CAPITOLO QUATTORDICI
Josh Newman aveva trovato la porta sul retro della libreria aperta. Entrò nel corridoio e si scrollò lo zaino dalle spalle, aspettando che gli occhi si abituassero alla penombra. Il tanfo era incredibile: un miscuglio di putredine e muffa, un odore stantio e nauseabondo coperto dal fetore disgustoso delle uova marce. Cercò di respirare solo con la bocca. Chiudendo gli occhi, si concentrò sui suoni. Da quando Marte Ultore lo aveva risvegliato, si era reso conto di quanto anche l’udito, il gusto e l’olfatto fossero importanti. Gli esseri umani moderni tendevano ad affidarsi soprattutto alla vista; Josh aveva capito che i suoi sensi risvegliati erano gli stessi che l’uomo primitivo aveva posseduto e di cui si era servito per sopravvivere.
Ma non c’erano suoni nell’edificio: anche da quel punto di vista sembrava deserto.
Meno di una settimana prima, Josh era corso avanti e indietro per quel corridoio scaricando una consegna di libri dal furgone. Ormai tutti gli scatoloni che aveva impilato con tanta cura erano neri di muffa, con i fianchi squarciati, i libri gonfi come frutti marci, quasi irriconoscibili.
Meno di una settimana prima.
All’improvviso il ragazzo si rese conto di quante cose fossero cambiate negli ultimi giorni, di quante cose avesse scoperto e di quanto poco lui – e il resto del mondo – sapessero della verità.
Fece un respiro profondo, e l’aria fetida gli si bloccò in gola. Poi aprì gli occhi e percorse in punta di piedi il corridoio, aprì la porta ed entrò in libreria. Si fermò, sbalordito.
Il negozio era una rovina irriconoscibile, nascosto sotto uno spesso strato di polvere e di muffa. Marciva sotto il suo stesso sguardo. Il sole che penetrava dalle finestre sudice mostrava che l’aria era piena di spore.
Josh serrò le labbra; non voleva rischiare che gliene entrasse qualcuna in bocca. Fece un passo avanti e notò che le assi cigolanti del pavimento cedevano sotto il suo peso. Una bolla di liquido nero si formò sul legno, e il suo piede cominciò ad affondare. Ritraendosi di scatto, il ragazzo si schiacciò contro il muro, solo per scoprire che anche quello era viscido e marcio. L’intonaco era così morbido che le sue dita vi affondarono dentro.
Guardandosi intorno, Josh comprese inorridito che la muffa si stava letteralmente mangiando il negozio, attecchendo ovunque: sul legno, sulla carta, sul tappeto. Che aspetto avrebbe avuto quel posto nel giro di un paio d’ore?
Era andato in libreria perché Nicholas e Perenelle abitavano al piano di sopra e sperava che fossero tornati lì. Lanciò uno sguardo verso l’alto e notò lo squarcio sul soffitto, con i fili elettrici e le travi in putrefazione. Si chiese quanto tempo ci sarebbe voluto prima che i supporti cedessero e il piano di sopra crollasse insieme al resto fin giù in cantina.
Avanzò a ridosso del muro, verso le scale. Era plausibile che i Flamel avessero più di un indirizzo in città; probabilmente avevano allestito dei luoghi in cui fuggire in caso di pericolo imminente. Sperava di riuscire a trovare un indirizzo al piano di sopra, una bolletta, una lettera, qualcosa, qualunque cosa lo aiutasse a capire dove fossero. Il corrimano si mosse quando lo afferrò; il legno aveva la consistenza della gelatina.
Josh ritrasse la mano disgustato, e stava per strofinarsela sui jeans quando si fermò. Se quella schifezza nera era capace di mangiarsi i muri, cosa avrebbe fatto ai suoi pantaloni? L’ultima cosa di cui aveva bisogno era che gli marcissero i pantaloni sulle gambe. E se la muffa avesse intaccato anche la carne? Rabbrividì. La voglia di voltarsi e scappare era fortissima, ma sapeva che i Flamel rappresentavano la sua unica possibilità di ritrovare Sophie, così cominciò a salire le scale.
Ogni singolo gradino si muoveva sotto il suo peso. Era a metà strada quando affondò con tutto il piede nel legno, con uno schiocco sordo. La rampa ondeggiò, e Josh capì che sarebbe crollata. Si slanciò in avanti, mentre le scale tremavano e crollavano al piano di sotto. Andò a sbattere con il petto sul pianerottolo e rimase con le gambe a penzoloni, mentre con le dita cercava disperatamente di aggrapparsi alla moquette del piano superiore; la stoffa però si sfilacciava a ogni tentativo. Cercò di gridare, ma il suono gli si strozzò in gola. Quando un intero pezzo di moquette gli rimase nella mano, Josh scivolò all’indietro…
E delle dita di acciaio lo afferrarono per i polsi.
Josh si sentì sollevare e si ritrovò di fronte i vivaci occhi verdi di Perenelle Flamel.
— Josh Newman — mormorò la donna, mentre lo depositava con delicatezza sul pianerottolo. — Non ti aspettavamo.
Nicholas uscì da una stanza e si fermò accanto alla moglie. — Ci aspettavamo… guai — disse. — Sono contento di vederti.
Josh si strofinò i polsi intorpiditi. La forza di Perenelle era stupefacente. Gli aveva quasi slogato una spalla, per sollevarlo in aria. Si tastò il petto, nel punto in cui aveva battuto, e fece un respiro profondo. Era indolenzito, ma sembrava che non ci fosse niente di rotto.
— Come mai qui, Josh? — chiese Perenelle, scrutandolo in viso. Si rispose da sola: — Sophie.
— Sophie è sparita — disse Josh, tutto d’un fiato. — È stata rapita da una ragazza che si è presentata come Aoife. Ha detto di essere la sorella di Scathach; di sicuro le assomigliava parecchio. — Vide le loro espressioni cambiare un poco, e riconobbe un lampo di paura negli occhi dell’Alchimista. — Non è una buona notizia, vero?
Perenelle scosse la testa. — No. Per niente.