CAPITOLO CINQUANTAQUATTRO

In piedi sulla prua di un motoscafo che sfrecciava sulle acque gelide di San Francisco, Niccolò Machiavelli chiuse gli occhi e lasciò che gli spruzzi del mare celassero le lacrime improvvise che gli scorrevano sul viso.

Quando era ancora mortale, sua moglie Marietta una volta lo aveva accusato di essere un mostro insensibile e disumano. “Morirai solo come un cane, perché non ti importa di nessuno”, gli aveva urlato contro, lanciandogli un prezioso vassoio di epoca romana. L’immortale aveva dimenticato da tempo i motivi del litigio, ma non aveva mai dimenticato quelle parole. E ogni volta che gli tornavano in mente, ripensava a Marietta e piangeva per lei. L’aveva amata teneramente e sentiva ancora la sua mancanza. Le lacrime non lo avevano mai disturbato: gli rammentavano che era ancora umano.

Una volta pensava che l’immortalità fosse un dono straordinario. E all’inizio lo era stato. Aveva tutto il tempo del mondo per architettare e ordire i suoi piani, per tessere intrighi che sarebbero giunti a compimento nel giro di generazioni. Operando dietro le quinte, aveva plasmato i destini di una dozzina di nazioni europee, aveva organizzato guerre e rivoluzioni e negoziato trattati di pace. Aveva sostenuto leader, finanziato inventori, investito in artisti e architetti. Poi si era seduto comodamente a guardare il dispiegarsi dei suoi piani. Ma in un momento imprecisato di tutte quelle macchinazioni, aveva smesso di pensare agli individui che stava manipolando. Considerava gli homines come le pedine di una scacchiera.

Aveva servito l’Antico Signore suo padrone con devozione, facendo ciò che gli veniva ordinato anche quando non lo condivideva. All’inizio aveva creduto – perché era la logica conclusione – che la Terra sarebbe stata un posto migliore se gli Oscuri Signori fossero tornati.

Ormai non ne era più così sicuro. Non ne era più sicuro da un paio di secoli.

E quel giorno… era cambiato tutto. La svolta era avvenuta quando, seduto di fronte a Quetzalcoatl, aveva ascoltato l’arrogante creatura decidere della sua vita o della sua morte come se nulla fosse. L’unico motivo per cui gli era stato concesso di vivere era che il Serpente Piumato si sentiva in debito con il padrone di Machiavelli. Per l’italiano era stato uno shock. I secoli di leale servizio che aveva garantito agli Antichi Signori non erano neanche stati presi in considerazione. Le sua capacità, il suo sapere, la sua esperienza, erano stati ignorati. La sua vita era stata risparmiata soltanto per puro caso.

E seduto su quella sedia, mentre difendeva la propria causa, era stato colto da un pensiero improvviso: anche lui si era comportato come Quetzalcoatl, in fin troppe occasioni. Aveva disposto della vita e della morte di innumerevoli uomini, donne e bambini che non conosceva né avrebbe mai conosciuto. Aveva preso decisioni che avrebbero plasmato la loro vita e quella dei loro discendenti per generazioni.

Marietta aveva ragione: non gli importava di nessuno.

Ma aveva anche torto. Lui aveva sempre tenuto a lei e ai suoi figli adorati, soprattutto a Guido, che era nato pochissimi anni dopo la “morte” di Machiavelli.

Che cosa era successo? Cosa lo aveva cambiato?

La risposta era sempre la stessa: l’immortalità.

L’immortalità lo aveva trasformato radicalmente, aveva forgiato il suo pensiero, lo aveva reso il mostro insensibile e disumano che Marietta lo aveva accusato di essere molto prima che lo fosse davvero. Divenuto immortale, aveva smesso di considerare gli essere umani come individui, e aveva iniziato a considerarli come masse di gente, nemici o amici.

L’ambizione l’aveva reso cieco. Nella sua arroganza, Machiavelli aveva pensato di essere diverso dagli altri esseri umani, di essere in qualche modo come gli Antichi Signori. Ma quel giorno si era reso conto che gli Antichi Signori lo consideravano esattamente come lui considerava il resto della popolazione umana.

E adesso eccolo lì, impegnato nell’ennesima missione per loro conto, una missione che avrebbe condizionato la vita di milioni di persone in tutto il pianeta. Aveva giocato con il destino di intere nazioni; ora stava per riplasmare il futuro del mondo.

— Non mi piace quello che vedo — biascicò Billy the Kid, portandosi al fianco dell’italiano.

Machiavelli guardò verso l’isola in rapido avvicinamento. — C’è qualcosa che non va?

— Non laggiù. Qui — chiarì Billy. Si ficcò le mani nelle tasche di dietro dei jeans e impostò la voce a un volume poco più alto del ronzio del motore e del battito delle onde, in modo che solo l’altro immortale potesse sentirlo. — Hai una faccia che non mi piace.

Machiavelli si ricompose. — In che senso?

— Hai la faccia di uno che fa pensieri profondi. Pensieri brutti. Pensieri stupidi.

— E tu saresti un esperto di espressioni facciali? — replicò l’italiano con sarcasmo.

— Certo! È una cosa che mi ha permesso di campare a lungo.

— E cosa credi che riveli la mia faccia? — Machiavelli era sempre stato in grado di mantenersi impassibile ed era irritato che quel giovane e rozzo immortale fosse riuscito a intuire i suoi pensieri così facilmente. Forse aveva sottovalutato l’americano.

Billy si tirò fuori una mano dalla tasca e si strofinò il mento, raspando contro la barba sfatta. — Sei mai stato in una sparatoria?

Machiavelli strizzò le palpebre, sorpreso. — Non essere ridicolo. Certo che no.

— E in un duello? Non avevate i duelli in Europa… spade e pistole all’alba, una roba così?

L’italiano annuì. — Ne ho visto qualcuno.

— Scommetto che sapevi sempre chi avrebbe perso.

Machiavelli ci rifletté, quindi annuì di nuovo. — Sì.

— Da cosa lo capivi?

— Dall’espressione della faccia, dalla postura, dal modo in cui mettevano le spalle…

— Esatto. Si aspettavano di perdere, e così perdevano davvero. Ora, non sono mai stato un grande pistolero, e non sono mai stato molto veloce. Tutte quelle sciocchezze sulla pistola pronta vengono dai libri che hanno scritto su di me, e per la maggior parte sono bugie. Ma mi aspettavo sempre di vincere. Sempre. E ho sempre fatto in modo di lavorare con gente che si aspettava di vincere. — Billy fece una pausa, poi aggiunse: — Quelli che cominciano a covare brutti pensieri nel bel mezzo di una guerra sono gli stessi che cominciano ad aspettarsi di perdere. E fanno una brutta fine, perché non sono più lucidi, non sono concentrati.

Machiavelli piegò la testa in un piccolo inchino. — È un’osservazione molto acuta. Hai qualche suggerimento?

L’americano indicò l’isola. — Concentriamoci sul compito che ci aspetta. Facciamo quello che ci hanno ordinato i nostri padroni e svegliamo quelle bestie addormentate, prima di cominciare a fare pensieri brutti e profondi.

— Facciamo?

— Facciamo. — Billy sorrise. — Scommetto che hai un sacco di cose da insegnarmi.

Machiavelli annuì, sorpreso. — E io credo che potrei imparare molte cose da te.

Il motoscafo toccò il molo.

Falco Nero accostò ai pali. — Tutti a terra! — gridò.

Billy the Kid saltò sulla passerella di legno e poi si chinò a porgere la mano all’italiano. Machiavelli esitò per un attimo, poi la prese, e l’americano lo tirò su. Falco Nero fece rombare subito il motore e cominciò ad arretrare, sollevando una scia di schiuma bianca.

— Non vieni con noi? — chiese Billy.

— Stai scherzando? Non metterei piede su quest’isola per nulla al mondo. È un luogo maledetto — disse Falco Nero. In quello stesso istante, decine di volti femminili comparvero sotto il pelo dell’acqua, facendo guizzare le code iridescenti. — Chiamatemi quando avete finito. Ci vorrà molto?

L’americano guardò Machiavelli e inarcò le sopracciglia.

— Un paio d’ore.

Billy the Kid sorrise. — Il tempo sufficiente per cambiare il mondo.

I segreti di Nicholas Flamel l'immortale - 4. Il Negromante
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