CAPITOLO CINQUANTASEI
— Non puoi andare un po’ più forte? — sbottò Aoife. — Se scendessimo a spingere, questa carretta andrebbe più veloce.
— Ho il piede premuto sull’acceleratore — replicò Niten. — Ma è una macchina di quarant’anni fa e ha un motore da cinquanta cavalli.
— Che razza di rottame — brontolò Aoife. Si voltò a guardare Sophie distesa sul sedile posteriore. Allungò un braccio e le tirò una coperta sulle spalle. — Da un Antico Signore ci si aspetterebbe qualcosa di meglio di un pulmino.
— È già tanto che Prometeo ne avesse uno. E non è un pulmino, è un microbus — replicò l’immortale giapponese. — Mi piace. È un Volkswagen del 1964. E ha ancora la verniciatura rossa e bianca originale. Di solito modelli così li trovi dipinti di tutti i colori dell’arcobaleno.
— Ti dovresti ascoltare. Da quando sei diventato un esperto di auto? — chiese Aoife, sarcastica.
Un lievissimo sorriso increspò le labbra di Niten. — Te lo ricordi, vero, che colleziono auto d’epoca?
Aoife lo guardò, sorpresa. — No — ammise infine. — Non lo sapevo.
— Da quanto tempo mi conosci? — chiese Niten.
Lei aggrottò la fronte. — Ci siamo conosciuti durante una battaglia, mi sembra.
— La battaglia di Sekigahara, nel 1600.
Aoife annuì lentamente. — Sì, me lo ricordo.
— Ti avevo scambiata per Scathach — le rammentò lui.
Aoife sorrise e annuì di nuovo.
— Ma non appena abbiamo iniziato a combattere, ho capito che non eri la stessa ragazza contro cui avevo già duellato. Avevi uno stile diverso.
— E ti ho battuto — gli ricordò lei.
— Sì. Soltanto quella volta. — Niten fece ruotare l’ampio volante, manovrando il pulmino nella stretta strada a due corsie. — Così mi conosci da più di quattrocento anni… eppure che cosa sai davvero di me?
Aoife fissò l’immortale vestito di nero e scosse la testa. — Non molto — ammise.
— E come mai?
Lei scrollò le spalle.
— Perché la cosa non ti ha mai interessato — continuò Niten, con garbo. — Sei la persona più egoista ed egocentrica che abbia mai conosciuto.
La guerriera strizzò le palpebre, sorpresa. — Lo dici come se fosse una brutta cosa.
— Non è una critica. È solo una constatazione.
Viaggiarono a lungo in silenzio prima che Aoife si decidesse a parlare. — Allora, dopo quattrocento anni, perché me lo dici ora?
— Sono solo curioso — replicò Niten. Puntò gli occhi scuri sullo specchietto retrovisore e piegò la testa per guardare Sophie. — Non conosci questa ragazza. L’hai incontrata soltanto ieri, e ho avuto l’impressione che non ti piacesse, o che ti facesse paura.
— Io non ho paura di nessuno — ribatté Aoife.
Niten fece un cenno col capo. — In battaglia sei impavida — concordò diplomaticamente. — Allora perché la stiamo accompagnando a scontrarsi con un avversario potente e pericoloso?
Aoife guardò dritta davanti a sé, e quando finalmente rispose, lo fece con una voce smarrita e distante. — Sta cercando il suo gemello.
— Ed è l’unica ragione?
— Mi ha chiesto aiuto. Sai chi è stata l’ultima persona ad averlo fatto?
Niten scosse la testa, anche se sospettava di conoscere la risposta.
— La mia gemella, Scathach. E io ho rifiutato. — Aoife si voltò a guardare Sophie. — Non voglio commettere di nuovo lo stesso errore.
— Questa ragazza non è la tua gemella.
— Ma mi ha chiesto aiuto, amico mio. Era da moltissimo tempo che qualcuno non mi chiedeva qualcosa. — La guerriera si bloccò, cercando la parola giusta. — È una questione di responsabilità.
— Ah, lo capisco. — L’immortale giapponese svoltò a destra, imboccando la Shoreline Highway in direzione di San Francisco. — È il senso di responsabilità a distinguere gli uomini dalle bestie… e dagli Antichi Signori — aggiunse. — Senza offesa.
— Figurati.
Continuarono in silenzio, a lungo.
D’un tratto, Aoife disse: — Allora, raccontami di questa collezione. Cioè, stiamo parlando di macchine vere o di modellini?