1. Le Cronache
1. CATULLO. Carmi, I, vv. 1-7. A chi dono il nuovo grazioso libretto, levigato or ora dall’arida pomice? A te, Cornelio: tu infatti solevi dare una qualche importanza alle mie frottole, fin da quando, unico tra gli Itali, osasti illustrare la storia universale in tre libri, dotti, per Giove, e sudati.
2. AUSONIO. Lettere, XVI, 1 (p. 174 ediz. Schenkl) [Ausonio porge i suoi saluti a Probo prefetto del pretorio].
Ho mandato alla tua Eccellenza gli Apologhi di Tiziano e le Cronache di Nepote, (una specie di apologhi anch’esse, infatti assomigliano a favole) e mi rallegro e son fiero che ci sarà qualcosa che grazie alle mie attenzioni e premure possa essere destinato alla educazione dei tuoi.
3. TERTULLIANO, Apologetico, 10, 7.
Ora Saturno, stando ai commenti scritti, né il greco Diodoro o Tallo, né Cassio Severo o Cornelio Nepote, né altri interpreti di siffatte antichità lo hanno mai presentato diversamente da un uomo.
4. GELLIO, Le notti attiche, XVI I, 21, 3.
Di Omero e di Esiodo è pacifico tra tutti o quasi gli scrittori, o che furono all’incirca contemporanei o che Omero é un po’ più antico, ma che tutti e due vissero prima della fondazione di Roma, al tempo in cui in Alba regnavano i Silvii: più di 160 anni dopo la guerra di Troia, come di Omero e di Esiodo lasciò scritto Cassio nel libro primo degli Annali (fa. 8 Peter); circa 160 anni prima della fondazione di Roma, come di Omero dice Cornelio Nepote nel primo libro delle Cronache.
5. SOLINO, Miscellanea di cose memorabili, I, 27 [p. 7 dell’edizione del Mommsen]. Secondo Cincio Roma fu fondata al tempo della dodicesime Olimpiade. Secondo Pittore nella ottava. Per piepore e Lutazio, che approvano le tesi di Eratostene e Apollodoro, nell’anno secondo della settima olimpiade.
6. GELLIO, op. cit., XV, 16, 1. Milone di Crotone, atleta illustre, di cui nelle Cronache si dice che ebbe la corona nella cinquantesima olimpiade, fece una fine miserevole e curiosa.
7. GELLIO, op. cit., XVII, 21, 8. Di Archiloco Cornelio Nepote tramanda che quando a Roma regnava Tulio Ostilio, già allora era illustre e famoso per le sue poesie.
8. GELLIO, op. cit., XVII, 21, 23, 2-5. E non molto tempo dopo (che i Galli ebbero preso Roma, eccettuato il Campidoglio)... a Roma M. Manlio, che nell’assedio del Campidoglio aveva ricacciato giù i Galli mentre si arrampicavano per le sue balze, fu trovato colpevole di aver tramato per impadronirsi del regno e, condannato a morte, fu precipitato, come dice Varrone (>i>Ann. III, framm. 2 Peter) dalla rupe Tarpea; come invece ha lasciato scritto Cornelio Nepote, fu ucciso a suon di vergate.
9. SOLINO, op. cit., 40. 4 [p. 166+220 dell’edizione del Mommsen]. Si registra dunque che il tempio di Èfeso fu divorato dalle fiamme lo stesso giorno in cui nacque a Pella Alessandro Magno, il quale venne alla luce, come ci fa sapere Nepote, quando erano consoli M. Fabio Ambusto e T. Quinzio Capitolino, nell’anno 385 dalla fondazione di Roma.
2. Esempi
10. CARISIO. Arte grammatica, I, p. 185, 24 ediz. Barwick. Vestale: Nepote nel libro secondo degli Esempi, dice: a virgine Vestale invece che Vestali, perché indica non la persona ma la funzione.
11. GELLIO. op. cit., IV, 18, 1. Scipione Africano maggiore, quanto eccellesse per gloria di virtù e quanto fosse d’animo grande e magnifico e quale coscienza avesse di sé, è illustrato dalle moltissime cose che disse e che fece. Mi limito a questi due esempi della sua consapevolezza e della sua baldanza.
Il tribuno della plebe M. Nevio lo accusava davanti al popolo e diceva che aveva accettato denaro dal re Antíoco, perché stipulasse con lui a nome del popolo romano condizioni di pace più benevole e più miti, e poi citava altre colpe del genere indegne di tanto personaggio. Scipione allora, premesse poche parole che il suo prestigio e la sua gloria richiedevano, aggiunse: «Rammento, Quiriti, che oggi ricorre il giorno in cui in una memorabile battaglia sul suolo d’Africa io vinsi il cartaginese Annibale, l’implacabile nemico del vostro impero, e vi procurai una pace ed una vittoria che nessuno osava sperare. Non siamo dunque ingrati agli dèi immortali, e, secondo me, lasciamo stare questo ciarlatano e andiamo subito a ringraziare Giove Ottimo Massimo». Così detto, si volse e si avviò verso il Campidoglio. Allora tutta l’assemblea che si era radunata per pronunziare un giudizio su Scipione, lasciato il tribuno, accompagnò Scipione al Campidoglio e da lì gli tenne dietro fino a casa sua, con segni di letizia e di solenne gratitudine. Si ricorda anche un discorso, che a quanto sembra fu tenuto quel giorno da Scipione ed anche coloro che non lo dicono vero, non negano che quelle che ho citato sono le parole di Scipione.
Parimenti vi è un altro fatto molto famoso.
Certi Petilii, tribuni della plebe, messi su ed istigati contro di lui, a quanto si dice, da M. Catone, nemico di Scipione, reclamavano con gran foga in senato, che rendesse conto del denaro di Antíoco e della preda presa in quella guerra; era stato infatti in quella campagna militare luogotenente del fratello L. Scipione Asiatico, comandante in campo. Allora Scipione balza in piedi e tirato fuori dalle pieghe della sua toga un libro, disse che lì erano registrati i conti di tutto il denaro e di tutta la preda; era stato portato perché venisse letto pubblicamente e depositato nell’erario: «Ma certo ormai», disse, «non lo farò più, e non sarò io a recare oltraggio a me stesso»; e subito strappò davanti a tutti il libro con le sue mani e lo fece a pezzi, mal sopportando che si chiedesse il rendiconto del denaro proveniente dal bottino ad uno a cui bisognava mettere a credito la salvezza dello Stato e del suo impero.
12. GELLIO, op. cit., VI, 18, 2-15. <Dopo> la battaglia di Canne, Annibale, il generale cartaginese, scelse dieci dei nostri prigionieri e li mandò a Roma con l’incarico ed il patto che se il popolo romano fosse d’accordo, si facesse lo scambio dei prigionieri e per ognuno di questi, la parte che ne ricevesse di più desse in cambio una libbra e mezzo di argento. Prima che partissero, li impegnò a questo giuramento: che sarebbero ritornati nell’accampamento punico se i Romani non avessero fatto lo scambio dei prigionieri. Vanno a Roma i dieci prigionieri. Espongono in senato la proposta del duce cartaginese. Lo scambio al senato non piacque. I genitori, i parenti e gli affini dei prigionieri abbracciandoli dicevano che erano tornati in patria col diritto del postliminio e che la loro posizione era impregiudicata ed inattaccabile e li pregavano che non volessero tornare dal nemico. Allora otto di loro dissero che per loro non valeva il postliminio, perché si erano vincolati con giuramento, e subito, come avevano giurato, partirono alla volta di Annibale. Gli altri due rimasero a Roma e dicevano che erano sciolti e liberi dal vincolo perché, una volta usciti dall’accampamento dei nemici, con un falso pretesto erano tornati indietro, come se vi fossero andati per un qualche motivo casuale e così soddisfatto il giuramento, se ne erano andati da lì senza più vincoli. Questa loro astuzia fraudolenta fu ritenuta tanto turpe, che furono disprezzati e vilipesi dalla gente ed i censori poi li bollarono con tutti i marchi del danno e dell’ignominia, perché non avevano fatto quello che con giuramento s’erano impegnati di fare.
Ora Cornelio Nepote, nel libro quinto degli Esempi, ha ricordato anche questo: che nel senato molti avevano proposto che i renitenti fossero riaccompagnati sotto scorta da Anníbale ma furono messi in minoranza dal numero dei contrari a una tale soluzione: ma quelli che non erano tornati da Anníbale, divennero così abietti e invisi, che furono presi da disgusto per la vita e si dettero la morte.
13. GELLIO, op. cit., VI, 19, 1. Un gesto bello e liberale e magnanimo di Tiberio Sempronio Gracco è riportato negli Esempi. Ecco come si svolse il fatto. Il tribuno della plebe L. Minucio Augurino aveva inflitto una multa a L. Scipione Asiático, fratello di P. Scipione Africano maggiore, e pretendeva da lui per tale motivo dei garanti. Scipione Africano a nome del fratello fece appello al collegio dei tribuni e chiedeva che difendessero, dalla prepotenza di un loro collega, uno che era stato console e trionfatore. Otto tribuni, esaminata l’istanza, emisero il decreto. Le parole di tale decreto, che qui riporto, sono state trascritte dagli Atti degli annali: «Relativamente alla richiesta avanzata da P. Scipione Africano in favore del fratello L. Scipione Asiático, che noi lo difendiamo dalla violenza del collega, dato che il tribuno della plebe, contravvenendo alle leggi ed al costume dei padri, in un’assemblea convocata con la costrizione senza aver preso gli auspici ha pronunciato una sentenza contro di lui e gli ha inflitto una multa senza un precedente e pretende per questo che egli presenti i garanti altrimenti lo farà mettere in carcere; e relativamente alla richiesta avanzata dal collega, che non gli impediamo di potersi avvalere della sua potestà, su questa faccenda ecco qual è la deliberazione di tutti noi: se L. Cornelio Scipione Asiático, in conformità alla decisione del collega darà i garanti, noi colleghi impediremo che lo porti in carcere; se non darà i garanti in conformità alla sua decisione, non impediremo al collega di far uso della sua potestà».
Dopo questo decreto, il tribuno Augurino ordinò che L. Scipione che non presentava garanti, fosse preso e portato in carcere; allora Tiberio Sempronio Gracco, tribuno della plebe, padre dei Gracchi Tiberio e Caio, che era nemico dichiarato di P. Scipione Africano a motivo di numerosi contrasti politici, giurò pubblicamente che non era tornato in amicizia né in buoni rapporti con P. Africano e così lesse dal protocollo il suo decreto. Ecco le parole del decreto: «L. Cornelio Scipione Asiático, col suo trionfo, ha gettato in carcere i condottieri dei nemici; sembra contrario al prestigio dello Stato che un generale del popolo romano sia condotto nel luogo in cui sono stati da lui rinchiusi i condottieri dei nemici. Così sottraggo L. Cornelio Scipione Asiático alla violenza del collega.»
14. S. AGOSTINO, Opera incompiuta contro Giuliano, IV, 43. Pensa al fatto famoso del tebano Cratete, uomo ricco e illustre che si infatuò della setta dei cinici a tal punto, che lasciando le sostanze paterne si trasferì ad Atene con la moglie Ipparchia, seguace ugualmente fanatica di cotesta filosofia: mentre lui voleva, come racconta Cornelio Nepote, fare l’amore con lei in pubblico, poiché quella per nascondersi si stendeva addosso a guisa di coperta un mantello, fu picchiata dal marito: «Si vede che sei ancora poco salda nelle tue convinzioni, se non osi praticare in presenza di altri quello che sai che puoi fare rettamente».
15. SVETONIO, Augusto, 77. Anche nell’uso del vino (Ottaviano) era per natura estremamente parco. Cornelio Nepote riferisce che nell’accampamento di Modena durante il pranzo non beveva di solito più di tre volte.
16. POMPONIO MELA, op. cit., III, 9, 90. Un certo Eudosso al tempo dei nostri nonni mentre cercava di sfuggire a Látiro re di Alessandria, uscito dal golfo arabico, attraverso questo mare (l’etiopico), come afferma Nepote, giunse fino a Cádice: così abbiamo una qualche conoscenza delle sue (i. e. dell’Africa) coste.
17. POMPONIO MELA, op. cit., III, 5, 14. Che cosa ci fosse al di là del golfo Caspio rimase incerto per alquanto tempo: se lo stesso Oceano o la terra inospitale per il freddo, estesa senza confini e senza fine. Ma oltre ai naturalisti e ad Omero, Cornelio Nepote, più autorevole in quanto più moderno, sostiene che tutta la terra è circondata dal mare: cita come testimone di questo Quinto Metello Celere e riferisce questo suo racconto. Quando governava la Gallia come proconsole, gli furono mandati in dono dal re dei Boti alcuni Indiani. Interrogatili da quali terre fossero partiti per giungere fin là, venne a sapere che essi strappati dall’oceano indiano dalla violenza delle tempeste, dopo aver attraversato le regioni che si frappongono, erano finalmente approdati alle spiagge della Germania.
18. PLINIO, Storia naturale, III, 1, 4. Tito Livio e Cornelio Nepote ci hanno dato una larghezza (dello stretto di Cadice) di meno di sette miglia, nel punto più largo di dieci miglia.
19. PLINIO, op. cit., III, 17, 125. Perirono anche i Caturigi, esuli dagli Insubri e Spina ricordata sopra e parimenti Melpo illustre per la ricchezza, distrutta da Ìnsubri e Boi e Sènoni lo stesso giorno in cui Camillo prese Veio, come racconta Cornelio Nepote.
20. PLINIO, op. cit., III, 18, 127. Al di là di quella ( = Aquileia) il fiume Formione... antico confine dell’Italia ingrandita, ora però dell’Istria, che molti, e anche Nepote che era abitante del Po, dissero a torto denominata dal fiume Istro che staccandosi dal fiume Danubio, anch’esso chiamato Istro sbocca nell’Adriatico di fronte alle foci del Po, così che il mare frapposto si addolcisce per l’incontro delle loro opposte correnti.
21. PLINIO, op. cit., III, 19, 132. Cornelio Nepote dice che le Alpi si estendono in larghezza cento miglia, Tito Livio (fragm. 57 Hertz) tre mila stadi, l’uno e l’altro riferendosi a punti diversi.
22. PLINIO, op.. cit., IV, 12, 77. Tra i due Bosfori, il Tracio ed il Cimmerio, in linea retta, come ci attesta polibio, intercorrono cinquecento miglia. il perimetro poi di tutto il ponto duemilacentocinquanta miglia, come afferma Varrone e in genere gli antichi. Cornelio Nepote vi aggiunge 350 miglia.
23. PLINIO, op. cit., V, 1, 4. Si meraviglierebbero di meno, certamente, delle portentose falsità della Grecia dette a proposito di questi (i. e. gli oleastri del bosco aurifero) e del fiume Lisso, coloro che ponessero mente che i nostri, e poco fa, hanno raccontato sugli stessi argomenti cose poco meno mirabolanti: che questa città (Lisso) fu molto potente e più grande della Grande Cartagine, inoltre situata di fronte a quella e ad una distanza pressoché im mensa da Tinge e quelle altre cose che ha bevuto con tanta avidità Cornelio Nepote.
24. PLINIO, op. cit., VI, 2, 5. Oltre il quale (i. e. il fiume Billi) vi è la gente Paflagonia che alcuni chiamarono Pilemenia, chiusa alle spalle dalla Galazia, Mastia città dei Milesii, poi Cromna, nel qual luogo Cornelio Nepote colloca gli Eneti, dai quali ritiene che si debba credere che abbiano avuto origine i Vèneti d’Italia, loro omonimi.
25. PLINIO, op. cit., VI, 11, 31. Alcuni hanno tramandato che tra il Ponto ed il Mar Caspio intercorrono non più di trecentosettantacinquemila passi; Cornelio Nepote duecentocinquantamila: l’Asia è segnata istmi tanto grandi.
26. PLINIO, op. cit., VI, 31, 199. Polibio ha lasciato scritto che Cerne, nella parte estrema della Mauritania, di fronte al monte Atlante, dista dalla terra otto stadi, Cornelio Nepote afferma che esattamente opposta a Cartagine dista mille passi dal continente, con un perimetro di non più di due miglia.
27. PLINIO, op. cit., IX, 17, 60. Presso gli antichi il pesce più pregiato è stato ritenuto lo storione... Cornelio Nepote e il poeta di mimi Laberio ci hanno detto che, dopo, il maggiore pregio toccò alla spigola ed ai naselli.
28. PLINIO, op. cit., IX, 39, 137. Cornelio Nepote, che morì sotto il principato di Augusto, dice: «Quando ero giovane, era di moda la porpora violacea, che si vendeva a cento denari la libbra e non molto dopo, quella rossa di Taranto. A questa succedette quella a doppia tinta di Tiro, che non bastavano a comprarla mille denari a libbra. Si rinfacciava all’edile curule P. Lèntulo Spintere di averla adoperata per primo per la sua pretesta. Ormai, dice, chi non fa con questa porpora i divani triclinari? Spintere fu edile nell’anno 691 dalla fondazione di Roma, quando era console Cicerone».
29. PLINIO, op. cit., X, 33, 60. Cornelio Nepote, che morì sotto il principato di Augusto, scrivendo che si era incominciato ad ingrassare i tordi poco prima, aggiunse che le cicogne piacevano più delle gru, mentre adesso questo uccello è tra i più ricercati, quell’altro nessuno vuole assaggiarlo.
30. PLINIO, op. cit., 17, 104. La stessa Africa, nella parte rivolta verso di noi, produce un albero insigne, il loto, che chiama celti, diffuso anche in Italia, ma modificato a causa del terreno. Cresce soprattutto presso le Sirti ed i Nasamoni. Ha la grandezza di un pero, quantunque Cornelio Nepote lo dica basso. Le foglie hanno nervature più fitte, altrimenti sembrerebbero di un elce. Ve ne sono molte varietà che si distinguono soprattutto per i frutti. Questi hanno la grossezza di una fava, il colore del croco, che però prima della maturazione cambia spesso, come quello dell’uva. Nascono fitti sui rami, alla maniera del mirto, non come le ciliegie in Italia; tanto dolce là al gusto che ha dato persino il nome alla gente ed alla terra, troppo ospitale verso gli stranieri da far dimenticare la patria. Dicono che coloro che lo mangiano non soffrano di malattie intestinali. È meglio quello senza il nocciolo, che in un’altra varietà ha la consistenza dell’osso. Se ne spreme anche un vino simile al vino melato che però secondo quanto afferma lo stesso Nepote non dura più di dieci giorni e le bacche sminuzzate vengon riposte insieme con la spelta nelle botti per l’alimentazione. Anzi sappiamo che anche gli eserciti se ne sono cibati nelle loro marce in lungo ed in largo attraverso l’Africa.
31. PLINIO, op. cit., XVI, 10, 36. La scàndola di rovere è la più adatta, subito dopo viene quella delle altre piante ghiandifere e del faggio; la più facile a lavorarsi è la scàndola di tutte le piante resinose, ma è anche quella che dura di meno, se si eccettua il pino. Cornelio Nepote attesta che Roma fu coperta di scandole per 470 anni fino alla guerra di Pirro.
32. PLINIO, op. cit., XXXIII, 11, 146. Cornelio Nepote tramanda che prima della vittoria di Silla c’erano a Roma solo due triclini d’argento.
33. PLINIO, op. cit., XXXV, 3, 16. Il primo a colorare i disegni con la polvere di coccio fu, a quanto si dice, Ecfanto di Corinto. Mostreremo tra breve che questo, pur avendo lo stesso nome, è diverso da quello di cui Cornelio Nepote dice che seguì in Italia Damarato, padre del re romano Tarquinio Prisco, mentre fuggiva da Corinto le persecuzioni del tiranno Cipselo.
34. PLINIO, op. cit., XXXVI, 6, 48. Il primo in Roma ad aver coperto completamente con un rivestimento di marmo le pareti della sua casa sul monte Celio. Cornelio Nepote dice che fu Mamurra, nato a Formia, cavaliere romano, prefetto del genio di Cesare nella Gallia; un ritrovato di un tale inventore, perché nulla manchi a tale sconvenienza! Costui infatti è quel Mamurra strapazzato dai carmi di Catullo Veronese, del quale la sua stessa casa diceva, più chiaramente di Catullo, che aveva tutto quello che aveva posseduto la Gallia Comata. Infatti lo stesso Nepote aggiunge che fu il primo ad avere in ogni parte della sua casa solo colonne di marmo, e tutte di un sol blocco, di Caristo o di Carrara.
35. PLINIO, op. cit., XXXVI, 7, 59. I nostri antichi credevano che l’onice nascesse solo nei monti dell’Arabia né in alcun altro luogo; Sudine, in Carmania. Dapprima si fecero con esso vasi da bere, poi piedi di letto e sedili. Cornelio Nepote ricorda che fu grande meraviglia, quando P. Lentulo Spintere mostrò anfore di onice della grandezza dei vasi di Chio e che cinque anni dopo egli vide colonne di 23 piedi di lunghezza.
36. PRISCIANO, Istituzioni grammaticali, VIII, 17, p. 383, 4 H. Nepote: «Il tempio di Marte nel circo Flaminio è stato architettato (est... architectata) da Ermodoro di Salamina»: architectata, usò in senso passivo: ἀρΧιτεχτονευεῐσα.
3. Vita e costumi di Marco Catone Censorio
37. CORNELIO NEPOTE, Catone, 3, 5. Della sua vita e dei suoi costumi abbiamo parlato più diffusamente nel libro che su di lui abbiamo scritto a parte, su richiesta di Tito Pomponio Áttico. Perciò rimandiamo a quel libro gli interessati alla figura di Catone.
4. Vita di Marco Tullio Cicerone
38. GELLIO, op. cit., XV, 28, 1. Cornelio Nepote fu scrupoloso nella registrazione dei fatti e amico intimo di Marco Cicerone. Eppure egli nel primo dei libri che compose sulla sua vita, sembra essere caduto in errore, quando scrisse che aveva sostenuto per la prima volta all’età di ventitré anni una causa di diritto pubblico difendendo Sesto Roscio accusato di parricidio.
39. S. GIROLAMO, Contro Giovanni di Gerusalemme, 12. Riferisce infatti Cornelio Nepote, che il discorso in difesa di Cornelio, tribudo sedizioso, fu pronunziato in sua presenza pressoché con le stesse parole con le quali fu pubblicato.
5. Dalle Lettere di Cornelio Nepote a
Cicerone
40. LATTANZIO, Istituzioni divine, III, 15, 10. Anche Cornelio Nepote così scrive allo stesso Cicerone:
«Sono tanto lontano dal ritenere la filosofia maestra di vita e realizzatrice di felicità, che ritengo anzi che nessuno abbia maggior bisogno di maestri di vita, dei tanti che non fanno altro che disputarti di filosofie.
Vedo infatti che la gran parte di coloro che nella loro scuola discettano con tanto acume sul pudore e la c ontinenza, vivono poi in mezzo alle cupidigie di tutte le libidini».
6. Gli uomini illustri
41.S. GIROLAMO, Gli uomini illustri. Prefazione. Presso i latini poi (scrissero degli uomini illustri) Varrone, Santra, Nepote, Igino e Tranquillo, all’esempio del quale tu ci esorti.
42. CARISIO, op. cit., II, p. 284, 21 Barwick. Subinde («subito dopo»): Nepote nel libro II degli Uomini illustri.
43. CARISIO, op. cit., I, p. 179, 5 Barwick. Partum («delle parti»). Cesare nella Analogia (fr. 25 Funaioli) harum «partum» («di queste parti»). Cornelio Nepote nel libro XV degli Uomini illustri.
44. CARISIO, op. cit., I, p. 178, 20 B. Patruele: Ab hoc patruele. Cornelio Nepote nel libro XVI degli Uomini illustri dice: a fratre patruele («dal cugino per parte di padre»).
45. DIOMEDE, Arte grammatica, I, in Grammatici Latini, vol. I, p. 410, 7 Keil. Prope, prope me est («vicino: è vicino a me»: <con l’accusativo>). Ma anche al caso dativo: lo stesso Cicerone disse ad Áttico: Propius grammatico accessi («mi sono avvicinato di più al grammatico»). Nepote <negli Uomini> illustri. Sallustio: Proxima Carthagini loca («luoghi vicinissimi a Cartagine»).
46. CORNELIO NEPOTE, Dione, 9, 5. A questo proposito (i. e. della morte di Dione), come si è detto spesso in precedenza, ognuno poté facilmente capire quanto sia malvisto il potere di uno solo e quanto degna di compassione la vita di coloro che preferiscono essere temuti piuttosto che amati.
47. PLUTARCO, Confronto tra Pelopida e Marcello, 1. Anníbale non fu vinto da Marcello, come dice Polibio, neppure una volta, ma sembra che sia rimasto imbattuto fino a Scipione. Noi però crediamo a Livio, a Cesare e a Nepote e fra gli scrittori in greco al re Giuba, che ci furono sconfitte e ripiegamenti ad opera di Marcello delle truppe di Anníbale. Ma queste non ebbero mai un peso decisivo, ma sembra che si trattasse in quegli scontri di finte cadute da parte del Libico.
48. PLUTARCO, Vita di Marcello, 30. Anníbale tenne in pochis simo conto gli altri; ma quando venne a sapere che Marcello era caduto, accorse di persona sul luogo e stette accanto al morto e osservò a lungo la forza e l’aspetto del corpo, senza lasciar uscir di bocca una parola sprezzante, né trasparire dagli occhi contentezza, come di chi avesse ucciso un nemico molesto e difficile. Ma dopo aver espresso il suo stupore per la stranezza della morte, gli tolse l’anello dal dito, e composto il corpo con gli ornamenti che meritava, e vestitolo decorosamente, lo fece cremare. Raccolse i resti in un’urna d’argento, vi pose sopra una corona d’oro e la mandò al figlio. Un gruppo di Numidi imbattutisi nei portatori tentarono di strappar loro di mano la cassa, ma respinti dalla dura reazione di quelli, nella zuffa mandarono disperse le ossa. Anníbale come fu informato dell’accaduto, disse ai presenti che non si può far nulla contro la volontà divina; punì i Numidi, ma non si curò più della raccolta e del recapito di questi resti, come se per volontà di qualche dio fosse toccata a Marcello in modo così assurdo e la morte e la privazione di sepoltura. Così almeno raccontano Cornelio Nepote e Valerio Màssimo; Livio e Cesare Augusto affermano invece che l’urna con le ceneri fu recapitata al figlio ed ebbe splendida sepoltura.
49. SERVIO, Commento a VIRG. Eneide, I, 368. Cartagine infatti prima ebbe l’aspetto di una doppia fortezza, come se l’una abbracciasse l’altra: la parte interna era chiamata Birsa, l’esterna Magalia. La cosa è testimoniata da Cornelio Nepote in quel libro che si intitola Vita degli uomini illustri.
50. PLUTARCO, Vita di Tiberio Gracco, 21. Fecero la votazione ed elessero Publio Crasso, che era imparentato con Caio Gracco; la figlia di lui Licinia infatti era sposata con Gaio Crasso. Veramente Cornelio Nepote afferma che Gaio aveva sposato non la figlia di Crasso, bensì di Bruto, il trionfatore dei Lusitani. Ma i più raccontano come scriviamo noi.
51. PLUTARCO, Vita di Lucullo, 43. E poco prima della morte, si dice che la mente gli si offuscò e a poco a poco svanì. Ma Cornelio Nepote dice che Lucullo non uscì di senno per vecchiaia o malattia, bensì avvelenato dai filtri di uno dei suoi liberti, Callistene. Questi gli aveva somministrato dei filtri per essere più amato da lui, perché sembrava che avessero un tale potere; ma in realtà gli turbarono e sommersero la ragione, tanto che, quando era ancora vivo, l’amministrazione del suo patrimonio fu curata dal fratello. sn13,15,18(02)
52. SVETONIO, I poeti, 6, 1, p. 27, 2 ed. Reifferscheid. Questi (Terenzio) godette dell’amicizia di molti nobili, ma soprattutto di scipione l’Africano e di C. Lelio. si ritiene che ne avesse guadagnato le simpatie anche grazie alla sua bellezza, particolare che Fenestella contesta (fr. 9 peter), sostenendo che era più grande di età di entrambi, quantunque anche Nepote dica che fossero tutti coetanei.
53. SVETONIO, I poeti, 6, 3, p. 31, 2, ed. Reifferscheid. Nepote dice di aver saputo da fonte sicura che C. Lelio un giorno, era il primo di marzo, nella sua villa di Pozzuoli, avvertito dalla moglie che venisse a cena per tempo, chiese a lei che non lo disturbasse ed entrato nel triclinio in ritardo disse che poche altre volte aveva scritto con maggior lena: chiestogli poi che facesse conoscere quegli scritti, declamò quei versi che si leggono nel Punitor di se stesso (Terenzio, v. 723):
«Con molta protervia, per Polluce, mi hanno portato qua le promesse di Siro».
54. CORNELIO NEPOTE, Dione, 3, 2. Nello stesso tempo (Dionigi) fece tornare a Siracusa lo storico Filisto, un amico non tanto del tiranno quanto della tirannide. Ma di costui ho parlato più diffusamente nel libro che ho composto sugli storici greci.
55. GELLIO, Notti attiche, XI, 8, 1-5. Giustamente e molto elegantemente si dice che Marco Catone riprendesse Aulo Albino. Albino, che fu console con Lucio Lucullo, scrisse una storia romana in lingua greca. All’inizio dell’opera è scritto all’incirca così: non era giusto che qualcuno si adirasse con lui, se per caso in quei libri qualcosa fosse scritto con poca eleganza o scarsa perizia: «infatti, dice, sono romano, nato nel Lazio, la lingua greca è del tutto a noi estranea»; e così chiese che gli venisse risparmiato un cattivo giudizio nel caso ci fosse qualche errore. Quando Catone ebbe lette queste parole disse: «tu sì, Aulo, che sei un burlone per davvero, quando preferisci chiedere scusa della colpa piuttosto che evitare la colpa. Di solito chiediamo venia quando abbiamo sgarrato senza saperlo o quando abbiamo sbagliato per costrizione. Di grazia, chi ti ha costretto a fare quello che tu chiedi che ti venga perdonato prima ancora che lo abbia fatto?». Questo è scritto nel libro xiii degli Uomini illustri di Cornelio Nepote.
56. SVETONIO, I retori, 27 (3), p. 124, 4, ed. Reifferscheid. (L. Voltacillo Pitolao) insegnò a Gn. Pompeo Magno ed espose in diversi libri le imprese del padre di lui come anche le sue; fu il primo liberto in assoluto, come ritiene Cornelio Nepote, a porre mano alla storia che fino a quel tempo, di solito, era scritta solo dai personaggi più illustri.
57. Anonimo Gudiano, dal Codice di Wolfenbüttel, n. 278.
a. Cornelio Nepote nel libro Gli storici latini, sulla gloria di Cicerone:
«Devi sapere che solo questo genere letterario in latino ancora non è all’altezza della Grecia: non solo, ma è stato lasciato grezzo ed appena abbozzato dalla morte di Cicerone.
Egli infatti fu l’unico che avrebbe potuto ed anche dovuto trattare la storia con voce autorevole, lui che aveva ricevuto dai predecessori l’eloquenza oratoria grezza e l’aveva perfezionata e la filosofia latina prima disadorna, aveva portato all’altezza della sua oratoria.
Quindi, non so chi debba dolersi maggiormente della sua morte, se lo Stato o la storia».
b. Lo stesso. «La ricca e divina natura per suscitare una maggiore ammirazione di sé e per far meglio apprezzare i suoi benefici né volle darli tutti ad uno, né al contrario, negarli tutti a nessuno».
58. Vari codici di Cornelio Nepote dopo la «Vita di Áttico».
a. Parole dalla lettera di Cornelia madre dei Gracchi, estratte dal libro Gli storici latini di Cornelio Nepote.
Dirai che è bello vendicarsi dei nemici. A nessuno questo sembra essere più importante e bello che a me, ma a patto che sia possibile raggiungere questo scopo, fatto salvo lo Stato. Ma finché questo non si può ottenere, per molto tempo e in molti luoghi i nostri nemici avranno salva la pelle e saranno come sono adesso, piuttosto che lo Stato venga sconfitto e perisca.
b. La stessa in altro luogo.
Oserei giurarlo con formula solenne: a parte quelli che uccisero Tiberio Gracco, nessun nemico mi ha recato tanta angustia ed affanno, quanto tu per queste faccende: tu, che di tutti i figlioli che ebbi in precedenza dovevi assumere le loro veci e preoccuparti che io nella mia vecchiaia avessi il meno possibile di affanni e ricercare con tutte le forze che ogni tuo atto fosse a me gradito e ritenere di sacrilego agire nelle cose di maggiore importanza contro la mia volontà, tanto più che a me rimane da vivere tanto poco. Neppure un così breve spazio di tempo mi può recare quest’aiuto: che tu non mi sia ostile e non sovverta lo Stato?
Insomma quando la faremo finita? quando mai smetterà la nostra famiglia di far follie? Ci potrà mai essere una misura in questa faccenda? Quando mai smetteremo di dare e ricevere molestie? Quando ci si vergognerà di rimescolare e di sconvolgere lo Stato? Ma se questo non si potrà assolutamente fare, concorri per il tribunato, quando sarò morta io; per conto mio potrai fare quello che vorrai, quando io non sentirò più.
Quando sarò morta, mi farai onoranze funebri ed invocherai la divinità della madre. Ma allora non ti vergognerai di chiedere le preghiere di quegli dèi che tu da vivi e presenti avevi lasciati soli ed abbandonati?
Non permetta Giove che tu perseveri per quella strada, né che ti venga in mente tanta follia. E se perseveri, temo che per tutta la vita, per la tua colpa, riceva tanto affanno, che non potrai mai più esser contento di te.
59. FRONTONE, Lettere a Vero, II, 1. Nepote sul fatto di Numanzia: Vi erano uomini fatti venire da ogni parte, tra i popoli della Spagna.
60. SVETONIO, I grammatici, 4. Si impose in forza della tradizione greca la denominazione di grammatici; ma all’inizio venivano chiamati letterati. Anche Cornelio Nepote nell’operetta in cui distingue il letterato dall’erudito, dice che si chiamano comunemente letterati coloro che con diligenza ed acutezza e cognizione possono parlare o scrivere su un qualche argomento, ma in senso proprio debbono esser chiamati così gli interpreti dei poeti, che dai Greci sono chiamati grammatici.
7. Poesie
61. PLINIO IL GIOVANE, Lettere, V, 3, 1.
Le tue tantissime dimostrazioni di affetto mi sono gradite e mi recano piacere, soprattutto il non aver voluto tenermi nascosto che a casa Pua si è parlato a lungo ed vmpiamente dei miei versucci e che il di scorso si è protrattotanto per la diversità dei giudizi e che vi sono stati certuni che non biasimavano certo gli scritti ma amichevolmente e affabilmente mi rimproveravano che io scrivessi e recitassi queste cose...
E non mi dispiace che sia tale la stima della mia condotta di vita da suscitare meraviglia per i miei scritti in coloro che non sanno che cose del genere le hanno scritte personaggi dottissimi, serissimi, degnissimi... tra i quali vanno annoverati in primo luogo P. Virgilio, Cornelio Nepote e, prima, Accio ed Ennio.
8. Da opere incerte
62. CARISIO, op. cit., I, p. 128, 9 Barwick. Largitudo («liberalità») non si trova in nessun luogo se non presso Nepote.
63. ANONIMO, I nomi dubbi, in Grammatici Latini, V p. 576, 12 Keil. Culmum («stelo») di genere neutro, come vuole Nepote.