CAPITOLO QUARANTASEI

L'interfono sulla scrivania di Dee ronzò piano. — La signorina Dare è tornata, signore.

— Falla accomodare. — Il dottor John Dee ruotò sulla sua poltrona di pelle scostandosi dalla vista delle strade di San Francisco.

Un asciutto segretario con i capelli rossi tenne la porta aperta. Virginia Dare, carica di sacchetti, entrò nell’enorme ufficio di vetro e acciaio, con i tacchi degli stivali che ticchettavano sul pavimento di marmo. — Adoro fare shopping — annunciò.

Dee guardò il segretario. — Grazie, Edward, è tutto. Ora puoi andare, e grazie di essere rimasto fino a tardi.

L’uomo annuì. — Sarà in ufficio, domani? Ci sono alcuni documenti da firmare.

— Non ne sono sicuro al momento. E se qualcuno mi cerca, sono ancora via.

— Sì. Ho rilasciato un comunicato, prima, dicendo che era ancora a Hong Kong — lo rassicurò il segretario arretrando e chiudendo la porta.

— Sei splendida! — esclamò il Mago, tornando a rivolgere la sua attenzione su Virginia. Si sporse un po’ in avanti, posando con cautela le mani ustionate sulla scrivania. Nonostante l’aloe vera e la pomata anestetica, bruciavano ancora, e si stavano formando altre vesciche.

— Be’, grazie — replicò Virginia, con un sorriso. — Sappi che hai pagato tutto tu, ed era tutto molto caro.

— Hai sempre avuto gusti molto costosi — commentò Dee.

Sotto una corta giacca di pelle scamosciata nera e con le frange, Virginia indossava dei jeans blu scoloriti, una camicia rossa in stile western e una cintura di lucertola nera intonata agli stivali da cowboy. Sprofondando in una sedia di fronte al Mago, appoggiò gli stivali sulla scrivania e lo scrutò oltre la lastra di marmo nero. — Avevo dimenticato quante belle boutique ci fossero a San Francisco.

— Quando c’eri stata l’ultima volta?

— Non troppo tempo fa — rispose Virginia, vaga. — Ma sai che non mi piace passare molto tempo nelle Americhe… troppi ricordi tristi.

Dee annuì. Lui evitava l’Inghilterra per la stessa ragione.

— Come stanno le mani? — chiese la donna, cambiando argomento.

— Male — rispose Dee, sollevandole. — La cosa più frustrante è che, se potessi usare la mia aura anche solo per un istante, potrei curarle.

— Sì, e allertare ogni creatura in città della tua presenza.

Il Mago annuì.

— Presumo che tu abbia un piano, o no?

Dee si appoggiò allo schienale e ruotò di nuovo la sedia per guardare il panorama cittadino. — Io ho sempre un piano — replicò. — Ci stavo giusto pensando quando sei entrata. È quasi tutto pronto. — Indicò un punto nella notte. — Alcatraz è laggiù. Appartiene alla mia compagnia ora, e l’accesso è stato limitato. Tutte le celle sono piene di mostri e c’è una sfinge a piede libero.

Virginia Dare rabbrividì. — Odio quelle creature.

— Sono utili. Pensavamo che fosse in grado di arginare Perenelle Flamel. Ma ci sbagliavamo.

— Tu, e chi altri?

— Io e i miei padroni — chiarì Dee.

Virginia girò intorno alla scrivania e si portò al suo fianco, ammirando il panorama. — Non male.

— La mia vista preferita — mormorò l’inglese. A differenza dei suoi uffici di Londra e di New York, talmente alti da non poter quasi scorgere le strade, lì riusciva a far scorrere lo sguardo su Pioneer Park e sulla città, così vicina che sembrava quasi di toccarla. Si vedeva anche la sagoma triangolare del Transamerica Building, che si stagliava con le sue luci sullo sfondo del cielo notturno.

— Sai che i tuoi padroni non avranno pace finché non ti avranno scovato — disse Virginia.

— Sì, lo so.

— Ogni istante che rimani libero e impunito è un insulto nei loro confronti. Una vergogna al cospetto dei loro pari. Dovranno darti una punizione esemplare.

Dee annuì di nuovo. Vedeva i loro volti riflessi sul vetro. Sembravano quasi fluttuare sopra la città. — Tu hai ucciso il tuo padrone… eppure nessuno è venuto a chiederti il conto.

Virginia rise, ma il suono risultò teso e falso. — Non ho ucciso il mio padrone. Quel pazzo era diventato arrogante e incauto con l’età. Ha commesso l’errore di sfidare l’autorità di una donna-cervo, insultando lei e la sua tribù di mutaforme.

— E com’è finita?

Virginia rise di nuovo. — Secondo te? Le donne-cervo abitavano questo pianeta prima ancora che gli Antichi Signori fuggissero da Danu Talis. Conoscono ogni pista nascosta, ogni sentiero segreto e ogni porta d’energia, e come e dove sono connessi. Un attimo prima, il mio padrone era in Oklahoma e minacciava quella donna… e l’attimo dopo era a Badwater, nel cuore della Valle della Morte, in piena estate. Credo che abbia usato la sua aura per mantenersi al fresco, i primi giorni… finché non l’ha esaurita. — Virginia batté le mani all’improvviso e il Mago trasalì. — Alla fine si è consumato da solo in una sfera di fuoco. Non è rimasto neanche un granello di polvere.

— Come fai a sapere tutto questo?

— Perché io c’ero — rispose la donna, sorridendo. — Chi credi che abbia messo la donna-cervo sulle sue tracce? Ero stanca di lui: mi aveva mentito una volta di troppo, facendo promesse che non aveva nessuna intenzione di mantenere. — Abbassò la voce in un sussurro. — Non commettere lo stesso errore.

— Non lo farò — replicò Dee, senza mai staccare gli occhi dal riflesso di Virginia sul vetro.

— Allora dimmi, che cosa hai intenzione di fare, dottore?

Dee si alzò rigidamente in piedi. Senza dire una parola, attraversò la stanza ed entrò in un piccolo ascensore privato. Virginia esitò per un momento, poi lo seguì. L’ascensore era angusto, progettato per una sola persona.

Con molta cautela, il Mago premette il pollice bruciato sul pulsante dello stop di emergenza, che si illuminò di un cupo bagliore azzurro; la porta si chiuse con un sibilo. — L’ultima novità in fatto di riconoscimento delle impronte — spiegò. — Se qualcun altro provasse a premere il pulsante, l’ascensore si riempirebbe di gas.

— Molto astuto.

Anche se non c’era stata nessuna sensazione di movimento, la porta si aprì all’improvviso.

Virginia uscì, seguita da Dee. — Dove siamo? — chiese, guardandosi intorno.

Erano sbucati in un ampio soggiorno a pianta aperta, le cui quattro pareti di vetro si affacciavano su altrettante viste panoramiche della città. Vari divani e poltrone in pelle erano sparsi per la stanza, e quattro enormi televisori a schermo piatto pendevano dal soffitto, disposti in un quadrato: erano tutti sintonizzati su History Channel. In fondo all’ampio spazio c’era una cucina, mentre all’estremità opposta, dietro una serie di elaborati pannelli dipinti, c’era una zona notte disposta intorno a un futon giapponese.

— Siamo al tredicesimo piano.

— Ma il tuo palazzo non ha un tredicesimo piano — replicò Virginia.

— Non sulla carta. Ma esiste eccome, ed è accessibile da questo ascensore e da una scaletta d’emergenza. Benvenuta a casa mia — disse il Mago, con un ampio gesto delle braccia. — L’ho fatta costruire tra il dodicesimo e il quattordicesimo piano, rubando un po’ di spazio a entrambi. Le finestre sono visibili solo dall’interno e tutto il piano è isolato acusticamente.

Virginia si guardò intorno. — Manca un tocco femminile — disse, per niente impressionata. — Lo sai, vero, che i divani possono anche non essere di pelle, e che il vetro e l’acciaio non sono più chic dagli Anni Ottanta? — Si voltò e si interruppe, all’improvviso senza parole. — Fiori finti? John, ma dai!

— Quelli veri continuavano a morire — si giustificò Dee. — E da quand’è che fai l’arredatrice? L’ultima volta che ci siamo visti, abitavi in una tenda.

— Ci abito ancora — ribatté Virginia. — Se hai una tenda, non rimarrai mai senza un tetto sulla testa.

Dee si diresse in cucina e aprì il frigorifero.

— Se tu mangiassi ancora, scommetto che useresti i piatti di carta — continuò la donna, seguendolo. — Immagino che sia inutile chiederti del latte… — mormorò, mentre lui infilava una mano nel frigo.

— Inutile, sì — confermò il Mago. — Posso offrirti dell’acqua, naturale o gassata. — Tirò fuori due bottiglie e poi, dal fondo del frigo, un oggetto corto avvolto in uno straccio. Lo posò sul tavolo di fronte a Virginia, quindi prelevò dal frigo altri due oggetti simili. Uno era avvolto in una stoffa di seta rossa, l’altro in un fagotto di pelle verde.

Virginia Dare percepì il sottile formicolio del potere antico e arretrò, strofinandosi d’istinto le mani sulla giacca. Le sembrò quasi di avere degli insetti sulla pelle.

Dee nel frattempo aprì il forno, tirò fuori una scatola di legno rettangolare e posò anche quella sul tavolo.

— Non voglio neanche sapere perché conservi le cose in frigorifero e in forno — disse Virginia, scuotendo la testa. — Sono ciò che credo che siano?

— Cosa credi che siano?

— Pericolose. Potenti. Micidiali.

— Allora sì. — Il Mago cominciò lentamente a svolgere la seta rossa, un lembo sottile alla volta. — Prima stavo pensando che sono stato uno sciocco.

Virginia serrò le labbra e resistette alla tentazione di commentare.

— Perché ho trascorso secoli a lavorare per gli Antichi Signori, a svolgere le loro commissioni come un cagnolino addestrato?

— Forse perché ti hanno reso immortale? — gli ricordò Virginia.

— Altri sono diventati immortali senza l’aiuto di un Antico Signore — osservò Dee. — I Flamel, Saint-Germain, Shakespeare… Forse se avessi cercato il segreto dell’immortalità, lo avrei trovato.

— Forse saresti morto prima di trovarlo — suggerì la donna.

— Ho dato agli Antichi Signori secoli di servizio…

— Lo so, lo so. Tutta questa autocommiserazione sta cominciando ad annoiarmi — sbottò Virginia, stuzzicandolo di proposito. Conosceva il Mago abbastanza bene da sapere che detestava essere interrotto: se Dee aveva un difetto, era di amare il suono della propria voce. — Dimmi cosa hai intenzione di fare.

— Per prima cosa, richiamerò Coatlicue dalla sua prigione e la sguinzaglierò per i Regni d’Ombra — spiegò il Mago, mentre le dita ustionate annaspavano maldestre sulla stoffa.

Virginia lo guardava attentamente, ma non accennò ad aiutarlo.

— Gli Antichi Signori saranno costretti a richiamare la maggior parte delle loro forze terrestri nei rispettivi Regni d’Ombra, per combattere contro la Madre di Tutti gli Dei. Non gli importerà che cosa accadrà qui. Nel frattempo, Machiavelli dovrebbe aver già rilasciato i mostri di Alcatraz sulla città.

Virginia strizzò le palpebre, sorpresa, ma capì che non era il caso di interrompere.

La seta rossa venne finalmente via, rivelando una semplice spada di pietra. L’elsa era disadorna e la lama grigia era talmente lucida da sembrare metallica.

— La riconosci? — chiese Dee.

— Una delle spade di potere — rispose Virginia, con un filo di voce. — Ma quale?

— Durendal.

— L’indistruttibile. — La donna si avvicinò per guardarla meglio. — Hai sempre avuto un debole per questi giocattoli, vero, dottore?

— Un uomo con una mano sola una volta mi ha predetto il futuro. Mi ha rivelato che il mio destino è intrecciato alle spade.

— Pensavo che avesse un aspetto più impressionante — osservò Virginia.

Il Mago tirò lo spesso legaccio che chiudeva il fagotto di pelle verde. — San Francisco cadrà in fretta sotto l’assalto delle belve — continuò, ignorando il commento. — Gli eserciti degli homines non saranno in grado di opporre resistenza ai mostri. Il solo fattore della paura ci darà un vantaggio formidabile. E ci sono serragli simili in tutte le principali città del pianeta. Il mondo si dissolverà nel caos nel giro di pochi giorni.

— E gli Antichi Signori che si rifiuteranno di lasciare la Terra per combattere Coatlicue nei Regni d’Ombra? — chiese Virginia. — E gli immortali che non sono alleati con gli Oscuri Signori? Loro si batteranno contro i mostri.

— Oh, ci conto — mormorò Dee. Due cordoncini del fagotto si slegarono, ma il terzo nodo non voleva saperne di sciogliersi. — Ti dispiacerebbe aiutarmi?

— Io quell’affare non lo tocco — affermò Virginia. Si fece scivolare fuori dalla manica un coltello nascosto e lo porse al Mago, che lo prese e tagliò il terzo cordoncino.

— Conosco la posizione della maggior parte degli Antichi Signori, membri della Nuova Generazione e immortali. Una volta che saranno usciti dai rispettivi nascondigli, posso abbatterli l’uno dopo l’altro. Quando avrò finito, io e te saremo gli ultimi immortali del pianeta. I miei padroni una volta mi hanno promesso questo mondo; ora me lo prenderò alle mie condizioni.

— E lo dividerai con me — gli ricordò Virginia.

— E lo dividerò con te.

— Non mi hai ancora detto a che cosa ti servo.

— Mia cara, tu hai un ruolo centrale nel mio piano. — Il Mago si fermò e alzò lo sguardo, sorridendo con astuzia. — Ho sempre saputo che saremmo finiti insieme.

— E lo pensi ancora?

— Siamo uguali, io e te.

— Sì, certo — mormorò Virginia. Poi chinò la testa e tacque. Dee la conosceva quasi da sempre, si disse, e ancora non aveva idea di cosa fosse, né di ciò di cui fosse capace. Era cresciuto nell’età elisabettiana e la sua opinione sulle donne era stata plasmata dall’epoca. Virginia era convinta che quella fosse una delle molte ragioni per cui il Mago – e anche Machiavelli – avevano costantemente sottovalutato Perenelle Flamel.

Dee spiegò con molta cautela il fagotto di pelle, rivelando una spada identica alla prima.

— Una spada gemella! — esclamò Virginia. — Dev’essere Joyeuse, la spada di Carlo Magno.

— La prima a entrare in mio possesso. — Dee posò Excalibur e Clarent accanto alle prime due spade. — E ora ho il gruppo completo.

Le somiglianze tra le quattro spade, affiancate sul piano di vetro del tavolo, erano evidenti: erano tutte lunghe una cinquantina di centimetri e ricavate da un unico pezzo di pietra. Delle quattro, solo Clarent era brutta e opaca; le altre erano levigate e lucenti. Virginia notò sottili differenze nel disegno delle else, ma se non avesse visto Dee tirarle fuori una a una, dubitava che avrebbe saputo distinguerle.

— Quando avrò localizzato e ucciso tutti gli Antichi Signori, i membri della Nuova Generazione e gli immortali rimasti in questo mondo, userò le spade per distruggere gli ingressi dei Regni d’Ombra. E questo diventerà davvero il nostro mondo.

— Molto scaltro, certo — commentò Virginia. — Ho solo una domanda…

— Solo una?

— Perché io?

Il Mago la guardò un po’ attonito.

— Hai progettato tutto quanto: io a che cosa ti servo? — Dee fece per rispondere, ma la donna lo fermò sollevando una mano. — Non pensare nemmeno per un attimo di mentirmi — sussurrò. — Soprattutto ora, con queste quattro spade qui sul tavolo di fronte a me. — Anche se Virginia non smise mai di sorridere, la minaccia era chiara.

Dee annuì. — Sono venuto a cercarti perché… be’, te l’ho detto: hai un ruolo centrale nel mio piano. Mi serve il tuo flauto.

— Il mio flauto?

Il Mago sembrò un po’ imbarazzato. — Be’, sì. Quando i mostri imperverseranno sulla città, dovrei essere in grado di controllarli per qualche giorno. Ma una volta sazi e inselvatichiti, perderò il controllo…

— E credi che il mio flauto sia in grado di incantarli e controllarli.

— Ne sono sicuro. Ricordi? Ero con te sulla riva del Fiume Rosso, quando hai costretto una mandria di tremila bufali imbestialiti a ripiegare.

— Ma c’è una bella differenza tra i bufali e il tuo serraglio di incubi.

Dee scosse la testa. — Si tratta sempre di bestie. E prima ti ho vista mettere a nanna sia i cucubuth sia gli homines. Ripongo una fiducia assoluta nelle tue capacità.

— Grazie — replicò Virginia, con sarcasmo. — Ma una volta che io le avrò addormentate, tu che cosa farai quando si sveglieranno?

Dee scrollò le spalle. — Le ucciderò, o le rispedirò ad Alcatraz. — Prese la scatola di legno rettangolare sul tavolo, aprì il coperchio e tirò fuori un piccolo libro rilegato in rame.

L’aria della stanza crepitò subito di elettricità statica, e scintille verdi presero a scorrere su tutte le superfici metalliche.

Virginia ebbe la sensazione che qualcuno le avesse risucchiato l’aria dal corpo. — È ciò che penso che sia?

Dee posò il libro sul tavolo, al centro delle spade. Con la rilegatura di rame ossidato, era largo quindici centimetri e lungo poco di venti; aveva le pagine spesse e ingiallite, dai margini logori. — Il Codice… il Libro di Abramo il Mago! — esclamò l’inglese, con reverenza. — Ho dedicato tutta la vita alla ricerca di questo volume… — Avvolgendosi un lembo di seta rossa intorno a un dito, sollevò la copertina con cautela. — E quando finalmente è entrato in mio possesso, mancavano le ultime due pagine. — Dee andò alla fine del libro, dove i bordi strappati di due pagine spesse spuntavano dalla rilegatura. Ridacchiò, con un tono acuto e irritante. — Le ultime due pagine contengono l’Invocazione Finale, la formula necessaria per riportare gli Antichi Signori in questo mondo. I miei padroni erano furiosi. — La risatina divenne una risata vera e propria, sempre più forte e quasi isterica, che scosse il corpo del Mago. — Ma ora ecco che l’Invocazione Finale non ci serve più, perché gli Antichi Signori non faranno mai ritorno.

— Dottore! — sbottò Virginia, d’un tratto impaurita. Non lo aveva mai visto in quello stato. — Controllati.

John Dee trasse un respiro profondo e tremante. — Ma certo. Ti chiedo scusa. — Richiuse il Codice e accarezzò la superficie di metallo con il dito avvolto nella seta. — Lasceremo che i mostri imperversino per una settimana. Gli eserciti, la marina e l’aviazione falliranno nel contrastare le creature, e poi, quando tutto sembrerà perduto, io e te ci paleseremo al mondo come i salvatori dell’umanità. Scacceremo i mostri e prenderemo il controllo del pianeta. Diventeremo i dominatori immortali della Terra. Tu non hai padroni, mentre i miei saranno morti o intrappolati in un Regno d’Ombra senza più vie di ritorno, e io sarò salvo. Posso usare questo libro per plasmare e ricostruire il pianeta in qualunque modo desideriamo. — Il Mago sorrise. — L’unico limite sarà la nostra immaginazione.

— Ho un’immaginazione molto fervida — mormorò Virginia. — Però non ti sembra di dimenticare un piccolo dettaglio?

— Quale?

— Tutto questo dipende dal fatto che Coatlicue obbedisca ai tuoi ordini.

— Lo farà — replicò Dee, in tono sicuro. — L’univo vero momento di pericolo è il risveglio iniziale: sarà famelica. Devo solo assicurarmi di sfamarla in modo adeguato.

— Coatlicue non è vegetariana — gli rammentò Virginia.

Il sorriso del Mago diventò feroce. — Sì, lo so. E le sto approntando un banchetto davvero appetitoso.

I segreti di Nicholas Flamel l'immortale - 4. Il Negromante
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