobarbo, almeno a quanto sembra. Domizio interpretò fino in fondo il ruolo di oppositore a Giulio Cesare: console nel 54 a.C., fu tra i difensori di Corfinio e di Marsiglia e morì a Farsalo.
5 Subito, nel disprezzo di Apro per i Greci chiamati col diminutivo/spregiativo, una esemplificazione del suo odio per la cultura letteraria (vedi capitolo precedente).
6 Si tratta di Giulio Secondo, lì presente, che, come conosceremo nel capitolo seguente, è intimo amico di Saleio Basso, un poeta epico di cui, da Quintiliano e Giovenale, sappiamo che morì giovane e povero. L’augustiorem eloquentiam che segue è la poesia.
7 Vedi nota precedente. ...reum locupletiorem dice il testo tacitiano. E viene in mente, con garbata ironia, proprio la povertà di Saleio Basso.
8 Il passo è guasto e controverso. Integro, in traduzione e come propongono diversi editori, con una negazione che mi pare restituire coerenza al testo.
9 Perpetua potentia ac potestate, distingue, a dire il vero, il testo latino: dove il primo termine indica il potere personale di fatto (e magari anche la prepotenza); il secondo indica invece il potere che viene dalle magistrature (e che dunque non è perpetuo).
10 Il contrasto tra Marcello e Elvidio Prisco è ampiamente raccontato dallo stesso Tacito nei capitoli 4-8 del IV libro delle Historiae (anche se non possiamo dire a quale contrasto particolare si riferisca questo passo del Dialogus). Ricordiamo che Marcello Eprio fu uno dei più terribili delatori sotto Nerone e Vespasiano. Una delle sue vittime fu Trasea Peto. Di Trasea Peto, Elvidio Prisco era genero e condivideva con lui una fierissima e rigorosa opposizione di matrice repubblicana.
11 Il laticlavio, vale a dire la tunica con una larga fascia color porpora, rivestiva chi diventava senatore.
12 Era homo novus colui che, primo nella sua famiglia, attingeva a una magistratura curule. Quanto alle difficoltà derivanti dal luogo di nascita, bisogna dire che l’apertura del 48 d.C. dell’accesso alle magistrature in Roma voluta da Claudio per personalità provenienti dalla Gallia Cornata, continuava a trovare parecchie resistenze nella classe senatoria romana.
13 Il tribunale centumvirale era stato istituito nel 207 a.C. e ad esso fornivano tre giudici tutte e trentacinque le tribù (per un totale reale di centocinque membri); si occupava in modo particolare di processi di successione.
14 Assecondando, cioè, l’immagine che se ne sono fatti nei loro luoghi d’origine.
15 Vibio Crispo è un’altra figura di ottimo oratore, ma anche di ignobile delatore (si confrontino Historiae, II, 10 e, per un movimentato episodio che ne caratterizza in modo indelebile la personalità, IV, 43).
16 A Capua era nato Marcello Eprio e a Vercelli era nato Crispo Vibio.
17 Non sappiamo di quale difetto fisico si tratti e, men che meno, chi dei due ne fosse affetto.
18 Come interpretare questo passaggio? Forse con la smania, tipica di chi è di oscuri natali, di crearsi una nobiltà, un qualche passato.
19 Nicostrato, come sappiamo da Pausania e Quintiliano, aveva vinto un doppio alloro alle Olimpiadi del 36 d.C., nella lotta e nel pugilato. Qui diventa un esempio delle artes ludicrae, quelle che solleticano i sensi della vista e dell’udito, dando loro piacere. Sono, appunto, gli spettacoli sportivi e circensi. Di contro vi sono le artes honestae che non è disonorevole praticare, al contrario delle precedenti.
20 Secondo la leggenda, cantori traci che affermavano la loro discendenza da Apollo.
21 Il primo e maggiore poeta epico e due poeti tragici contrapposti, forse con qualche intento caricaturale, a tre oratori, comunque grandissimi e campioni della libertà e indipendenza di pensiero: Demostene (Atene, 384 – Calauria, 322 a.C.) la cui attività oratoria più famosa nasce dall’opposizione a Filippo II di Macedonia; Lisia (Atene, 445 ca – 365 ca a.C.) i cui principali e più feroci avversari furono i trenta tiranni che uccisero suo fratello Polemarco e lo costrinsero all’esilio in Megara; Iperide (Atene, 390 ca – Cleone, Peloponneso, 322 a.C.) che, dopo la vittoria di Filippo di Macedonia a Cheronea (388) organizzò la difesa di Atene e fu successivamente messo a morte, tra i tormenti, da Antipatro.
22 Asinio Pollione, dedicatario della famosa egloga iv virgiliana. Ebbe grandissima influenza sulla cultura del suo tempo non solo per la sua attività intellettuale (fu oratore e storiografo e, oltre a ciò, poeta tragico) ma anche per aver fondato, nel 39 a.C., una biblioteca pubblica.
23 M. Valerio Messalla Corvino fu amico e protettore di poeti, tra i quali Tibullo. Statista e valido uomo d’armi (suo merito è il trionfo sugli Aquitani), è ricordato da Tacito (Annales, XIII, 34) anche come valido oratore.
24 La grandezza della Medea ovidiana viene testimoniata da Quintiliano (Institutiones Oratoriae, X, I, 98).
25 Nulla sappiamo di questa tragedia, di cui ancora Quintiliano, nello stesso passo citato alla nota precedente, pronuncia un ottimo giudizio. L’autore citato è L. Vario Rufo (74-14 a.C.), amico di Virgilio e curatore, assieme a Plozio Tucca, dell’edizione dell’Eneide.
26 La preferenza di Virgilio per la vita appartata in campagna (in Campania e in Sicilia) dove Augusto lo raggiungeva spesso con le sue missive, ci è testimoniata da Donato e da Servio. Gli stessi autori ci ricordano che spesso i versi di Virgilio erani letti in teatro.
27 Pomponio Secondo ebbe cursus honorum prestigioso: console aggiunto nel 44 d.C., legato in Germania superiore nel 50, vincitore, a dire il vero senza colpo ferire, dei Catti (impresa per la quale ricevette gli onori del trionfo, come testimonia Tacito in Annales, XII, 28). Fu anche uomo di cultura e poeta tragico, secondo la testimonianza di Quintiliano (Insitutiones Oratoriae, X, 1, 98). Plinio il Giovane ci ricorda poi l’amicizia che lo legò allo zio, Plinio il Vecchio, che di lui scrisse una biografia.
28 Domizio Afro, originario della Gallia Narbonese, fu pretore nel 25 d.C. e console nel 39. Morì nel 59. Sul suo altissimo valore, come oratore, concordano Quintiliano, Plinio il Giovane e lo stesso Tacito che ricorda come Tiberio lo avesse definito un oratore di grandissima abilità. Poi lo stesso Tacito aggiunge che alla sua fama di oratore non corrispondeva altrettanta morigeratezza (prosperiore eloquentiae quam morum fama fuit: Annales, IV, 52). Nello stesso brano (e qui forse va cercata la motivazione che spinge Materno a citarlo in questo contesto) Tacito afferma che era disposto a tutto pur di far carriera (quoquo facinore properus clarescere). In altri termini, tra ogni esempio possibile, Materno va a cercare un oratore abile, famoso e conteso ma censurabile e di nessun prestigio morale. Il discorso troverà la sua culminazione in una citazione virgiliana che richiama la dolcezza delle Muse (Georgicon, II, 475).
29 Triste consuetudine: per garantire una qualche continuità al proprio patrimonio bisognava nominare coerede l’imperatore. Si legga il passo esemplare in cui Tacito ci racconta come Agricola sia in qualche modo costretto a nominare Domiziano coerede della figlia e della moglie: era l’unico mezzo per salvarne una quota a loro favore. Il racconto tacitiano è improntato a tristezza e rassegnazione. E culmina in un bruciante epifonema: un buon padre designa coerede un principe solo quando costui è malvagio (a bono patre non scribi heredem nisi malum principem: Agricola, 43).
30 Il senato decretava, per i morti illustri, pubblici funerali e l’erezione di statue, ma era necessario il consenso dell’imperatore.
31 Vipstano Messalla era di nobile famiglia. Scrisse una storia della guerra tra Vitellio e Vespasiano, cui aveva personalmente partecipato. Difese in senato, giovanissimo, il fratello Aquilio Regolo, un uomo sprovvisto di qualsiasi senso morale e dedito alla delazione. È personaggio molte volte citato da Tacito (oltre ai luoghi del Dialogus: Historiae, III, 9; III, 11; III, 25; III, 28; IV, 42 dove si racconta, appunto, la difesa del fratello). Si noti come colui che è destinato a diventare il protagonista assoluto del Dialogus faccia questa entrata a effetto, a discussione già avviata. Non si tratta solo di un effetto scenografico: strutturalmente ciò offre a Tacito l’opportunità di una ricapitolazione brevissima delle argomentazioni addotte: una sorta di trampolino di lancio per entrare nel vivo della discussione e nel coinvolgente (e decisivo) contributo di Vipstano Messalla. Il nuovo intervenuto, proprio perché non coinvolto nella precedente discussione, può imprimere una svolta alla discussione stessa.
32 Era di origine gallica e Quintiliano ce lo propone come uno dei più insigni del suo tempo (Institutiones Oratoriae, X, 1, 118 e XII, 10, 11). Non è il Giulio Africano di cui parla Tacito negli Annales (VI, 7): costui è, forse, suo padre.
33 Si intende tra l’oratoria antica e l’oratoria moderna.
34 Demostene è già citato al capitolo 12 (vedi nota 21). Eschine (Atene, 389 ca-314? a.C.) fu uno dei più accesi fautori di Filippo di Macedonia e dunque fu fierissimo avversario di Demostene: la contrapposizione tra i due fu drammatica e segnata da episodi di grande violenza non solo verbale.
35 Nicete Sacerdote era originario di Smirne e aprì una scuola di retorica in Roma che fu frequentata anche da Plinio il Giovane.
36 Efeso e Mitilene erano centri frequentatissimi di studi retorici nel I secolo d.C.
37 Computo esatto, stante la stima di Eratostene che aveva posto nel 1193 a.C. la presa di Troia. Il dialogo, lo ricordiamo, non si tiene prima del 75 d.C.
38 Non di molto: Alessandro morì nel 323 a.C., Demostene e Iperide un anno dopo.
39 È il dialogo di cui ci parla Sant’Agostino nelle Confessioni (III, 4-1) e che lo scrittore di Tagaste definisce decisivo per la sua conversione; il passo agostiniano ci fa rimpiangere la perdita di questo testo ciceroniano. Cicerone stesso nel Definibus (I, 1, 2) ci ricorda che egli difendeva in quell’opera gli studi filosofici dall’attacco dell’oratore Ortensio: dunque un’opera che aveva qualche analogia col Dialogus.
40 È il fenomeno che, con una durata valutata oggi in cifra più che doppia rispetto ai quasi tredicimila anni di Tacito, chiamiamo precessione degli equinozi, scoperta e misurata già dagli astronomi alessandrini. Anche Platone e gli Stoici parlano di un grande anno.
41 È l’autore del famoso apologo, tenuto nel 494 a.C. sul Monte Sacro davanti ai plebei in rivolta, come riferisce Livio nel secondo libro della sua opera (capitolo 32).
42 M. Celio Rufo, nativo di Pozzuoli (82 a.C.); nel 56 fu difeso da Cicerone contro le accuse di Clodia di cui era stato amante (violenza, veneficio, sacrilegio). Dapprima partigiano di Cesare, si ribellò e nel 48 fu ucciso. Tra i suoi estimatori come oratore Cicerone, nel Brutus, e Quintiliano, nelle Institutiones Oratoriae.
43 C. Licinio Calvo (82-47 a.C.), poeta lirico e amico di Catullo, seguiva la corrente oratoria attici sta. Cicerone ne parla nel Brutus e Quintiliano nelle Institutiones Oratoriae.
44 M. Giunio Bruto, il cesaricida, morto a Filippi nel 42 a.C. Fu molto amico di Cicerone e autore di opere filosofiche.
45 M. Tullio Tirone è il liberto di Cicerone che, sopravvissuto all’oratore, curò la pubblicazione dell’epistolario e delle orazioni oltre che redigerne una biografia. Aulo Irzio e Gaio Vibio Pansa furono consoli nel 43; in quello stesso anno morirono nella battaglia di Modena contro Antonio. Il consolato di Augusto (suo collega era Quinto Pedio, figlio di una sorella di Cesare) ebbe inizio il 19 agosto del 43, data in cui Tacito ravvisa l’inizio del principato (Annales, I, 9), ricordando che in un 19 agosto Augusto era diventato imperatore e in un 19 agosto (del 14 d.C.) era morto.
46 Ho tradotto generando un’immagine da quel sextam ... stationem che allude senza dubbio al posto di guardia e dunque alla difesa, al presidio.
47 Con la citazione memoriale che segue, Apro prova che si può vivere tanto a lungo. Quanto ai centoventi anni, il computo è complesso e tormentato; in ogni caso mancano due o tre anni per arrivare alla cifra tonda del testo.
48 Proximo congiario: il termine indica propriamente le distribuzioni di grano, di vino, di olio e di altri generi, da congius che indica una misura di capacità di poco superiore ai tre litri. Poi il termine passò a indicare distribuzioni di denaro.
49 Servio Sulpicio Galba, nato attorno al 200 a.C., console nel 144, più volte citato da Cicerone nel Brutus e nel De oratore. Ai tempi di Livio si conservavano ancora tre sue orazioni di argomento politico.
50 C. Papirio Carbone, tribuno della plebe nel 131 a.C., partecipò al movimento dei Gracchi e nel 120 fu console. I contemporanei ne lodavano la sonorità, la fluidità, la capacità di variare registro – dall’impetuoso al dolce -, la diligenza nel preparare le sue orazioni.
51 Il giovane tribuno, travolto dallo stesso tragico destino del fratello (anche se a dieci anni di distanza), era considerato il miglior oratore del tempo per il suo impeto e per la sua capacità di persuasione e coinvolgimento.
52 È M. Porcio Catone il Censore (234-149 a.C.), censore nel 184. Ancora Cicerone poteva dire di aver trovato e letto più di 150 sue orazioni.
53 L. Licinio Crasso (140-91 a.C.). Cicerone lo sceglie come massimo rappresentante della sua stessa humanitas e suggerisce, anzi, che è stato, tra quelli che lo hanno preceduto, il miglior oratore.
54 Cicerone poteva ancora leggere la sua più famosa orazione, quella pronunciata nel 280 a.C. contro la pace con Pirro. Fu console nel 307 e nel 298.
55 Nessuna di queste lettere ci è rimasta.
56 Cassio Severo (50 a.C. ca-30 d.C. ca) sarebbe dunque il primo in cui riconoscere la nuova tendenza oratoria che poi avrà in Seneca il suo massimo rappresentante. Lapidario il giudizio che su di lui esprime Tacito (Annales, IV, 21) ricordando la sua bassa origine, i suoi non buoni costumi, ma anche la sua robusta eloquenza, con una forma di dissociazione tra spessore morale dell’oratore e la sue abilità espressive che Apro sembra accettare come normali.
57 Vi sono cfue Ermagora oratori, ma probabilmente Apro si riferisce qui al più antico e famoso, vissuto nel secondo secolo. Apollodoro di Pergamo è invece contemporaneo di Augusto che lo stimava a tal punto da portarselo dietro in un viaggio ad Apollonia, nel 45 a.C., per ricevere i suoi insegnamenti.
58 Durante i processi intentati da M. Tullio contro P. Fabio e da Aulo Cecina contro Sesto Ebuzio (entrambi vertevano su questioni di possesso), Cicerone aveva esaminato a lungo l’eccezione cui erano ricorsi i convenuti contro l’interdictum (l’interdetto del pretore che era una sorta di sentenza interlocutoria) per difendere diritti di possesso. Per M. Tullio, Cicerone pronunziò due discorsi (uno perduto, uno posseduto molto parzialmente); possediamo invece l’orazione in difesa di Cecina.
59 Roscio Gallo e L. Ambivio Turpione, due attori celebri, il primo contemporaneo (e amico) di Cicerone, il secondo di Terenzio.
60 L. Accio e M. Pacuvio sono i due grandi poeti tragici dell’età arcaica, autori entrambi sia di cothurnatae che di praetextae.
61 Forse il P. Canuzio, contemporaneo di Cicerone (che ha per lui parole di apprezzamento) e coinvolto nel processo di Cluenzio.
62 Forse un Attio, forse G. Arrio, pretore nel 72 a.C. e condannato per broglio nel 52, giudicato severamente da Cicerone.
63 Due furono i Fumii, padre e figlio, entrambi vissuti nel I secolo a.C.
64 Due anche i Toranii, contemporanei di Cicerone, di cui quasi nulla sappiamo.
65 Sarà da intendere ventun orazioni.
66 Entrambi furono difesi, con felice esito, da Cicerone. Cicerone però indica, per Druso, Lucrezio (e non Calvo) nel ruolo di accusatore.
67 P. Vatinio di Rieti, ricordato anche da Catullo (XIV, 3). Apparteneva al partito di Cesare e aveva fatto fortuna per la sua mancanza di scrupoli: ebbe infatti un buon cursus honorum (questore, tribuno e perfino console aggiunto tra il 63 e il 47 a.C.). Calvo per ben tre volte sostenne accuse contro di lui: la terza volta, nel 54, fu difeso, anche se con poco entusiasmo, da Cicerone.
68 La grafia del nome è incerta. Potrebbe essere il P. Decitius Samnis citato da Cicerone nella Pro Cluentio (59, 161).
69 È il tetrarca della Galazia difeso, sempre davanti a Cesare, da Bruto nel 47 e da Cicerone nel 45. Era partigiano di Pompeo, e nel caso dell’orazione ciceroniana, dovette difendersi dall’accusa di aver tramato contro Cesare.
70 Cicerone, tra la stringatezza della scuola atticista e l’esuberanza della scuola asiana, proponeva il compromesso della scuola rodia e del suo grande maestro, Molone. Nondimeno si trattava di un compromesso più vicino allo stile asiano e i suoi avversari appartenevano soprattutto al campo degli atticisti.
71 Le utime orazioni che Cicerone pronunziò furono le quattordici Philippicae tra il 44 e il 43 a.C., che gli valsero l’esiziale inimicizia di Marco Antonio.
72 Forse le Verrine e le orazioni per M. Tullio e per Aulo Cecina che tante critiche hanno ricevuto da Apro in uno dei capitoli precedenti (20).
73 Una immagine eccessivamente ardita, un gioco di parole, l’abuso di una clausola determinano la pesante ironia di Apro. La ruota della Fortuna, in un passo dell’orazione in Pisonem (10, 22), viene accostatata al girotondo o, se si vuole, a una danza (in quo cum illum saltatorium versar et orbem); il diritto di Ver re può diventare, per chi ascolta, un più prosastico brodo di porco, visto che in latino esistono due ius dal significato diverso (appunto diritto e brodo) e verrinum, suona, secondo la sua etimologia, vicino a verres, il porco maschio: il passo in questione si trova nella prima orazione contro Verre (46, 121). Quanto all’esse videatur (sembri essere) e clausola cretico-trocaica che ritorna molte volte in una orazione come la Pro lege Manilla.
74 Autore di libri belli Germanici e di una storia che abbracciava probabilmente il periodo dalla morte di Cesare alla caduta di Seiano (la continuò Plinio il Vecchio: a fine Aufidii Bassi, appunto). Quintiliano dà di lui un giudizio in chiaroscuro definendolo talora inferiore alle sue possibilità espressive.
75 Servilio Nomano fu console nel 35 d.C. e morì nel 59. Quintiliano ne apprezza l’ingegno, ma ritiene il suo stile non sufficientemente adeguato alla narrazione storiografica. Probabilmente scrisse su argomenti di storia contemporanea.
76 L. Cornelio Sisenna scrisse, con stile arcaicizzante, una storia degli anni compresi tra il 91 e il 78 a.C., proseguita dalle Historiae sallustiane.
77 È M. Terenzio Varrone Reatino (116-27 a.C.) autore dei quarantun libri delle Antiquitates, autentica enciclopedia del sapere antico e di erudizione archeologica. Ma la sua produzione, di cui quasi nulla possediamo, è sconfinata (più di settanta opere in più di seicento libri). Anche lui è rappresentante dell’arcaismo.
78 Quo torrente... Come non immaginare la sorridente ironia di Materno? Qui egli opera una di quelle scelte lessicali che tanto piacevano ai moderni (e che, in apertura di discorso, si contrappongono agli scadenti artifizi di Cicerone: rota Fortunae ecc.): torrente è parola che gioca, per così dire, tra fuoco e acqua (voce verbale da torreo, ma anche participio sostantivato a indicare quello che è per noi, appunto, il torrente). E occorre notare che l’artifizio si genera da quel vim et ardorem che precede.
79 Godibilissimo, questo gustoso passaggio dalle argomentazioni di Apro a quelle di Messalla. Tacito non solo allenta il clima e lo stempera nell’ironia, ma anche fornisce un esempio di abilità retorica, ribaltando completamente le argomentazioni di Apro. Costui ci viene presentato come non del tutto convinto di quanto dice, e come l’autore di un calcolo che vorrebbe far passare centoventi anni per un intervallo di tempo del tutto trascurabile.
80 Licurgo (Atene, 390 ca-324 a.C.) fu di valido aiuto a Demostene nel sostenere il partito antimacedone. Curò la prima edizione ufficiale dei tre tragici ateniesi. Va detto che non praticò l’eloquenza per professione e che i suoi discorsi furono soprattutto requisitorie di carattere politico pronunciate in momenti particolari.
81 Lucio Giunio Gallione fu un retore affermato secondo la testimonianza di San Girolamo che lo accosta ai massimi di ogni tempo. Fu amico di Seneca padre, di cui adottò il figlio più vecchio, M. Anneo Novato che assunse il suo stesso nome e fu proconsole di Acaia nel 52.
82 Sesto Giulio Gabiniano, nominato qui in chiave certamente ironica, era di origine gallica. San Girolamo lo ricorda, con particolare apprezzamento per le sue doti retoriche, nella sua Chronaca relativamente all’anno 76 d.C.
83 Evidentemente Messalla si ricorda che i suoi interlocutori sono di origine provinciale e quindi questo diramarsi delle sciagure anche fuori di Roma e d’Italia è loro noto.
84 Più chiaro Tacito non potrebbe essere: si insegna a ragionare e a parlare da schiavo a colui che dovrà essere il padrone. È una situazione contraddittoria anche perché vicino al futuro padrone vengono messi gli schiavi più spregevoli e più incapaci (vilissimus nec cuiquam serio ministerio accomodatus).
85 Una delle opere fondamentali nel panorama della produzione ciceroniana: grande la sua importanza non solo dallo specifico punto di vista dell’eloquenza, ma anche sotto l’aspetto culturale, politico, storico. Fu composto tra gennaio e aprile del 46 a.C. L’amplificazione del titolo in De claris oratoribus è di origine umanistica.
86 Si tratta di Quinto Muzio Scevola detto pontifex (morto nel 72 a.C.), nipote del suo omonimo detto augur, vissuto tra il 159 e l’88 a.C. Cicerone, peraltro, fu discepolo di entrambi.
87 È Filone di Larissa che si recò a Roma nell’88 a.C., durante la guerra mitridatica, assieme ai membri più influenti dell’oligarchia ateniese. Era capo della nuova Accademia e il suo probabilismo segnò profondamente la cultura di Cicerone.
88 Visse a lungo, fino alla morte avvenuta nel 59 a.C., nella casa di Cicerone cui fu maestro di dialettica.
89 In realtà fu ad Atene dove ascoltò Antíoco d’Ascalona, filosofo della vecchia Accademia, e il retore Demetrio Siro. L’Asia fu girata in lungo e in largo con grande interesse alla scuola di eloquenza asiatica.
90 Ecco uno dei punti nodali della concezione ciceroniana dell’eloquenza: Vapte dicere, il dire in modo adeguato, il parlare adeguandosi e articolandosi rispetto alla situazione. (L’argomento avrà amplificazione ed esemplificazione nel capitolo seguente.) La clausola del capitolo ha una sua notevole enfasi, ma non le si può negare efficacia espressiva. Messalla la articola su tre funzioni logiche diverse, in una sorta di climax discendente: pro dignitate rerum (la misura dell’arte dicere), ad utilitatem rerum (lo scopo), cum voluptate audentium (come dire? una sorta di finalità secondaria, ma non meno importante). Il tutto, si ricordi, nell’implicito, per ora, confronto con l’eloquenza moderna.
91 Sono le cosiddette qualità indifferenti degli Stoici.
92 Molto più pregnante (e intraducibile) l’espressione latina: venas animo rum, le vene dell’animo, quasi a dire che l’oratore deve avvertire il fluire del sangue nell’animo dei suoi interlocutori.
93 Il sapere di Epicuro (342-270 ca a.C.) e di Metrodoro di Lampsaco (o Atene, morto verso il 277 a.C.) si condensava spesso in sapide ed efficaci massime.
94 Ma che Demostene sia stato discepolo di Platone non è affatto accertato.
95 Messalla, nella foga del discorso, si fa un po’ prendere la mano. Nel 119 a.C., quando L. Crasso mise sotto accusa Gaio Papirio Carbone (vedi capitolo 18), aveva ventun anni. E ventitré ne aveva Cesare quando, nel 77, mise sotto accusa per concussione Gneo Cornelio Dolabella, di ritorno dal governo della Macedonia. La difesa fu sostenuta, con successo, da Ortensio e Cotta. Il terzo esempio riguarda l’accusa di Asinio Pollione contro G. Porcio Catone, parente dell’Uticense, tribuno della plebe nel 56 a.C., pompeiano, che nel 54 andò sotto processo per essersi opposto alla convocazione dei comizi. Fu difeso, con successo, da Calvo e Scauro. Per il quarto esempio (Calvo, che nell’occasione citata aveva ventiquattro anni, e Vatimo) si veda il capitolo 21. Tornando alla foga di Messalla, il lettore consideri quante immagini, tratte dal mondo militare e gladiatorio, il Dialogus proponga. Se ne ricava la sensazione di una attività forense, comunque intesa come scontro a dispetto del variare delle mode, e dell’avvocato che assomiglia molto a un guerriero ben allenato alla battaglia.
96 Il primo maestro di retoricà in Roma fu L. Plozio Gallo, amico di Mario, secondo le testimonianze di Quintiliano e San Girolamo.
97 Il provvedimento censorio fu preso nel 92 a.C. da Gneo Domizio Enobarbo e Lucio Licinio Crasso, con qualche sospetto sulle motivazioni, a dire il vero. Parve a qualcuno, infatti, che si volesse colpire una scuola tenuta da un maestro non greco, ma latino e dunque più accessibile. Insomma, dietro all’editto censorio, ci sarebbe stata la volontà degli aristocratici di difendere il loro monopolio culturale. Quanto all’espressione ciceroniana ludum impudentiae essa è attinta dal De Oratore (III, 24, 93).
98 suasoriae: erano orazioni in cui si cercava di persuadere qualcuno a comportarsi in un certo modo relativamente a certe situazioni. Diverse erano le Controversiae, finzioni di processi, in cui si dibattevano da tutti i punti di vista problemi giudiziari, spesso con scarsa o nulla attinenza alla realtà come sentiremo tra poco.
99 Tali questioni, che ben poco hanno a che fare con una autentica scuola di diritto e di eloquenza, sono tratte dalle Controversiae di Seneca e dalle Declamatones attribuite a Quintiliano.
100 A questo punto i codici hanno una lacuna. Quanto grande? Difficile dirlo. Il dialogo riprende con parole che potrebbero essere pronunciate tanto da Materno quanto da Secondo. Appare più probabile che sia il primo a parlare e dunque mancherebbero non solo la conclusione dell’intervento di Messalla, ma anche tutto l’intervento di Giulio Secondo. Pare inverosimile infatti che Tacito non faccia parlare Secondo, dato il prestigio del personaggio che era anche stato suo maestro.
101 È G. Licinio Muciano, uno dei protagonisti delle Historiae tacitiane e massimo artefice dell’avvento di Vespasiano al potere. Sappiamo da questo brano del Dialogus che aveva interessi antiquari così spiccati.
102 Ecco Materno accennare in rapida sintesi praticamente a tutta la schiera di oratori contemporanei di Cicerone: più o meno validi, più o meno affermati. Tra i Lentuli: Cn. Cornelio Lentulo (console nel 72 a.C.), Cn. Lentulo Marcellino (console nel 56), P. Cornelio Lentulo Spintère (console nel 57), L. Cornelio Lentulo Crus (console nel 49); due i Metelli, fratelli fra loro: Quinto Cecilio Metello Celere (console nel 60) e Quinto Cecilio Metello Nepote (console nel 57); due anche i fratelli Luculli: L. Licinio Lucullo (console nel 70; l’anno prima era stato l’eversore della città armena di Tigranocerta come racconta Tacito in Annales, XII, 50; è il Lucullo famoso per la vita splendida e dispendiosa) e M. Licinio Lucullo (console nel 73); tre, invece, i Curioni, padre, figlio e nipote, assolutamente omonimi: Gaio Scribonio (il primo fu questore nel 133 e pretore nel 122, il secondo fu tribuno della plebe nel 90 e console nel 76, il terzo fu tribuno della plebe nel 50. È costui il più noto: creditore per cifre enormi nei riguardi di Cesare, divenne suo sostenitore e morì nel 49, ucciso da Giuba, mentre cercava di strappare l’Africa a Pompeo).
103 Materno si riferisce al processo intentato da Demostene nemmeno ventenne, per rivendicare i beni che i suoi tutori gli avevano sottratto, dopo che lui era rimasto orfano a sette anni. Di quel processo, durato molti anni, ci restano cinque orazioni (non tutte attribuite con sicurezza a Demostene, peraltro): tre contro Afobo e due contro Onetore.
104 Cicerone difese nell’81 a.C. Publio Quinzio in un complicato caso di diritto privato; fu il suo esordio come oratore. Nel 62 difese il poeta greco Licinio Ardua dall’accusa di usurpata cittadinanza: bisogna dire che, per i moderni, questa, che è la più breve delle orazioni ciceroniane, rappresenta uno dei più significativi documenti della humanitas dell’oratore di Arpino.
105 Con riferimento alle quattro Catilinarie, alla Pro Milone (giudicata il capolavoro di Cicerone), alle sei Verrine, alle quattordici Filippiche.
106 Nei primi mesi del 52 a.C., in cui Pompeo esercitò il consolato sine collega.
107 Già si è fatto cenno ai tribunali centumvirali (e ai suoi centocinque membri) che si occupava prevalentemente di cause di diritto privato. Ora c’è da aggiungere che nelle parole di Materno va colta una sfumatura di dolente ironia che è la premessa all’epifonema in cui culmina il capitolo (ipsam quoque eloquentiam sicut omnia depacaverat). Infatti il tribunale centumvirale era di fatto un organo burocratico e attraverso di esso (e dunque anche attraverso la progressiva amplificazione delle sue competenze) il principe esercitava un controllo sull’amministrazione della giustizia.
108 Una vicenda a tinte gialle, la difiniremmo noi oggi. Ce la racconta Quintiliano nelle Institutiones Oratoriae (VII, 2, 26). Dopo la morte di Urbinia ne reclamò l’eredità un tale che sosteneva di essere suo figlio, Clusinio Figulo, e di presentarsi in ritardo a vantare i suoi diritti per una serie di eventi che lo avevano distolto dal suo scopo. Asinio lo smascherò e dimostrò che era uno schiavo di nome Sosipatro.
109 Dunque, ecco finalmente a che cosa si sono ridotti i processi: a due chiacchiere scambiate col giudice (che sappiamo essere spesso digiuno di diritto, tronfiamente consapevole solo del potere che il suo ruolo gli conferisce e dunque influenzabilissimo da due paroline ben congegnate) per aggiustare le cose. Il pesante sarcasmo di Materno (il sarcasmo ma anche l’autoironia ci fanno propendere verso questo personaggio nell’attribuzione dell’ultimo intervento del Dialogus) si condensa attorno alla efficace rappresentazione degli avvocati, prigionieri della loro mantellina. È la paenula, un mantello che copriva anche le braccia e aveva spesso un cappuccio (cuculia). Era l’indumento dei viaggiatori o anche di chi voleva ripararsi dal cattivo tempo; adesso sappiamo, proprio da questo passo, che la toga aveva ceduto il posto a questo indumento: è il segno fisico e visibile, per così dire l’uniforme, della decaduta eloquenza. L’immagine si sostiene, subito dopo, con quella degli oratori paragonati a dei cavalli che provano la bontà della loro razza nei grandi spazi coperti al galoppo. Come termine intermedio, l’audace personificazione di auditoria et tabularia, che richiama sia il miserabile spettacolo dei giudici avvolti nella paenula, sia, per contrapposizione, i larghi spazi delle corse ippiche. Si avvia in questo modo, un po’ irridente ma al tempo stesso solenne, l’ultima parte del Dialogus.
110 G. Cornelio, tribuno della plebe nel 67 a.C., fu difeso da Cicerone contro l’accusa di lesa maestà; M. Emilio Scauro fu difeso, nel 54, da Cicerone contro l’accusa di concussione che si era tirata dietro dalla pretura in Sardegna; il terzo riferimento è alla Pro Milone, in cui Cicerone difese Milone, incolpato dell’assassinio di Clodio; Lucio Calpumio Bestia, tribuno della plebe nel 62 ed edile nel 58, fu accusato nel 56 di brogli elettorali e difeso da Cicerone. Per Vatinio si veda il capitolo 21.
111 Tra loro Apollonio Molone, nativo della Caria in Asia Minore ma insegnante di eloquenza a Rodi. Conobbe Cicerone nell’88 a.C., quando venne a Roma; successivamente tornò nell’Urbe per difendere gli interessi dei Rodiesi duramente provati dalla guerra mitridatica. Cicerone si recò da lui, a Rodi, nel 78 e quel viaggio fu decisivo per la sua formazione di oratore, poiché Molone corresse l’esuberanza asiana del suo dire e lo indirizzò verso un atteggiamento oratorio più composto, rigoroso e stringato.
112 Il testo latino presenta in esordio di questo periodo un tamen di difficile comprensione e di praticamente impossibile resa. Probabilmente qui Tacito vuole attenuare l’affermazione generale e, per così dire, strizzare l’occhio al suo lettore quasi a suggerirgli che, di medici e avvocati, un po’ di bisogno c’è sempre.